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Andrea Lanza

Chi davvero abbatte i monumenti? Note su memoria, storiografia e statue

02/02/2021

di Andrea Lanza

Il nostro amico e socio Andrea Lanza parte da una statua imbrattata – vista durante una passeggiata nel centro di Toronto dove vive – per riflettere sul rapporto tra memoria e storiografia, uso e ruolo sociale della storiografia, rapporti tra forme diverse di confronto con il passato. Sapendo che la vita è una cosa, la sua memoria e la sua storia sono un’altra.

Con il suo articolo, Lanza riprende da un altro punto di vista la discussione sulla public history avviata su storiamestre.it quasi un anno fa da Piero Brunello e Pietro Di Paola.

Egerton Ryerson con le mani macchiate di rosso

In una delle mie passeggiate da lockdown nel centro di Toronto mi fermo davanti alla statua di un uomo dell’Ottocento che insegna tenendo un libro nella mano. Dietro di lui, su una sorta di capitello, sono appoggiati altri libri. È Egerton Ryerson (1803-1882), pastore metodista e, come si legge sul basamento, fondatore del sistema scolastico dell’Ontario. Al suo impegno politico progressista e alla sua opera legislativa si deve infatti l’istituzione delle scuole pubbliche e gratuite nella maggiore delle province anglofone del Canada. Da quest’estate, la statua è coperta di vernice verdognola, mentre le mani sono sporche di rosso. 

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“No farmers, no food”. Chi manifesta a Toronto per i contadini del Punjab (dicembre 2020)

19/12/2020

di Andrea Lanza

Il nostro amico e corrispondente da Toronto si trova a seguire per caso una manifestazione che si svolge nel centro della capitale dell’Ontario e scopre una mobilitazione in corso nel Punjab. Si torna a un tema che abbiamo già incrociato con le recenti letture del libro di Marco D’Eramo: liberalizzazione è un eufemismo della nuova lingua, sta per incremento dello sfruttamento e dell’oppressione a favore delle grandi multinazionali, con il sostegno degli Stati. Tanti piccoli gruppi, sparsi per il mondo, dichiarano che questo mondo non è ovvio né inevitabile.

1. Martedì 1 dicembre ho finito la mia lezione online verso le quattro, con il solito senso di frustrazione per la stentata interazione virtuale con gli studenti. Dal basso provengono incessanti suoni di clacson e un confuso vociare. È diverso dalla voce enfatica, amplificata dalle casse portatili, del predicatore di strada che spesso si mette all’incrocio qui sotto, ventisei piani più in basso, per esortare la gente a ravvedersi. Mi affaccio: c’è una lunghissima colonna di veicoli che tendono a bloccare il traffico. Dai finestrini e dai tettucci spuntano braccia, teste, cartelli e qualche bandiera. Non sono in grado di decifrare i segni. 

Questi cortei motorizzati non sono eccezionali a Toronto. Dicono qualcosa su dove abitano i manifestanti: gli infiniti sobborghi della classe media, da cui ci si muove quasi solo in macchina. Difficile invece capire a colpo sicuro il senso della loro protesta. Diverse settimane fa, per esempio, mi era capitato di veder passare un’infinita fila di veicoli clacsonanti scendere su uno degli assi principali della città, verso Dundas Square: erano armeni che denunciavano la guerra in Nagorno-Karabakh.

Per via di alcuni grossi pickup scuri, mi convinco che in questo caso sia un corteo di quel crogiuolo piuttosto eterogeno che ho già visto concentrarsi nella vicina Dundas Square, la piccola Times Square torontina, il sabato pomeriggio, per denunciare la dittatura sanitaria, il soffocamento da mascherina e un assortimento vario di complotti. E che inneggia indomito a Trump.

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Stanchi di essere una minaccia. Dalle manifestazioni del movimento “Black Lives Matter” (Toronto, 5-13 giugno)

20/06/2020

di Andrea Lanza

Un nuovo reportage da Toronto del nostro Andrea Lanza, che da qualche anno vive in Canada per lavoro. Le foto nell’articolo sono sue.

1. Da Toronto, gli Stati Uniti sono vicini. Nelle giornate limpide si intravedono anche, a saperlo, guardando la costa del lago nel punto in cui diventa invisibile. Il fiume Niagara, che segna il confine, è a un paio di ore di pullman, cui bisogna aggiungere il non poco tempo che esigono i normali controlli di frontiera. Con la pandemia hanno deciso che frontiera si può passare solo a piedi. 

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Non prender rilevazione per rivelazione. Consigli su come resistere alla mistica della curva

11/04/2020

di Andrea Lanza

Il nostro amico e socio Andrea Lanza, a partire da quello che vede in Canada – dove vive – e segue a distanza dall’Italia, riflette sull’uso delle statistiche mediche al tempo della quarantena: la confusione tra dati e realtà, la costruzione delle variabili osservate, i giochi di prestigio, l’uso rituale. Consigli su come resistere alla mistica della statistica anche in tempi ordinari.

In questo tempo di coronavirus le statistiche sono diventate il principale strumento per rappresentare il pericolo invisibile. Su di esse si basano le decisioni delle autorità. La loro riproduzione massiva non solo legittima la riduzione delle libertà individuali, ma condiziona i nostri comportamenti, studiati a loro volta da altre statistiche, più o meno improvvisate quali quelle messe a disposizione da google.

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Spine meticolosamente svitate. Frammenti dell’immediato dopoguerra da carte di famiglia (1945-1948)

30/01/2020

di Andrea Lanza

Il nostro amico e socio Andrea Lanza ha recuperato tra le carte di famiglia cinque lettere ricevute da suo nonno, Giuseppe Lanza, tra il 1945 e il 1948. Ricostruisce così alcune scene della vita di chi era sopravvissuto e riprendeva un’esistenza dopo la guerra e il genocidio. La moglie Ania Goldstein (di origine russa ed ebraica) era morta di tubercolosi nel 1943; il cognato Ramik aveva lasciato l’Italia per gli Stati Uniti all’indomani delle leggi razziali del 1938; la suocera Anastasia era stata deportata dopo essere stata arrestata dalle SS nella casa di cura di Milano in cui aveva cercato di nascondersi. Giuseppe apriva le lettere di chi cercava di avere notizie in una casa ancora spoglia di tutto per via di una requisizione tedesca nel 1944, e ora condivisa con una famiglia di esuli fiumani. I primi passi di una ricerca da fare.

Degli anni del primissimo dopoguerra, non ho che due foto in cui si possa vedere mio nonno, Giuseppe Lanza: una del 1946 e una del 1947. 

La prima, scattata in estate durante una gita fra il lago di Lugano e il lago Maggiore, è una foto di famiglia. Giuseppe porta una camicia a maniche corte e dei pantaloni corti dalla vita altissima. Oggi si direbbe che sembrava molto più vecchio dei suoi quarantasei anni; nato il 16 dicembre 1899, a Valguarnera nell’entroterra siciliano, era stato registrato all’anagrafe il 1° gennaio seguente, evitando così il fronte della Prima guerra mondiale. Dopo il militare si era trasferito “al Nord”, dove si era sposato con Ania Goldstein nel 1935, che morì meno di otto anni dopo. Nella foto, vicino a Giuseppe stanno mio padre Diego, di nove anni, e i quattro membri della famiglia di esuli fiumani che vivevano nel loro stesso appartamento a Milano. 

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Il Primo maggio a Toronto si lavora. Cronaca di una manifestazione

06/05/2019

di Andrea Lanza

Il nostro Andrea Lanza ha seguito le manifestazioni del Primo maggio a Toronto, in Canada, dove vive, prendendo qualche appunto e scattando alcune foto. 

Il Primo Maggio a Toronto si lavora: in tutto il Canada è un giorno feriale come gli altri. C’è un Labour Day, il primo lunedì di settembre, ma già dal nome si capisce che non è il Workers’ Day. Anche a Toronto ci sono però delle manifestazioni, che cominciano alla fine dell’orario di lavoro.

Mi avvio verso la piazza del municipio, il cielo è grigio e la pioggia incomincia a farsi noiosa. Arrivo nella grande spianata che si apre davanti al palazzo nuovo del comune che sono le cinque, l’ora di inizio delle dimostrazioni. Nonostante, in questa città, la manifestazione del Primo Maggio non richiami mai grandi folle, ci sono diversi preconcentramenti nella gigantesca piazza.

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