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redazione sito sAm

Domandare è lecito?

08/07/2013

di redazione sito storiAmestre

In questi giorni è tornata sulle pagine dei giornali locali (“Gazzettino”, “Nuova Venezia” e “Corriere del Veneto/Corriere della Sera”) una vicenda cominciata nel 1989. Si sta per chiudere un processo contro un giornalista, Riccardo Bocca, autore di un’inchiesta sul traffico nazionale e internazionale di rifiuti tossici, e contro Gianfranco Bettin, che nel suo ruolo di consigliere regionale aveva svolto un’interpellanza proprio sulla base di quell’inchiesta. Alla vigilia della sentenza, Bettin ha scritto una lettera per ricordare pubblicamente in quale situazione si trova per aver svolto un ruolo istituzionale. Da qui un gran numero di articoli e interventi.

Ci è sembrato utile raccogliere quanto si trova in rete, per dare una sintesi della storia di questa vicenda e delle sue conseguenze attuali. La questione è la salute dei cittadini: salute del corpo, ma anche salute dei diritti di cittadinanza. C’è di mezzo infatti, da un lato, il diritto alla trasparenza, alla conoscenza dei dati che ci riguardano; dall’altro, il diritto dei rappresentanti di porre domande e pretendere risposte nelle sedi istituzionali.

1. Da dove cominciare? Da quando il governo italiano, tra la fine del 1988 e i primi del 1989, inviò la nave Jolly Rosso a ritirare in Libano 10mila fusti di rifiuti tossici portati fin lì da un’azienda milanese? Dalle proteste di cittadini e ambientalisti per lo scarico a Porto Marghera di parte di quei veleni? Da quando la nave si arenò in circostanze misteriose sulle coste della Calabria nel dicembre 1990 in un luogo che si sarebbe scoperto pieno di rifiuti tossici? Da un’inchiesta pubblicata dall’“Espresso” nel 2005 in cui si denunciava che quei fusti bruciati in un forno a Porto Marghera nel 1990 avevano prodotto fuoriuscite di uranio? Dalle due interpellanze che ne erano seguite in Parlamento e nel Consiglio regionale Veneto? Dalla querela contro gli autori delle due interpellanze da parte di chi si sentì leso nell’onore? Dalla richiesta di risarcimento di un milione di euro?

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Buon Primo Maggio

30/04/2013

di redazione sito sAm

Per augurare buon Primo Maggio, pubblichiamo nel nostro sito le immagini di alcune bandiere del movimento operaio italiano. Furono esposte a Torino, a Palazzo Carignano, nel 1980-81 in una mostra intitolata Un’altra Italia nelle bandiere dei lavoratori; le riprendiamo dal catalogo pubblicato dal Centro Studi Piero Gobetti e dall’Istituto Storico della Resistenza in Piemonte (Torino 1980, uscito con il sottotitolo Simboli e cultura dall’unità d’Italia all’avvento del fascismo). La mostra classificò e restaurò un buon numero di bandiere ritrovate dentro casse depositate all’Archivio Centrale dello Stato: si trattava di oggetti portati via dai fascisti dalle sedi di partiti, leghe e sindacati nel primo dopoguerra, ed esposti come trofei –  “le bandiere rosse strappate ai nemici della Patria” – nella Mostra della Rivoluzione Fascista in occasione del decimo anniversario della presa del potere, nel 1932 (si veda Mostra della rivoluzione fascista: 1. decennale della marcia su Roma, guida storica a cura di Dino Alfieri e Luigi Freddi, P.N.F., Roma 1933, da cui proviene la citazione).

Nell’Introduzione al catalogo della mostra di Torino, Guido Quazza sottolineava l’importanza, nella formazione del movimento operaio, dei riti, dei simboli e delle pratiche, come la scelta di dotarsi di una bandiera, la cura della sua confezione (il lavoro di ricamo eseguito dalle donne) e l’uso di issarla con precise regole nelle manifestazioni pubbliche.

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Sorpresa di stagione: una seconda edizione

02/04/2013

di redazione sito sAm

Secondo tradizione, sono giorni di sorprese nell'uovo. Da parte nostra, offriamo ai nostri lettori una seconda edizione del saggio di Alberto Cavaglion che abbiamo pubblicato poco più di un mese fa, Il grembo della Shoah. Il 16 ottobre 1943 di Umberto Saba, Giacomo Debenedetti, Elsa Morante (con una postilla su Enzo Forcella), ora arricchito di due immagini. Con il gentile accordo di Angelo Stella (Fondazione Maria Corti) e di Maria Antonietta Grignani (Università di Pavia), abbiamo infatti ripreso due pagine provenienti dal fondo Umberto Saba, conservato presso il Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia.

Per scaricare questa seconda edizione de Il grembo della Shoah, cliccare qui. Per leggere alcune pagine in anteprima, rimandiamo a questo stesso nostro sito.

Le immagini sono peraltro già accessibili in rete, attraverso il sito del Fondo Manoscritti, rispettivamente agli  indirizzi:

http://oceania.unipv.it/ms/saba/pec00018813_014.htm

http://oceania.unipv.it/ms/saba/pec00018604_frsp.htm

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8 settembre 1943: all’Arsenale di Venezia per chiedere armi

09/09/2012

di Armando Gavagnin, a cura di redazione sito sAm

Questo ricordo dell’8 settembre è di Armando Gavagnin (1901-1978), veneziano, che aveva alle spalle quattro anni di carcere per antifascismo. Dopo che molti marinai, scappati da Venezia a piedi lungo il ponte verso la terraferma, sono fatti prigionieri dai tedeschi, alcuni esponenti antifascisti – tra cui Gavagnin – tentano di arginare il disfacimento dell’esercito e di predisporre la difesa della città. Risultato inutile un colloquio con il prefetto, corrono all’Arsenale, dove sperano di trovare armi e di organizzare i soldati che si trovavano ancora nelle caserme.

Il martirio dei nostri fratelli avviati in campo di concentramento, chiusi in carro bestiame e spediti non come bestie, ma come cose, subì a Venezia una modificazione: soldati e marinai, con i relativi ufficiali, incolonnati, furono avviati a piedi lungo il ponte che si chiamava allora del Littorio e si chiama oggi della Libertà, affiancati da soldati tedeschi armati di mitra. Contemporaneamente transitavano per il porto piroscafi carichi di altri fratelli nostri, prigionieri e affamati.

Nella serata di quello stesso giorno 8 giunse notizia, non controllata, che i tedeschi fossero a Osoppo. Nella nottata seguirono febbrili trattative per la formazione di un corpo di volontari e al mattino del 9, in una riunione dei partiti convocata in casa dell’avvocato Cerutti, ancor prima che fosse noto il precipitare della situazione, fu deciso di mettersi decisamente all’opera. [Leggi di più…] info8 settembre 1943: all’Arsenale di Venezia per chiedere armi

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8 settembre 1943 a Venezia

07/09/2012

di Franco Calamandrei, a cura di redazione sito sAm

Il terzo ricordo che abbiamo scelto rievoca l’8 settembre a Venezia. Il testimone è un fiorentino, Franco Calamandrei (1917-1982), figlio di Piero, all’epoca archivista: dal giugno 1943 aveva preso servizio presso l’Archivio di Stato di Venezia. Al termine del brano che presentiamo, forse la sera del 12 settembre o il giorno dopo (le annotazioni di quei giorni sono datate in modo confuso e talvolta contraddittorio), lasciò la città diretto a Sud, prima tappa Firenze; avrebbe poi raggiunto Roma, dove avrebbe aderito alla Resistenza, entrando nei GAP del Partito comunista.

8 settembre

Sull’imbrunire, mentre leggo Verga al mio tavolo, sento una insolita animazione nella fondamenta, esclamazioni festose, canti giulivi di ragazzi; richiami ridenti di bambine. Poi una donna, da una finestra di rimpetto dopo aver chiesto qualcosa ad altre donne già nella fondamenta, dice: – Maria Vergine! – con intonazione gioiosa. Mi affaccio incuriosito e domando: – Hanno firmato la pace, – mi dicono. – È l’armistizio. – Mi vesto ed esco. Una pattuglia di tre soldati sta passando, e tutti li interrogano: – È vero, è vero, – rispondono, ma la loro voce è senza allegrezza, stanca, opaca, avvilita.  [Leggi di più…] info8 settembre 1943 a Venezia

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8 settembre 1943: dalla Gazzera alla deportazione

06/09/2012

di Giuseppe Zaggia, a cura di redazione sito sAm

Proseguiamo la pubblicazione di ricordi e testimonianze relativi all’8 settembre 1943 e ai giorni seguenti. Ecco le prime pagine del diario di prigionia di Giuseppe Zaggia, che all’epoca aveva 33 anni ed era ufficiale al forte Gazzera. Sposato con un figlio, abitava a Mestre, non lontano dai Quattro Cantoni; la madre e due fratelli in età di leva abitavano a Venezia. Ordini contrastanti, prime fughe dalla caserma, soldati e ufficiali vestiti da borghese, colonne di soldati di Marina fatti prigionieri dai tedeschi all’imbocco di via Piave… Il 15 settembre due S.S. e un interprete lo prelevano a casa e lo conducono al Comando tedesco, da dove verrà mandato prigioniero in Polonia e in Germania  per essersi rifiutato di servire il Reich, i tedeschi occupanti e i fascisti loro alleati. Zaggia scrive che era iniziata una “caccia all’uomo, per costringerlo a servire ancora e suo malgrado la causa sbagliata”. Zaggia darà alle stampe il suo diario di prigionia al ritorno a casa, nel settembre 1945 (Filo spinato, Rialto, Venezia 1945).

8 settembre: La Gazzera

Vado in caserma come al solito e, come al solito dal 26 luglio, mi occupo del «servizio di ordine pubblico». Poco dopo le undici, si odono fioche le sirene. Il trombettiere della caserma dà l’allarme. Lo scompiglio, incredibilmente rapido, ha inizio. Gruppi di soldati traversano il cortile, correndo come forsennati, quasi sentano già cadere le bombe. Raggiungo di corsa le scale, gridando. Qualcuno si ferma, incerto tra l’obbedienza e la fuga, poi, chiamato per nome, si calma.

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