di Carlo Cappellari
Portapenne in onice alabastrino, di forma rettangolare 20 x 10 cm, realizzato da mio papà, che dal 1960 al 1980 è stato un operaio addetto al taglio del marmo in un’azienda del padovano.
Cose da rigattieri, o scampate a un trasloco, o a una casa svuotata per le ragioni della vita o della morte. Un vecchio macinino da caffè in cucina; una scatola di legno in ripostiglio che non vi serve ma che non potreste mai buttare; foto di volti a cui non si sa attribuire un nome; oggetti riportati da una qualche gita, fatta chissà quando, da chissà chi; la foto scattata per un’occasione o per fissare un momento, il dettaglio inquadrato forse per caso.
Raccontiamo oggetti e immagini, e lasciamo che siano loro a raccontare. Una didascalia e una breve scheda: pensando a un albero genealogico, a ciò di cui è fatto l’ambiente in cui viviamo, o forse a un museo in cui questi oggetti potrebbero un giorno finire.
di Carlo Cappellari
Portapenne in onice alabastrino, di forma rettangolare 20 x 10 cm, realizzato da mio papà, che dal 1960 al 1980 è stato un operaio addetto al taglio del marmo in un’azienda del padovano.
di Claudio Pasqual
Questa è una mia tessera di abbonamento dell’autobus, di quando l’azienda del trasporto pubblico veneziano si chiamava Acnil (Azienda del Consorzio di Navigazione Interlagunare) e non ancora Actv. La cosa notevole è che era fatta di latta: ogni mese, al rinnovo veniva rilasciata una linguetta di carta con su stampato il mese, che si inseriva nello spazio vuoto sotto la foto. Ovviamente non c’erano obliteratrici, il documento andava esibito agli ispettori quando salivano a controllare.
La tessera l’ha ritrovata mia madre, rovistando nei suoi cassetti. Come una madeleine proustiana, ha evocato il ragazzino di periferia, timido e incerto, che a fine anni Sessanta faceva il suo ingresso nella scuola della buona borghesia mestrina, il ginnasio-liceo Franchetti di corso del Popolo.
di Gigi Cameroni
Tra le poche cose di mia nonna, la mamma di mia mamma, arrivate sino in casa mia c’è questo libretto Il mio bambino. Era un omaggio del settimanale Bella alle sue lettrici, allegato al numero 38 di un anno che non riuscirò mai a sapere, ed è diventato un residuo, un rimasuglio di un archivio di famiglia mai curato e disperso pezzo per pezzo, a ogni grande pulizia, viaggio tra cantina e soffitta alla ricerca di spazio in casa, trasloco.
[Leggi di più…] infoLibri di famiglia (anni Settanta-Ottanta)
di Plinio e Nevio Vecchiato
Scartabellando tra le scatole di scarpe sopravvissute a decine di traslochi, mio fratello Nevio e io abbiamo trovato un foglietto con su scritta una poesia sull’attentato di Sarajevo del ’14 vergata di suo proprio pugno.
Comincio la descrizione dai caratteri estrinseci. Nella stesura manoscritta il testo si presenta redatto su comune foglio a quadri tipo bloc-notes 19×15 cm mediante penna a sfera blu. Qualche brunitura sparsa, fioriture leggere, in generale lo stato di conservazione è buono. Sui bordi residue tracce di nastro adesivo (l’aveva attaccata da qualche parte?). Porta la data del 4 maggio 1992. Data cronica in forma gg/mm/aa. Il mese espresso in numero romano conferisce solennità all’intero impianto formale.
[Leggi di più…] infoFoglio sparso con poesia (4 maggio 1992)
di Piero Colacicchi
In casa mi rimangono molti quadri dipinti da mia madre, che sin da giovanissima si era dedicata alla pittura. Tra i ritratti ce n’è uno abbastanza piccolo (cm 35×24) che tengo nell’ingresso di casa mia e ho avuto sempre caro: è quello del volto di Duniascia. Forse mai come in questo caso un oggetto parla di una persona, anzi di due.
Venuta dalla Russia per far da bambinaia prima a mio zio, poi a mia mamma e rimasta parte integrante della mia famiglia, Duniascia fu per noi tutti, con la sua forza il suo coraggio e la sua abnegazione un punto di riferimento sicuro durante tutta la sua vita; per me e per mio fratello, poi, fu la nostra nonna, sostituendo quella vera che non avevamo conosciuto.
[Leggi di più…] infoRitratto di Duniascia (anni Cinquanta-…)
di Gigi Cameroni
Borsa di materiale riciclato, dimensioni approssimative: 38x31x13 centimetri (più i manici). È fatta di quelle sottili bande di plastica che si usano per l’imballaggio di materiali edili (mattoni, piastrelle, ecc. Chi ha fatto lavori in casa di recente le riconoscerà subito, ma per intenderci è frequente vedere una versione più fina usata per chiudere gli scatolotti che contengono risme di carta A4). Storici e archeologi del futuro (remoto) la usaranno per dire qualcosa sullo stato del settore edile all’inizio del XXI secolo?
Me l’ha regalata un amico qualche tempo fa, direi i primi mesi del 2012, presentandomela come “l’ultimo ritrovato dell’ingegnosità del Nord-est”. Conteneva alcuni libri, in tutto un bel peso. Fatte un po’ di prove di resistenza, ho constatato che è l’ideale per trasportare bottiglie di vino, ne può contenere tra le otto e le dieci (piene). Durerà? Lo spero, ma anche nell’immagine sono evidenti le deformazioni per il carico eccessivo e l’uso troppo frequente.