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Giacomo Bonan

Energia contro agricoltura. Pagine dal nuovo libro di Giacomo Bonan

16/01/2021

di Giacomo Bonan

Riprendiamo alcune pagine dal libro del nostro amico e socio Giacomo Bonan, Le acque agitate della patria. L’industrializzazione del Piave (1882-1966), da poco uscito per l’editore Viella. Giacomo vi ricostruisce le vicende delle trasformazioni della rete idrografica del fiume durante la transizione industriale dell’Italia, periodo che comincia appunto negli ultimi decenni del XIX secolo e giunge a compimento negli anni Sessanta del Novecento. “Tra le diverse attività connesse all’uso delle acque – scrive nella sua introduzione –, sono tre quelle che hanno contribuito a trasformare il regime idraulico del Piave e la morfologia del bacino in quel periodo: bonifica, irrigazione, produzione di energia idroelettrica. Lo sviluppo simultaneo di questi settori scatenò una serie di contrasti per l’uso delle acque”. Le pagine che riprendiamo qui ricostruiscono la competizione per l’impiego del sistema Piave-lago di Santa Croce tra la Sade e il consorzio della Brentella: quanta acqua per produrre energia idroelettrica e quanta acqua per gli usi agricoli. Questo caso era quello che Bonan aveva scelto di illustrare a soci-e e amici-che di storiAmestre nel settembre 2019, in occasione di un incontro pubblico ospitato dal Dopolavoro ferroviario a Mestre.

Il 3 settembre del 1920, a meno di un anno dalla precedente concessione, fu presentata una nuova domanda di derivazione da parte della Cellina1, anche se la procedura sarebbe stata portata avanti dalla Società idroelettrica veneta (Siv), sempre appartenente al gruppo Sade, che assorbì la Cellina nel 1921. La domanda prevedeva un esponenziale aumento del prelievo dal Piave, dai 6 mc/s già concessi a 30 medi annui, che potevano oscillare tra un massimo di 80 e un minimo di 8 mc/s. Il rilascio da garantire a valle della derivazione di Soverzene veniva dimezzato a 12 mc/s.

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  1. La prima compagnia elettrocommerciale del Veneto, la Società italiana per l’utilizzazione delle forze idrauliche del Veneto, fondata nel 1900, era comunemente nota come “Cellina”, dal fiume in cui costruì i suoi primi impianti di produzione. Entrò formalmente nel gruppo Sade nel 1914. Ndr [↩]

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Beni comuni, conflitti sociali e movimenti religiosi. Cadore e Comelico, prima metà dell’Ottocento

07/07/2019

di Giacomo Bonan

Riprendiamo la versione italiana di alcune pagine dal recente libro di Giacomo Bonan, The State in the Forest. Contested Commons in the Nineteenth Century Venetian Alps. Il nostro socio e amico vi analizza le vicende storiche dei beni d’uso comune in Cadore e nell’alto bacino del fiume Piave nel periodo intercorso tra l’introduzione del modello amministrativo franco-napoleonico a inizio Ottocento e gli anni successivi all’annessione di questi territori al regno d’Italia. Sul significato che il termine “beni comuni” ha assunto nel corso del tempo Giacomo Bonan si era soffermato in un intervento in una delle due giornate di studio che sAm ha promosso nel 2015 presso la biblioteca di Marghera.

Oltre alle esplosioni di protesta collettive, come quelle avvenute in seguito all’emanazione della legge del 1839 o in concomitanza con i moti del 1848, la conflittualità legata all’utilizzo delle risorse forestali è attestata da forme di opposizione meno eclatanti ma altrettanto radicate tra la popolazione, quelle della sistematica violazione dei codici forestali. Si tratta di un fenomeno che si diffuse quasi ovunque nell’Europa di quei decenni, all’interno di un più generale processo di criminalizzazione delle pratiche consuetudinarie correlato alle dinamiche di trasformazione sociale ed economica che investirono gran parte del continente.

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Beni comuni, significati diversi

07/11/2015

di Giacomo Bonan

Pubblichiamo il testo dell’intervento di Giacomo Bonan, che ha inaugurato i due incontri intorno al tema “beni comuni” organizzati da storiAmestre, e ospitati dalla Biblioteca di Marghera.

Questo intervento intende proporre una breve panoramica sui principali significati attribuiti alla locuzione italiana “beni comuni” e all’inglese commons e valutare se ci sono dei nessi che ricorrono tra questi diversi significati.

1. Per sondare il significato che viene generalmente associato a “beni comuni” o a commons ho percorso quella che credo sia la strada più battuta, di questi tempi, per scoprire l’accezione di uno o più vocaboli: li ho cercati su Google. Prima ho digitato commons. Google censiva 567 milioni di risultati per questa ricerca. Mi limiterò a citare i primi tre. Riguardano tutti la condivisione di materiale informatico o digitale. I primi due risultati sono rispettivamente la pagina italiana e inglese di Wikimedia Commons (un database di file multimediali liberamente utilizzabili); il terzo è la pagina italiana delle famose licenze Creative Commons.

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Beni comuni. Storia e presente: 9 ottobre 2015

08/10/2015

di sAm

Ricordiamo il primo incontro del ciclo Beni comuni. Storia e presente presentando gli abstract delle relazioni di Giacomo Bonan e Lucio Sponza. L’appuntamento è per venerdì 9 ottobre, presso la biblioteca di Marghera, dalle ore 16,30.

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“Buon compleanno storiAmestre”. Una cartolina da piazza Garibaldi (Sofia, Bulgaria)

02/06/2013

di Giacomo Bonan

Pubblichiamo la lettera-cartolina che Giacomo Bonan ci ha scritto dalla piazza Garibaldi di Sofia, la capitale della Bulgaria, dove si trova in questi mesi per lavoro, per augurare buon venticinquesimo compleanno a storiAmestre.

Le occasioni sono due: partecipare, pur solo idealmente, ai festeggiamenti per i 25 anni di storiAmestre e fare una postilla d’attualità alla proposta di ricerca di Giovanni Colle sull’emigrazione dal Bellunese. Avevo letto l’intervista sull’armata perduta di Cambise quand’era stata pubblicata, lo scorso autunno, mentre mi trovavo a Edimburgo a lavorare per alcuni mesi. Ricordo che i temi affrontati mi avevano colpito, anche per la mia contingente situazione di “emigrante” bellunese trasferito nel Regno Unito per migliorare il proprio inglese e cameriere occasionale in un’agenzia di catering per sopravvivenza. Comunque, la mia condizione era volontaria e temporanea, non certo paragonabile a quella delle persone incontrate da Giovanni Colle nelle fabbriche di Mestre e Marghera.

Più che altro mi ero fermato a riflettere sulle motivazioni che hanno spinto quelle persone a emigrare e quelle che spingono la gente oggi, almeno quella piccola porzione di “gente” che conosco, a fare la stessa cosa. Già allora avevo promesso agli amici di storiAmestre che avrei scritto qualcosa, ma l’argomento era ostico e non combinai nulla. L’idea mi è tornata in mente in questi giorni, a oltre 3.000 km di distanza a Sofia, capitale della Bulgaria.

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