di Giovanni Brunello
Cronaca della manifestazione mestrina, il pomeriggio del 1° marzo, in occasione del primo sciopero degli stranieri in Italia. “Stranieri non tanto dal punto di vista anagrafico, ma perché estranei al clima di razzismo che avvelena l’Italia del presente”; cronache da tutta Italia si leggono sul sito http://www.primomarzo2010.it.
Parcheggio come al solito il motorino in via Verdi, in uno dei pochi spazi di Mestre destinati ai motocicli. M’incammino verso piazza Ferretto e inizio a sentire il rimbombo della musica. Appena mi trovo in piazza vedo un capannello di gente, e quello che prima percepivo come un forte e confuso brusio si trasforma lentamente in nitide rullate di djambè. È un gruppo di africani, probabilmente senegalesi, a scandire i ritmi con i tamburi. La gente intorno è ancora poca, qualche decina di uomini di mezza età, d’altronde mancano ancora dieci minuti alle 17, ora in cui era previsto l’appuntamento.
Nello stesso momento mi sento battere sulla spalla: sono arrivati i ragazzi del Centro Sociale Rivolta che mi invitano ad andare con loro al Candiani, dietro la piazza dell’happening, a prendere e trasportare l’impianto audio composto da casse, mixer e generatore. Così scarichiamo il materiale da un pick-up stile americano, che scopro essere di uno dei ragazzi, il quale subito viene preso in giro per il “macchinone”.
Torno in piazza con una tanica di gasolio per alimentare il generatore e noto un’aria di curiosità negli sguardi della gente che incontro per strada. Penseranno che voglia dar fuoco alla piazza?!
Chi è pratico di impianti audio si mette all’opera iniziando a tirare cavi, e presto inizia la musica. Nel frattempo uno dei percussionisti africani, senza né megafono né microfono, ringrazia tutti i presenti per aver partecipato all’iniziativa, chiede di fare un passo avanti e alla domanda “ci siete?”, un timido “sì” viene seguito da un più deciso “SI!” alla seconda volta.
Ricominciano i tamburi e i musicisti tentano di coinvolgere il pubblico facendolo cantare delle melodie molto semplici. Le percussioni continuano a suonare anche quando comincia la musica dal sound system, reggae per lo più, ideale per essere accompagnato da bonghi e djambè.
Intanto la piazza comincia a riempirsi di gente, ma non conterà mai più di 200-250 teste. Arrivano anche tanti giovani e giovanissimi. Molti di loro si appostano a fianco del sound system e iniziano a dar spettacolo, alcuni si esibiscono in giocoleria con palline e birilli, altri fanno show con skateboard e biciclettine per BMX. Partono i primi interventi dal microfono, è sempre la stessa ragazza a prendere la parola, le espressioni più usate sono “no al razzismo” e “diritti per gli immigrati”.
Si avvicinano le sei e la piazza inizia a colorarsi di giallo, colore scelto per la manifestazione, grazie a decine e decine di palloncini gonfiati a elio che la gente si lega a sciarpe, a carrozzine, a berretti, a qualsiasi cosa che impedisca ai palloni di scappare nel cielo.
C’è chi gira con trucchi e traccia strisce gialle sui volti dei più giovani.
C’è chi è partito da casa con sciarpe e cappucci gialli.
A ridosso delle sei inizia un countdown dal microfono al termine del quale tutti i palloncini vengono liberati verso il cielo. Successivamente vengo a sapere che in tutte le città d’Italia alla stessa ora è successa la stessa cosa.
Inizia a fare buio e siamo all’apice delle presenze quando comincia uno spettacolino organizzato dalla comunità del Bangladesh. Si esibiscono due ragazzi con dei tamburelli e una ragazza che canta gorgheggiando melodie esotiche.
In un break al bar, si avvicina un ragazzo straniero che vuol venderci delle rose, lo prendiamo un po’ in giro dicendogli che è l’unico che sta lavorando in quel giorno di sciopero e che i suoi colleghi son là che cantano e ballano, ma lui non sta allo scherzo e continua il suo giro.
Dopo una mezz’ora di spettacolo bengalese, si riprende col sound system, viene ascoltata una canzone reggae scritta apposta per il primo marzo che fa “un giorno senza di noi / l’economia crolla resterete solo voi”: alcuni la conoscono, per me è il primo ascolto, ci piace.
Sono le sette e inizia a scemare la manifestazione. È rimasta una cinquantina di persone vicino ai portici che ospitano l’impianto audio e in mezzo alla piazza sei agenti della Digos. Tre già conosciuti e tre nuovi, son là che si guardano intorno e si fanno cenni col capo: forse il momento migliore per insegnare ai novizi a riconoscere le facce di chi è rimasto?
Intorno alle otto la musica viene spenta, io scappo verso Mogliano, i veneziani si dirigono verso la fermata ACTV per tornare in isola, restano là i soliti quattro a smontare l’impianto.