testimonianza di Gisella Vita Finzi raccolta da Anna Segre, presentazione a cura di redazione sito sAm
In questi giorni a ridosso dell’anniversario, presentiamo alcuni ricordi – già pubblicati in altre sedi ma non sempre facili da ritrovare –, relativi all’8 settembre 1943 e ai giorni immediatamente successivi. Cominciamo con quello di Gisella Vita Finzi, che nel 1943 era una ragazzina sfollata nel Miranese insieme alla madre, al fratello e alla sorella. La sua famiglia – una famiglia ebraica legata all’antifascismo torinese in cui era nato il movimento “Giustizia e Libertà” – lasciò Milano per Venezia alla fine del 1942, per evitare i bombardamenti aerei. È lì che conobbero il grande ma breve entusiasmo del 25 luglio. Dopo l’8 settembre Gisella e i suoi familiari lasciarono anche Venezia per nascondersi in campagna, dove delle zie avevano terre, che davano a mezzadria. Lì nessuno li denunciò. Nella memoria di una ragazzina, il Miranese era una zona sicura: nei fienili si nascondevano giovani renitenti delle famiglie contadine, e in paese c’era un solo fascista cattivo da cui guardarsi. Dopo qualche tempo sarebbero passati prima in Piemonte, nelle valli valdesi, e quindi in Svizzera, dove trovarono rifugio definitivo nel dicembre 1943. La testimonianza di Gisella Vita Finzi è tratta dal libro di Anna Segre, Il mondo del 61. La casa grande dei Vita (Fondazione Alberto Colonnetti-Archivio ebraico B&A Terracini, Torino 2007), dove quel “61” indica l’indirizzo della casa di famiglia dei Vita, al 61 di corso Re Umberto a Torino.
Ci fu un consiglio di famiglia per decidere cosa fare e se e come nasconderci. C’era l’ipotesi di andare al sud: in effetti da Venezia qualcuno raggiunse Roma e di qui fu poi deportato, ma qualcuno riuscì a salvarsi. Le zie non volevano muoversi con il solito discorso che nessuno avrebbe toccato due vecchie innocue signore. Si allontanarono dalla loro casa soltanto durante l’inverno, ma ancora in tempo per salvarsi, nascondendosi presso dei contadini nelle campagne della zona di Mirano. Per noi si prospettò la possibilità di affittare un alloggio che l’ortolana Celestina, da cui si servivano le zie, aveva da poco costruito a Salzano, in prolungamento di una cascina contadina in un’azienda di sua proprietà. Così noi quattro [Gisella con la madre Matilde Vita, il fratello Emilio Vita Finzi e la sorella Paola Vita Finzi] ci trasferimmo lì portando il minimo necessario, sempre con la convinzione che fosse per poco, dato che gli alleati erano già sul suolo italiano, e papà tornò al lavoro.