di Eloisa Rosalen
La nostra amica Eloisa Rosalen ci scrive dal Brasile, per informarci della polemica suscitata dalla decisione del consiglio comunale di Nova Veneza (nello Stato di Santa Catarina) di intitolare una piazza ed erigere un monumento al suo fu concittadino Natale Coral, immigrato da Motta di Livenza a fine Ottocento. Gli studi di antropologi e storici hanno però da tempo appurato che Coral era un “bugreiro”, ovvero una di quelle persone che lo Stato o le compagnie colonizzatrici assumevano per attaccare e uccidere i nativi; e il fatto che lo fosse è attestato anche dalla memoria di una parte, almeno, della cittadinanza di Nova Veneza. Si sono perciò levate critiche e opposizioni. Eloisa Rosalen ne fa una rassegna, guardando al più ampio contesto del fenomeno mondiale di abbattimento delle statue di colonizzatori e oppressori, ritornando così sui temi già sollevati in questo sito dalla corrispondenza di Andrea Lanza da Toronto.
“In Brasile è così, chi non ha sangue indigeno nelle vene, ce l’ha sulle mani”, mi ha detto una volta un collega di dottorato. Quando ho sentito per la prima volta questa frase (coniata non si sa da chi né dove), sono rimasta molto impressionata. All’epoca – ero al primo anno di dottorato – stavo facendo delle ricerche per Piero Brunello, che stava completando un libro in cui si parlava anche di Natale Coral.
Natale Coral (1859-1911) era un immigrato italiano, nato a Motta di Livenza (da cui – l’ho scoperto dopo – proviene anche la famiglia di mio padre) e vissuto a Nova Veneza [Nuova Venezia], nello Stato brasiliano di Santa Catarina, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Di recente, il 28 dicembre 2020, il Consiglio comunale di Nova Veneza gli ha reso omaggio per il suo contributo di geometra agrimensore, inaugurando una piazza a lui intitolata ed erigendogli un monumento (sulla base di una decisione presa il 22 novembre 2019 in seguito a una richiesta dei discendenti di Coral), nel quartiere che oggi comprende la maggior parte della terra di proprietà della famiglia Coral.
Ma Natale era un “bugreiro”. Così venivano chiamate le persone assunte dallo Stato o delle compagnie colonizzatrici, per attaccare e sterminare gli indigeni. Si sa dunque che aveva le mani sporche di sangue indigeno. La sua attività di “bugreiro” è viva nella memoria collettiva della città: ce ne sono riscontri nelle memorie di famiglia ascoltate da suo nipote Ugo, nelle ricerche dell’antropologo Silvio Coelho dos Santos, nei libri relativamente recenti di padre João Leonir Dall’Alba e di monsignor Davide Quinto Baldessar. Ne parla anche Piero Brunello, nel libro ricordato sopra – che tuttavia è sconosciuto in Brasile –, dove recupera anche i ricordi di Cesare Sartori, socialista vicentino emigrato in Brasile nei primi del Novecento1.
La geografia e il percorso migratorio che accomunano il mio bis-bisnonno Giacinto Rusolen e Natale Coral hanno fatto sì che mi chiedessi a lungo che eredità porto; ho sangue indigeno sulle mani? Di questo, a casa, non si è mai parlato.
Lo scopo di questo breve scritto non è un mea culpa pubblico (nei dibattiti brasiliani si dice “colpa bianca”), né quello di chiedere “perdono” per quello che avessero eventualmente fatto i miei antenati. Tanto più che non basta questo per affrontare il problema del razzismo strutturale che esiste in Brasile, e del privilegio sociale che deriva dal fatto di essere bianchi. Senza dire poi che aprire una discussione sull’alternativa “O abbiamo sangue sulle nostre mani o nelle nostre vene” non è sufficiente: sappiamo infatti che nella realtà le cose sono molto più complesse.
Quello su cui vorrei riflettere è la discussione suscitata dalla decisione di intitolare, oggi, ancora, una piazza a Natale Coral. Le critiche che si sono sollevate sono emblematiche e vanno oltre il caso specifico, se pensate nel più ampio contesto del movimento mondiale che chiede la rimozione delle statue dei colonizzatori, e le abbatte.
La prima presa di posizione contraria all’intitolazione è venuta dallo staff che coordina il corso di Laurea Interculturale Indigena del Sud della Foresta Atlantica presso l’Università Federale di Santa Catarina (UFSC). In un documento uscito il 3 febbraio 2021, il gruppo di studiose e studiosi ha sottolineato la necessità di condannare le pratiche crudeli di Natale Coral (si stigmatizza, sin dal titolo della nota, quella per cui “portava indietro le orecchie degli indiani conservate nella salamoia, solo per ridere”, secondo quanto attestato dai lavori di Silvio Coelho dos Santos).
Oltre a ricordare il passato di “bugreiro” di Coral (ricorrendo anche ai lavori di João Leonir Dall’Alba), il documento si soffermava inoltre sul fatto che il progettato monumento a forma di tronco di piramide col nome di Natale Coral, da collocare nella “sua” piazza, sarebbe stato sormontato da una freccia, allo scopo di rappresentare le popolazioni indigene che vivevano nella regione.
Rendering del monumento a Natale Coral, così come previsto dal progetto. (Fonte)
Come ricorda il documento, “il riferimento generico a un popolo indigeno collocato nel passato è un ulteriore segno della persistenza di visioni razziste. La freccia equivale a un vago ricordo del passato della regione? Indigeno? Quale popolo indigeno?”. In altre parole, oltre a onorare un “bugreiro” (in controcorrente rispetto a questo momento storico in cui si rimuovono i monumenti dei cosiddetti “eroi”, come dice ancora il documento), la memoria pubblica della città assegna al popolo Laklano Xokleng un posto generico e nel passato.
La seconda protesta è arrivata quindi dalla comunità Laklano Xokleng, che il 16 febbraio 2021 ha indirizzato un manifesto alla cittadinanza di Nova Veneza, alla quale chiede una mobilitazione per impedire che il Consiglio comunale persista nella sua volontà di omaggiare un assassino – “responsabile di genocidio” secondo le parole usate nel manifesto. L’intitolazione della piazza sarebbe contraria sia alla legislazione comunale stessa (che permette di celebrare solo le persone che hanno beneficiato o onorato la città, e questo non è il caso di Natale), sia alle convinzioni religiose e morali dei cittadini di Nova Veneza (come sarebbe accolta una statua a Ponzio Pilato, a Hitler o Mussolini? si chiedono gli estensori del manifesto).
Il manifesto dice: “Noi Laklano Xokleng, che resistiamo ancora, nonostante tutti i crimini, gli omicidi e le violazioni, abbiamo da tempo accettato la pace. Abbiamo già perdonato i migranti che sono venuti nella nostra terra – molti di loro ingannati – e si sono impossessati del nostro mondo. Perdoniamo, ma non dimentichiamo. Tutti i brasiliani hanno diritto alla memoria, alla verità e alla giustizia! Basta rendere omaggio a chi è responsabile del dolore degli altri”. Su questa base la comunità chiede la cancellazione dell’omaggio a Natale Coral e sollecita invece il dovuto onore alle vittime, il popolo Laklano Xokleng.
Anche il professore di storia contemporanea dell’America Latina all’UFSC, originario di Nova Veneza, Waldir José Rampinelli, ha espresso la sua contrarietà alla celebrazione pubblica di Natale Coral in un video diffuso il 6 febbraio 2021 dall’Istituto di Studi Latinoamericani e visibile anche su youtube. Il video ripercorre in forma divulgativa, tra le altre cose, l’arrivo degli immigrati italiani a Santa Catarina, la preesistenza del popolo Xokleng, la pratica dei “bugreiros”, la violenza, e l’attuale presa di posizione del Consiglio comunale di Nova Veneza nella “direzione opposta della storia”. Il video è molto interessante perché Rampinelli non solo parla da storico (citando Silvio Coelho dos Santos e il libro di memorie di monsignor Quinto Davide Baldessar), ma anche da “nuovo veneziano”, che da bambino ha potuto ascoltare i racconti dei massacri degli Xokleng. È stato soprattutto quest’ultimo aspetto a essere preso in considerazione da molti che hanno guardato e commentato in vari modi il video. Il video di Rampinelli, infatti, ha circolato in città e sulla stampa locale. Ha raggiunto anche i discendenti di Natale Coral, che hanno negato ogni addebito al loro avo, minacciando di citare in giudizio il professore.
Il tributo pubblico a un “bugreiro” e le polemiche che ne sono seguite a proposito di un generico “popolo indigeno” dimostrano che a Santa Catarina siamo ancora molto lontani dall’assumere collettivamente la consapevolezza dei rapporti tra i colonizzatori e i Laklano Xokleng. Per migliorare il dibattito pubblico, dobbiamo fare il punto sulla nostra colonizzazione: dobbiamo riflettere sulle responsabilità e sulla legittimazione (del presente e del passato) del popolo Laklano Xokleng. Ora, non mi sembra utile che il dibattito ricada nella retorica dualistica del “giudiziario”, o del “perdono” e della “colpa” cristiana, o ancora dei “ricordi controversi” (spesso letti come semplici opinioni che coesistono pacificamente nel mito della democrazia razziale). Come conclude il documento dello staff del corso di Laurea Interculturale Indigena del Sud della Foresta Atlantica: “Dobbiamo imparare e prendere posizione, senza omettere e trascurare alcunché”.
- Rimando a: Silvio Coelho dos Santos, Índios e brancos no sul do Brasil: a dramática experiência dos Xokleng, Edeme, Florianópolis 1973; João Leonir Dall’Alba, Colonos e mineiros no grande Orleãns, Editora do Autor, Florianópolis 1986; Id., Histórias do Grande Araranguá, Gráfica Orion Editora, Araranguá 1997, pp. 313-315 per la testimonianza di Ugo Coral; Davide Quinto Baldessar, Imigrantes. Sua história costumes e tradições no processo de colonização no Sul do Estado de Santa Catarina, s.l. [Brasilia] 1991; Piero Brunello, Trofei e prigionieri. Una foto ricordo della colonizzazione in Brasile, Cierre, Sommacampagna (Verona) 2020. [↩]