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Letture

Sono brevi schede di libri, riviste, articoli o altre cose lette. Ne raccontano il contenuto, o parte di esso, e le ragioni per cui si è cominciato a leggere, i motivi per cui in quel momento un testo ci sembra adatto, ci accompagna, ci aiuta, oppure ci fa arrabbiare. Sono suggerimenti per cominciare una lettura, forse condividerla o forse evitarla.

Fedeli alle amicizie. Una lettura a più voci a Feltre (18 ottobre 2020)

20/10/2020

di Valter Deon

Domenica 18 ottobre 2020 a Feltre, nel Parco “Terra di Mezzo” in via Mezzaterra, si è tenuta una lettura pubblica di brani dal libro Francesca Canton di Gigi Corazzol. L’incontro si è svolto nel giardino del palazzo in cui Francesca Canton venne interrogata nel gennaio 1544, poche settimane prima della sentenza che avrebbe annullato il suo matrimonio con Zuane Romagno al termine di un processo cominciato nel 1542. Dopo la presentazione di Daniela Perco, che ha promosso l’iniziativa all’interno del programma “Geografie della Memoria. Voci dal Manicomio”, le letture sono state introdotte da Valter Deon. Questo il suo discorso (il titolo è redazionale).

Sarò breve e comincio con una nota sulle ragioni di questo incontro. Anche nell’edizione della Francesca Canton che buona parte di voi conosce, chiudendo i ringraziamenti, Gigi Corazzol scriveva di “offrire questo libro […] a tutti gli amici, per segno e augurio di affetto compatibilmente costante”. Oggi gli amici riconoscenti hanno voluto ricambiare a Gigi auguri e affetti. Ed esprimergli gratitudine.

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Archiviato in:La città invisibile, Letture, Valter Deon Contrassegnato con: Feltre, Francesca Canton, Gigi Corazzol, presentazione

“Siete voi quello che sarà professore e bambinaia?”. Scene di lavoro precario in un romanzo dell’Ottocento

04/10/2020

di Jules Vallès, a cura di Enrico Zanette

Lo avevamo anticipato a marzo, per l’anniversario della Comune di Parigi: il nostro Enrico Zanette si era messo in testa di fornire la prima versione italiana del Bachelier di Jules Vallès, il secondo volume della trilogia autobiografica completata dall’Enfant (Il ragazzo o Il figlio, a seconda) e dall’Insurgé (L’insorto). In questi mesi ha completato la traduzione, ora disponibile in un volume delle Edizioni Spartaco: Il diplomato. 

È un romanzo dei nostri tempi per molte ragioni. Prendiamo solo alcuni aspetti dell’inizio di quest’anno scolastico: insegnanti precari, nomine precarie, stipendi precari, situazioni grottesche. Con le debite distanze, è quel che visse l’alter ego letterario di Vallès, il giovane diplomato in cerca di impiego Jacques Vingtras, circa 170 anni fa.

Mi rivolgo al vecchio Firmin, l’addetto al collocamento che ho conosciuto tempo fa con Matoussaint, ma che non mi riconosce subito… mi sono cresciuti i baffi. Gli parlo della mia intenzione di entrare nell’insegnamento. «Ma non è stagione! Povero ragazzo, non troverai nulla per il momento». […]

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Archiviato in:Enrico Zanette, Jules Vallès, Letture Contrassegnato con: lavoro precario, pagine scelte, scuola

Andare a vedere in Sicilia. Eric J. Hobsbawm in Italia negli anni Cinquanta

07/07/2020

di Anna Di Qual

Pubblichiamo alcune pagine del recente libro della nostra socia e amica Anna Di Qual, Eric J. Hobsbawm tra marxismo italiano e comunismo britannico (Edizioni Ca’ Foscari, Venezia 2020). Abbiamo scelto quelle dedicate a un viaggio che Hobsbawm fece in Sicilia, presumibilmente nel 1953; qualche anno dopo ne scrisse un resoconto rimasto inedito. È il tema che Anna Di Qual ci aveva già presentato in anteprima il 30 maggio 2015 durante la festa di storiAmestre. Per la pubblicazione di questi brani sul sito, Anna Di Qual ha tradotto le lunghe citazioni dagli appunti di Hobsbawn, che nel libro si leggono in inglese.

Sulla scia delle discussioni con amici comunisti italiani, Hobsbawn affrontò il suo viaggio in Sicilia pensando ai nessi tra le recenti lotte contadine e una tradizione ribellistica, propria della Piana degli Albanesi, che nella memoria degli abitanti aveva contrassegnato la storia di una comunità insediatasi in Sicilia nel secolo XVI per scampare ai Turchi Ottomani. Iniziò così la ricerca che avrebbe portato Hobsbawm a studiare quelle forme di ribellismo contadino che gli erano state presentate come “arcaiche”, e che tali gli sembravano alla luce della sua formazione politica segnata dal marxismo britannico.

Durante la sua prima visita romana, negli ultimi giorni dell’agosto 1951, [Eric J.] Hobsbawm entrò in contatto, grazie all’intercessione di [Delio] Cantimori, con i quadri culturali del Partito comunista italiano: era un ambiente, quello della fondazione Gramsci, dove dopotutto era facile essere accolti con grandi onori se si poteva dire, come fece Hobsbawm, di conoscere [Piero] Sraffa. La persona con cui Cantimori lo mise in contatto fu Ambrogio Donini, che all’epoca era direttore del Gramsci, delle edizioni di Rinascita così come, a fianco di Togliatti, anche del mensile omonimo, la rivista politica culturale del partito. Militante comunista dagli anni Venti, con alle spalle una storia di lotta antifascista in Europa e di emigrazione politica oltreoceano, Donini dalla fine della guerra era entrato nel comitato centrale del PCI: era un convinto assertore del ruolo dell’URSS come guida del movimento comunista internazionale ed era molto impegnato nel movimento internazionale dei Partigiani della pace; di lì a breve sarebbe diventato anche senatore. Non era solo un uomo di partito, era anche un importante studioso della storia delle religioni: Cantimori, più o meno suo coetaneo, lo aveva definito nelle chiacchierate con Hobsbawm uno dei maggiori storici marxisti-leninisti italiani. Una commistione, quella tra attività politica e attività intellettuale, che – come vedremo – colpì Hobsbawm. 

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Archiviato in:Anna Di Qual, Letture Contrassegnato con: biografia, Eric J. Hobsbawm, pagine scelte, Sicilia, storia del movimento operaio, storiografia

Un lapsus di Carlo Levi? Note di un lettore dell’“Orologio”

29/05/2020

di Filippo Benfante

Verso la fine del maggio 1950, usciva, presso l’editore Einaudi, la prima edizione de L’Orologio di Carlo Levi. In occasione di questo anniversario pubblichiamo alcune note di lettura di Filippo Benfante. Con un pensiero anche al 2 giugno, anniversario della Repubblica. Come sempre quando pubblichiamo dei saggi lunghi, del testo sono presentate di seguito le prime battute; per scaricare la versione integrale, cliccare qui.

“Paesaggi con figure”

È un desiderio che pungola ogni volta che si prende in mano l’Orologio di Carlo Levi, quello di avere a disposizione un apparato di note in grado di svelare quel che c’è dietro ai “paesaggi con figure” di cui è composto il libro: i nomi delle persone reali ispiratrici dei personaggi che il protagonista/narratore incontra e i grandi o piccoli fatti di cronaca, politica e non, dietro le circostanze in cui egli si trova coinvolto1.

Come è noto, l’Orologio, uscito per la prima volta nella collana “Saggi” dell’editore Einaudi nel maggio 1950, si svolge nell’arco di tre giorni, dal 24 al 26 novembre 1945, marcati dalla conferenza stampa in cui Ferruccio Parri diede le dimissioni da Presidente del Consiglio dei ministri, il 24 pomeriggio. Ma è un tempo che la memoria dell’autore dilata all’indietro e in avanti, abbracciando soprattutto un quinquennio, a cui si aggiungono flash back più remoti – secondo quella «compresenza dei tempi» caratteristica di Levi2.

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  1. L’espressione “paesaggi con figure” si legge nella breve nota senza titolo di Giulio Einaudi in L’“Orologio” di Carlo Levi e la crisi della Repubblica, a cura di Gigliola De Donato, Pietro Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma 1996 [finito di stampare febbraio 1997], p. 9. Forse Einaudi aveva in mente Piero Calamandrei, che usò questa formula nei primi anni Cinquanta per rievocare le gite fuoriporta fatte alla domenica con amici stretti, tra il 1935 e il 1941, “specie di illusorio fuoriuscitismo domenicale”, alla ricerca di “paesaggi con figure” dove ritrovare “una tradizione di civiltà, della quale ciascuno di noi, durante la settimana, aveva creduto, nei momenti di maggior scoramento, di avere smarrito il senso” (Piero Calamandrei, Passeggiate con Pancrazi [1953], in Id., L’oro di noi poveri e altri scritti letterari, a cura di Claudia Forti, Ponte alle Grazie, Firenze 1994, pp. 55-61, le cit. pp. 56-57). Devo la conoscenza di queste pagine di Calamandrei al bel saggio di Alberto Cavaglion, Torino ebraica 1943-45: paesaggio con figure, in Cattolici, ebrei ed evangelici nella guerra. Vita religiosa e società (1939-1945), Franco Angeli, Milano 1999, pp. 108-117, si veda in part. p. 108 (ora in parte rifuso in Id., Uscite di sicurezza. Sui passi dei miei avi, ebrei piemontesi (XIX-XX secolo), online sul sito storiamestre.it). [↩]
  2. Si veda da ultimo Maria Antonietta Grignani, Federico Milone, “Un altro tempo, che è quello della fantasia”, “Forum Italicum”, vol. 50, 2016, n. 2 (special issue: Lucania within us. Carlo Levi e Rocco Scotellaro, guest eds. Giulia Dell’Aquila, Sebastiano Martelli, Franco Vitelli), pp. 494-518, in part. pp. 495-496 mentre il resto del saggio si concentra sul tempo della stesura del libro, analizzandone il manoscritto conservato presso il Centro per gli Studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei (Centro Manoscritti) dell’Università di Pavia. [↩]

Archiviato in:Filippo Benfante, Letture Contrassegnato con: anniversari, Carlo Levi, L'Orologio, storiografia

Medici travolti dagli eventi. Una lettura

09/05/2020

di Gigi Cameroni

Il nostro amico Gigi Cameroni torna a scriverci dopo tanto tempo, per raccontarci alcune pagine che ha letto, tra la “fase 1.1” e la “fase 2” delle misure contro la diffusione dell’epidemia di coronavirus.

cari di storiAmestre,

vi ho seguito molto nella “fase 1” del contenimento dell’epidemia e, tra le altre cose, ho apprezzato le “letture dell’epidemia” di Lucio Sponza e di Giannarosa Vivian. Ed è per una mia lettura, tra fase 1 e fase 2, che vi scrivo ora.

Quando il 14 aprile le librerie hanno avuto il permesso di riaprire, ho deciso che al più presto avrei fatto una visita a quella piccola del quartiere in cui vivo. No sacro fuoco retorico del libro “bene di prima necessità”, tra l’altro condivido lo scetticismo del vostro amico libraio Davide Zotto. Il fatto è che ho in casa due figli piccoli da intrattenere, per posta in quei giorni libri per bambini non ne arrivavano, e soprattutto avevo un pretesto per spingermi il più lontano possibile entro i termini prescritti dalla legge.

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Archiviato in:Gigi Cameroni, Letture Contrassegnato con: Oliver Sacks, quarantena

“Nell’anno sessantacinque, nostro evo”. Leggere Daniel Defoe in quarantena

01/04/2020

di Giannarosa Vivian

La nostra amica e socia Giannarosa Vivian ha letto un classico per questi tempi: La peste di Londra, di Daniel Defoe. Il libro che ha avuto tra le mani è la seconda edizione italiana, del 1942 (La peste di Londra. 1722, traduzione di Elio Vittorini, Bompiani, Milano; la prima edizione era uscita nel 1940). 

Quando nel 1665 a Londra scoppiò una terribile pestilenza Daniel Defoe doveva avere all’incirca cinque anni. Quasi sessant’anni dopo, nel 1722, la racconta in un libro (A journal of the plague year) che sta a metà tra il romanzo e il resoconto, scegliendo come voce narrante un sellaio di Whitechapel. Per ripercorrere l’anno infausto dell’epidemia – il suo progressivo dilagare di zona in zona, le decisioni che vennero prese dalle autorità, le conseguenze sociali ed economiche – Defoe si avvale dei documenti dell’epoca, sulla base dei quali riporta con precisione numeri, luoghi, date, nomi. Si capisce però che attinge anche a un’altra grande fonte, cioè ai ricordi mantenuti vivi nel tempo grazie a storie che passano di bocca in bocca, di casa in casa, e che a lui capitò di ascoltare, chissà quante volte e in quante varianti diverse, per tutta la vita. Sono episodi, scene, dialoghi che vengono messi in scena talvolta nella forma classica del copione teatrale.

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Archiviato in:Giannarosa Vivian, La città invisibile, Letture Contrassegnato con: Daniel Defoe, Londra, peste

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