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Piero Colacicchi

Cronaca di una “calata” sull’ospedale psichiatrico. Reggio Emilia, novembre 1970

10/08/2015

di Piero Colacicchi

Ricordiamo il nostro amico Piero Colacicchi, a un anno dalla sua scomparsa, ripubblicando una sua testimonianza relativa alla prima “visita di controllo popolare” all’ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, avvenuta il 23 novembre 1970.

Questo resoconto della prima visita di controllo popolare da parte di un gruppo numeroso di cittadini a una istituzione manicomiale che, per quello che mi risulta, sia mai avvenuta, è stato scritto servendosi di una serie di appunti da me stesso ripresi nei giorni immediatamente successivi, e integrato con interviste e ricerche fatte qualche anno dopo, e parzialmente pubblicate nel libro di Giorgio Antonucci I pregiudizi e la conoscenza. Critica alla psichiatria (1986).

Avevo conosciuto Giorgio Antonucci qualche anno prima, nel 1967, quando lui come medico, io come docente dell’Accademia di Belle Arti [di Firenze], collaboravamo nel Laboratorio “La Tinaia” dell’Ospedale Psichiatrico di San Salvi a Firenze, ed io, fin dall’inizio, mi ero convinto dell’importanza delle sue posizioni completamente diverse da quelle di tutti gli altri. Eravamo quindi rimasti in stretto contatto e io seguivo con molto interesse e partecipazione l’evolversi del suo lavoro. Ci legava e ci lega tuttora, in maniera particolare, una profonda indignazione nei confronti di quanto si vede nelle istituzioni psichiatriche e, attraverso di lui, avevo imparato a raggiungere una certa capacità critica nei confronti della psichiatria stessa, tanto che, già all’epoca di Reggio, ne avevo capito il carattere di ideologia puramente repressiva, priva di qualsiasi significato o valore scientifico, alla pari del razzismo. E fu per l’appunto durante la mostra “Libertà nel Mississippi” – mostra di fotografie e opere d’arte – che avevo ideato e poi contribuito a organizzare nel 1964 al Palazzo di Parte Guelfa a Firenze insieme a Mario Materassi e Vicky Halper sotto la direzione di Enzo Enriquez Agnoletti, che conobbi quei collaboratori del prof. Mori, che, l’anno dopo, mi avrebbero chiamato a metter su, come tecnico, il Laboratorio “La Tinaia”.

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Archiviato in:La città invisibile, Piero Colacicchi Contrassegnato con: antipsichiatria, cronaca, Giorgio Antonucci, Reggio Emilia, ricordi

Sacco e Vanzetti, oggi

22/08/2014

di Piero Colacicchi

In occasione dell’anniversario dell’esecuzione di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (22 agosto 1927), riprendiamo il saggio scritto da Piero Colacicchi per accompagnare la prima edizione italiana del pamphlet che John Dos Passos compose nel 1927 per conto del Comitato di difesa Sacco e Vanzetti, tentando un’ultima mobilitazione dell’opinione pubblica che permettesse almeno di ottenere un nuovo rinvio dell’esecuzione. È il modo che abbiamo scelto per ricordare il nostro amico Piero, che se n’è andato l’11 agosto scorso. I lettori del sito hanno avuto modo di conoscerlo un po’ in questi anni: l’ultimo suo intervento risale al maggio scorso, un “oggetto”, il ritratto della tata russa, Duniascia, eseguito da sua madre, Flavia Arlotta.

«Il carcere è quel posto in cui perdi ogni rispetto per la legge. Ciò accade perché la vedi in tutta la sua crudezza, nuda, distorta, piegata, ignorata, gonfiata oltre ogni proporzione per andar bene a coloro che la mettono in pratica.»1

Le vicende del processo a Vanzetti e a Sacco sono ben note. Da queste sono nati anche un film, un’opera teatrale, molte canzoni – tra cui quelle famose di Woodie Guthrie e di Joan Baez ed Ennio Morricone – innumerevoli libri, articoli, poesie2. All’epoca il processo ebbe un’immensa eco di stampa a livello internazionale. Il Comitato di difesa Sacco e Vanzetti raccolse più di 200.000 dollari – il che non è poco se si tiene conto che il salario di Sacco, operaio specializzato in fabbrica al momento dell’arresto, era di circa 3.600 dollari l’anno. Al loro fianco, oltre a Dos Passos, in una serie di appelli, si schierò il fior fiore degli intellettuali di tutto il mondo. 

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  1. Da una lettera di Lamont Branch, presunto omicida, detenuto in attesa di esecuzione per 13 anni nella Shawangunk Correctional Facility di New York, infine liberato perché riconosciuto innocente, citata da S. Christianson, Condemned. Inside the Sing Sing Death House, New York University Press, New York 2000, p. 24. [↩]
  2. Per una breve rassegna, si può vedere L. Botta, Sacco e Vanzetti: giustiziata la verità. La vicenda dei due anarchici, nei fatti e nelle battaglie per la riabilitazione, con lettere, fotografie e documenti inediti, prefazione di P. Nenni, Edizioni Gribaudo, Cavallermaggiore 1978, pp. 135-193. Sembra che il mito sia ancora presente nelle manifestazioni politiche. Marina Forti, inviata a Teheran per seguire le elezioni presidenziali del giugno 2005, ha raccolto voci – sembra che la stampa fosse presente, ma non è trapelata nessuna notizia pubblica e ufficiale – su una manifestazione di donne davanti alla sede dell’università, per i diritti, la democrazia, la liberazione dei prigionieri politici; era la prima protesta di donne a Teheran dai primi mesi della rivoluzione del 1979. Striscioni e cartelli erano accompagnati da slogan, cantati sul motivo della ballata per Sacco e Vanzetti (cfr. M. Forti, Bombe sulle elezioni. Iran Domenica esplosioni vere, con 10 morti, e ieri «immaginarie». Polizia contro una protesta di donne, “il manifesto”, 14 giugno 2005). [↩]

Archiviato in:La città invisibile, Piero Colacicchi Contrassegnato con: Bartolomeo Vanzetti, diritti civili, Nicola Sacco, pena di morte, storia del movimento operaio

Ritratto di Duniascia (anni Cinquanta-…)

18/05/2014

di Piero Colacicchi

In casa mi rimangono molti quadri dipinti da mia madre, che sin da giovanissima si era dedicata alla pittura. Tra i ritratti ce n’è uno abbastanza piccolo (cm 35×24) che tengo nell’ingresso di casa mia e ho avuto sempre caro: è quello del volto di Duniascia. Forse mai come in questo caso un oggetto parla di una persona, anzi di due.

Venuta dalla Russia per far da bambinaia prima a mio zio, poi a mia mamma e rimasta parte integrante della mia famiglia, Duniascia fu per noi tutti, con la sua forza il suo coraggio e la sua abnegazione un punto di riferimento sicuro durante tutta la sua vita; per me e per mio fratello, poi, fu la nostra nonna, sostituendo quella vera che non avevamo conosciuto. 

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