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Alberto Cavaglion

Le debolezze degli uomini andrebbero storicizzate. Una nota su storiografia e processi postumi

05/12/2021

di Alberto Cavaglion

Anche quest’anno Sannicolò ha pensato a noi di storiamestre.it e a chi segue queste pagine: “per il vostro sito di storia e storiografia”, ci ha lasciato queste due righe e una lettura. Alberto Cavaglion riflette sull’uso politico delle biografie, sulla selezione delle fonti per ricostruirle, sulla contestualizzazione degli episodi: quando la storiografia invece di essere «studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano», diventa una requisitoria; quando invece di avvicinarsi con riguardo al passato, diventa una rivendicazione di superiorità morale dei posteri; o ancora un modo per affermare la propria autorevolezza in un campo disciplinare. Cavaglion parte dai più recenti episodi di un lungo «processo» allo storico dell’età antica Arnaldo Momigliano (1908-1987), imputato di compromissione con il fascismo fino alle leggi razziali del 1938, avviato sulle pagine della rivista Quaderni di storia di Luciano Canfora sin dai primi anni Ottanta.

1. «Fare i conti con il passato», «fare i conti con il fascismo». Sono espressioni che ritroviamo in molta storiografia e anche in molte pubbliche conversazioni. Non escludo di essermene servito io stesso, ma ho fatto in tempo a pentirmene. Da un lato lavori molto seri si sono mossi lungo il crinale fra fascismo e postfascismo1; dall’altro lato è andato diffondendosi un cliché accusatorio e moralistico discutibile: i fantasmi del fascismo tendono a confondersi con il sottile piacere di macchiare l’immagine di questo o quell’altro grande personaggio, svelandone «terribili segreti».

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  1. Tra le cose uscite negli ultimi vent’anni rimando a: Pier Giorgio Zunino, La Repubblica e il suo passato. Il fascismo dopo il fascismo, il comunismo, la democrazia, Il Mulino, Bologna 2003; Mirella Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte, Corbaccio, Milano 2005; Luca La Rovere, L’eredità del fascismo. Gli intellettuali, i giovani e la transizione al postfascismo, 1943-1948, Bollati Boringhieri, Torino 2008; Raffaele Liucci, Spettatori di un naufragio. Gli intellettuali italiani nella seconda guerra mondiale, Einaudi, Torino 2011; Mariuccia Salvati, Passaggi. Italiani dal fascismo alla Repubblica, Carocci, Roma 2016; Sergio Luzzatto, Introduzione a Piero Calamandrei, Uomini e città della Resistenza. Discorsi, scritti, epigrafi, Laterza, Roma-Bari 2006; Simon Levis Sullam, I fantasmi del fascismo. Le metamorfosi degli intellettuali italiani nel dopoguerra, Feltrinelli, Milano 2021. [↩]

Archiviato in:Alberto Cavaglion Contrassegnato con: antifascismo, Arnaldo Momigliano, biografia, fascismo, san Nicola, storiografia

«Perché le tombe antiche fanno meno malinconia di quelle più nuove?». Pagine da un libro recente

29/04/2021

di Alberto Cavaglion

È da pochi giorni in libreria il nuovo libro del nostro amico Alberto Cavaglion, Decontaminare le memorie. Luoghi, libri, sogni (Add editore). In queste pagine, Cavaglion riprende e sviluppa le riflessioni avviate nel 2019, con una relazione presentata alla Summer School dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, subito pubblicata sul nostro sito. Punto di partenza, la constatazione che è negativo il bilancio di una ventina d’anni di “politiche della memoria”, “calendari civili” e commemorazioni pubbliche infilate nei programmi scolastici. L’invito è quello di prendersi una pausa – anche quella forzata dalla pandemia – per riflettere. I temi che si intrecciano nel libro sono quelli delle poche pagine che presentiamo qui: il rapporto tra esseri umani, tempo e storia; l’insegnamento della storia a scuola; le forme di trasmissione dei valori e delle esperienze umane; i cerimoniali pubblici o lo scambio entro piccoli gruppi; l’importanza di una biblioteca; l’uso e l’abuso della categoria “luoghi della memoria” e il suggerimento di osservare il paesaggio; lo sguardo con cui osservare e il tono di voce con cui parlare. 

Partiamo dall’autocritica, dalla fatidica frase «Mi sono sbagliato». Si è sbagliato moltissimo nei decenni scorsi, se è vero, come è vero, che i nostri laboratori sulla memoria non hanno impedito la diffusione di parole irripetibili contro le minoranze etniche, contro i neri, contro i rom, contro gli ebrei, contro i migranti, contro le donne. Chi ha lavorato nel mondo della scuola, chi si è occupato di didattica della Storia nelle istituzioni e negli assessorati dovrebbe fermarsi un attimo e ragionare sul perché ciò sia potuto accadere. Nessuno è innocente, nessuno può tirarsi indietro fingendo di non vedere. Chiedere e sperare che le cose si possano aggiustare con un processo moralistico ai Guardiani della Memoria o con la richiesta di un’ora in più nei curricula o la rassicurazione che la traccia di storia tornerà a essere reinserita nei temi per l’Esame di Stato – come è capitato di leggere in un recente appello di studiosi e docenti universitari – è un proposito ingenuo, che fa quasi sorridere se si pensa alla gravità degli errori commessi, su cui invece si sorvola.

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Archiviato in:Alberto Cavaglion, La città invisibile Contrassegnato con: didattica della storia, memoria, paesaggio, pagine scelte, storiografia

Come un vascello fantasma che generava sgomento. Da un libro recente di Alberto Cavaglion

29/01/2021

di Alberto Cavaglion

Alla fine del 2020 il nostro amico Alberto Cavaglion ha pubblicato Primo Levi: guida a Se questo è un uomo (Carocci, Roma). Ne riprendiamo qui alcune pagine dove Cavaglion richiama la necessità di valutare eventi e contesti in prospettiva, ricordando: che per un lungo periodo del dopoguerra la Shoah non fu affatto “la misura del male assoluto”; che il libro di Levi ebbe difficoltà a trovare ascolto sia nel 1947 che nel 1958; che dagli anni Sessanta (e fino alla sua morte) Levi fu riconosciuto come testimone, ma non – a differenza di quanto accade oggi – come scrittore; che a una maggiore quantità di informazioni disponibili, non per forza corrisponde una maggiore curiosità e desiderio di informarsi. Con un suggerimento: tornare a leggere il testo della prima edizione del 1947.

Nel decennio che separa la prima edizione [di Se questo è un uomo, 1947] dalla seconda [1958], durante questa faticosa revisione, non solo per Levi, la testimonianza sul Lager continua a essere richiusa.

Se lo era posto il problema, a modo suo e con grande dottrina, un filologo come Giorgio Pasquali, che si era trovato ad affrontare la stessa situazione di Levi. Aveva infatti ricevuto infiniti dinieghi alla pubblicazione dei Ricordi di giovinezza di un professore tedesco di Mark Lidzbarski. Prima di arrendersi e pubblicare su rivista il suo magnifico saggio introduttivo (una pionieristica ricognizione nel mondo degli ebrei orientali) aveva bussato invano all’uscio di quattro o cinque editori1. Non aveva chiuso gli occhi davanti a quella dura realtà nemmeno Leo Valiani, che sempre nel fatidico 1947, in una bella pagina del suo Tutte le strade conducono a Roma, scrive: «Dai campi di concentramento sono stati rimossi i forni crematori e i seviziatori, ma son rimasti campi di concentramento per le nazioni vinte e per gli individui indifesi. Metà dell’Europa si è trasformata in una nuova razza ebraica, priva di diritti politici e spesso anche civili, che deve essere contenta, se le si concede il nutrimento»2.

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  1. Si veda ora Mark Lidzbarski, Ricordi di giovinezza di un professore tedesco, prefazione di Giorgio Pasquali, postfazione di Marino Raicich, Passigli, Firenze 1988; Giorgio Pasquali, Autobiografia anonima di un Giudeo polacco, “La Rassegna d’Italia”, IV (1949), 10, pp. 981-992, poi in Id., Pagine stravaganti, introduzione di Giovanni Pugliese Caratelli, Sansoni, Firenze 1968, II, pp. 397-408. [↩]
  2. Leo Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, La Nuova Italia, Firenze 1947, p. 357. [↩]

Archiviato in:Alberto Cavaglion, La città invisibile Contrassegnato con: pagine scelte, Primo Levi, Se questo è un uomo, Shoah

Uscite di sicurezza. Sui passi dei miei avi, ebrei piemontesi (XIX-XX secolo)

23/12/2019

di Alberto Cavaglion

Ci siamo rivolti al nostro amico Alberto Cavaglion per la nostra tradizionale strenna di fine anno (tra l’altro Alberto ci ha fatto notare che quest’anno Hanukkah coincide con il periodo natalizio).

Cavaglion ci ha permesso di riprendere e rielaborare due saggi – scritti a quasi 25 anni di distanza l’uno dall’altro – per ricavarne uno scritto originale. Letture, documenti e ricordi di famiglia per ripercorrere alcuni aspetti di un secolo e mezzo di storia degli ebrei piemontesi, tra primo Ottocento e Seconda guerra mondiale, seguendo il filo di piccoli spostamenti, di uomini e donne – tra case, botteghe e rifugi – e delle loro masserizie. 

Come sempre quando pubblichiamo saggi lunghi, ne offriamo qui di seguito una breve anteprima, per leggere il testo integrale (illustrato da due documenti), cliccare qui.

Il torto di nascere ebreo diventò un diritto con Napoleone, poi tornò a essere un torto sotto Carlo Felice, per ritornare a essere un diritto con Carlo Alberto e di nuovo un torto con Mussolini. Infine il diritto venne riconquistato con la Resistenza e sancito dalla Costituzione della Repubblica. La storia degli ebrei in Italia è riassumibile in questo processo di andate e ritorni: una vittoria di diritti che si affermano dall’alto (lo Statuto) o si conquistano dal basso (la lotta partigiana) e una sconfitta di torti che ritornano a ondate periodiche fino a esplodere, in forma traumatica, sotto il fascismo.

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Luoghi della memoria e paesaggi contaminati da decontaminare

24/09/2019

di Alberto Cavaglion

Pubblichiamo il testo (rivisto) della relazione che il nostro amico Alberto Cavaglion ha presentato alla Summer School Parri La didattica della Shoah (Assisi, 29-31 agosto 2019), organizzata da Istituto nazionale Ferruccio Parri – Rete nazionale degli Istituti della Resistenza e dell’età contemporanea e Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, in collaborazione con la Città di Assisi, con il patrocinio del Centro internazionale di studi Primo Levi – Comitato nazionale per le celebrazioni 1919-2019. Come in altre occasioni, presentiamo qui di seguito solo la prima parte del testo, che si può leggere in versione integrale e scaricare cliccando qui.

Premessa

La discussione sul futuro della memoria, dei memoriali, dei musei del fascismo, delle buone pratiche scolastiche sulla Shoah e il Giorno della Memoria mi sembra sia a un punto morto. Per ripartire occorre rivedere molte delle nostre certezze e progettare con più fantasia il futuro. Quanto è emerso dalla discussione sul Museo del fascismo a Predappio cominciata nel 2016 ha messo a nudo una situazione di stallo, ma anche il logorio di vecchi schemi. L’attuale contesto politico rende il quadro più complicato: difficile immaginare se quel Museo potrà essere inaugurato, ma le divisioni che il progetto ha suscitato tra storici e commentatori bastano a mostrare il segno tangibile di uno stato di crisi su cui vale la pena tornare. La categoria di «luogo della memoria» meglio di ogni altra si presta a questo ripensamento.

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Archiviato in:Alberto Cavaglion, La città invisibile Contrassegnato con: didattica della storia, intervento, memoria, paesaggio, Shoah, storiografia

«La carta è più paziente degli uomini». Leggere nuova edizione del Diario di Anne Frank

26/01/2019

di Alberto Cavaglion

Proponiamo le prime pagine della Introduzione che il nostro amico Alberto Cavaglion ha scritto per la nuova edizione dei diari di Anne Frank, in uscita in questi giorni presso Mondadori.

Colpisce nei diari di Anne Frank il frequente ricorso a proverbi, sentenze, modi di dire: una traccia, si direbbe, delle consuetudini pedagogiche in uso nelle famiglie della borghesia ebraico-tedesca. Il riferirsi alla bontà degli insegnamenti antichi contrasta con la giovane età di chi scrive, contribuendo a delineare il ritratto di un’adolescente-adulta, di una puella-senex.

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