di Alberto Cavaglion
Anche quest’anno per i nostri tradizionali auguri di buon 25 aprile abbiamo chiesto aiuto a un amico. L’8 aprile è uscita la nuova edizione del libro di Alberto Cavaglion, La Resistenza spiegata a mia figlia. Per gentile concessione dell’autore e dell’editore Feltrinelli, proponiamo alcune pagine tratte dalla nuova premessa – dove Cavaglion torna sul contesto e sui motivi che l’hanno spinto, dieci anni fa, a scrivere questa “lettera per un compleanno” – e quelle dell’ultimo capitolo dedicate a Federico Chabod e al suo libro nato durante la guerra e la Resistenza. I libri sono il filo conduttore del racconto di Cavaglion: l’autore affronta la “missione impossibile” di spiegare alle generazioni più giovani quella “incandescenza che la storia d’Italia acquistò tra il luglio del 1943 e l’aprile del 1945, imprevedibile allora, […] ancora oggi sorprendente, inusuale per adulti che desiderino capire il paese dove vivono”, ricorrendo a “un disordinato passaggio di libri” dalle sue mani a quelle di sua figlia e dei suoi lettori. Con l’auspicio che sia un incontro felice.
Premessa
La prima edizione de La Resistenza spiegata a mia figlia risale all’aprile 2005: suscitò discussioni infinite prima ancora di uscire. Aspre discussioni, legate al fatto che il lavoro, commissionato da una grande casa editrice, una settimana prima di andare in tipografia, con la copertina già pronta, venne restituito al mittente. Nemmeno adesso mi risultano chiare le ragioni del rifiuto. Nel 2005 il dibattito sulla Resistenza era quanto mai anchilosato, procedeva per schieramenti rigidi. Le vittorie elettorali della destra di Berlusconi e Fini causavano il panico tra gli storici dell’Italia contemporanea. Era diffusissima l’abitudine al lamento e al grido di dolore, ma qualcuno che facesse qualcosa per rimediare non lo trovavi. Guaire non basta. Pur a disagio nei panni del padre che “spiega” qualcosa ai figli, mi ero messo a scrivere per reagire a questo stato di cose.
Non rappresentando una squadra, non disponendo di protezioni in alto loco, farmi fuori fu elementare. Mi ferì il modo con cui venni messo alla porta, inquietante il quarto d’ora di celebrità che avvolse Elisa, destinataria di questa lunga “lettera per il compleanno”, allora adolescente. Di un simile quarto d’ora di chiassosa celebrità avremmo fatto entrambi volentieri a meno. Il libretto ebbe fortuna, salì nelle classifiche dei libri più venduti, non per i suoi meriti naturalmente, quanto per conseguenza di quello che i francesi chiamano “il successo dello scandalo”. Mi guardai bene dal montarmi la testa; del resto, i giornali maggiori, dopo essersi interrogati a lungo sulle misteriose ragioni della bocciatura, si guardarono bene dall’entrare nel merito delle due, tre idee, spero non del tutto sciocche, che avevo tentato di esporre. Le soddisfazioni più belle vennero dai ragazzi, coetanei di Elisa, che dal 2005 in avanti, guidati da bravi insegnanti, hanno preso a leggere con impegno in classe quanto avevo composto per loro (e un poco anche per i loro padri…). La vanità che alberga in ogni autore fu appagata un pomeriggio di maggio, sull’Eurostar da Roma a Firenze, quando mi capitò di vedere un ragazzo assorto nella lettura del mio libretto. Sembrava non avere lo sguardo annoiato. E in quegli stessi giorni, non ho dimenticato la voce squillante di Margherita, una compagna di scuola di Elisa, che mi lesse al telefono la scheda uscita su uno di quei giornalini distribuiti gratis nelle stazioni ferroviarie, firmata da Antonella Fiori. In dieci righe diceva tutto quello che avrei voluto e ancora vorrei si dicesse della mia fatica: “In questi giorni di overdose di documentari sui sessant’anni dal 25 aprile cade l’occhio su un libretto di Alberto Cavaglion, quarantanove anni, che tenta una missione impossibile: raccontare a sua figlia Elisa, sedici anni, generazione ‘non so chi è Badoglio’, la Resistenza. Lo sforzo è di riassumere per blocchi (Fu davvero guerra civile? Quale significato dare alla violenza?) tenendo presente il filo storico dopo un mare magnum di letture e controletture (da Bocca a Pansa) sul tema. Fare il punto non significa non avere un punto di vista etico-morale. Una lettura dietetica: si esce dal centinaio di pagine senza il senso di aver ingurgitato chili di panna montata”.
Dal 2005 a oggi molte cose sono mutate. In primo luogo è ulteriormente aumentato il disinteresse intorno alla Resistenza, un fuggi-fuggi impressionante, inimmaginabile una decina d’anni fa, per quanto già fosse chiaro allora quanta indifferenza si nascondesse dietro l’indignazione. I giovani hanno continuato a darsela a gambe, gli storici pure (poche, ancorché lodevoli le eccezioni). La maggioranza degli italiani è contenta se i negozi rimarranno aperti il 25 aprile, diventato ormai un giorno feriale come tanti altri. Le tesi da me esposte, che produssero allora una assai blanda censura, sono oggi largamente condivise (in taluni casi anche troppo!) da chi m’ignorò o mi tacciò di lesa Resistenza.
Va soltanto precisato, a scanso di equivoci, che non ho voluto scrivere una storia della Resistenza, ma un semplice libro di famiglia, genere di scrittura che ha una consolidata tradizione, non solo in Italia. La Resistenza spiegata a mia figlia deve tantissimo alla Resistenza narratami da mio padre, che fu tra i dodici giovani a seguire Duccio Galimberti alla Madonna del Colletto il 12 settembre 1943. E non piccolo è il mio debito verso la famiglia intera e la figura commovente di Pino Levi Cavaglione, autore di Guerriglia nei Castelli romani (1945).
I libri famigliari sono importanti, ma il loro limite è nella natura transeunte, di chi scrive e di chi legge. Il morale di chi scrive non è altissimo, inutile nasconderselo: come potrebbe essere diversamente? Una rimonta del 25 aprile sul 27 gennaio mi pare improbabile, era già follia sperarlo nel 2005. Mi sarebbe stato più agevole spiegare a Elisa le leggi razziali e la Shoah, ma non l’ho fatto perché in quella direzione il vento soffiava forte, troppo forte. Quanto a Elisa, che nel 2015 di anni ne avrà ventisei, dubito che un giorno sarà punta dal desiderio di scrivere di Resistenza ai suoi figli.
Tutto cambia. Solo il Cavalier Cipolla non cambia mai1. I lettori della prima edizione avevano visto nel capitolo iniziale, in trasparenza, la sagoma del Cavaliere per antonomasia, nel 2005 trionfante. Sbagliavano. Il Cavalier Cipolla è una maschera perenne, non invecchia mai. Risorge sempre sulle ceneri di chi l’ha preceduto. […] È dal 1925 che il Cavalier Cipolla cambia volto. Ciò che non cambia mai è la nostra disponibilità all’incantamento. […]
Lettera per un compleanno
Cara Elisa,
siamo nati nello stesso giorno: tu il 24 aprile 1989, io il 24 aprile del 1956. Essendo nati il giorno prima del 25 aprile, data in cui l’Italia festeggia la sua Liberazione, ci troviamo a osservare una ricorrenza oggi così impopolare, da una posizione defilata e perciò, forse, vantaggiosa. […]
Si può dire che questa lettera per un compleanno, dalla prima pagina all’ultima, si nutra di libri, soltanto di libri. Non credo che ai giovani della tua età servano immagini di sangue, corpi dilaniati, uomini torturati, donne violate, rappresaglie, impiccagioni o fucilazioni, vittime civili di bombardamenti. […]
Considera quanto stai per leggere come un disordinato passaggio di libri dalle mie mani alle tue: dall’alto di uno scaffale correrà verso di te mezza libreria di casa. […]
La Resistenza dei libri
[…] Nel nostro discorso, che volge ormai alla sua conclusione, vorrei dedicare il poco spazio che mi rimane a una questione di cui nessuno finora ha parlato. Durante il secondo conflitto mondiale, le Alpi sono state – lo sappiamo assai bene – un rifugio, un luogo di battaglia, talora una trappola, ma sono state altresì un laboratorio di idee, che ha trasformato il volto del pensiero europeo. Nei mesi in cui tanto sangue scorreva per le strade d’Italia sono state scritte, ma anche sommerse o salvate, opere straordinarie nel campo della letteratura, delle arti figurative, della filosofia oltre che della storia.
Di qui la necessità di affiancare agli atlanti di guerra, alle cartine che di solito si pubblicano, una cartografia che tenga insieme non i luoghi del combattimento, non i sacrari e i sepolcreti, ma i titoli di libri iniziati o irrimediabilmente perduti durante i venti mesi della guerra per bande. Come, e forse più di una lapide con i caduti, questo catalogo delle opere nate (o non nate) ci sembra indispensabile.
[…] Rimane da studiare la storia delle persecuzioni che i libri hanno dovuto tollerare durante le catastrofi del Novecento. Un giorno, qualcuno dovrebbe farsi carico di istituire un piccolo Tribunale per i Giusti che hanno contribuito a salvare dalla distruzione non dico un archivio, come è accaduto, purtroppo invano, a Napoli, ma un semplice libro o un manoscritto incompiuto.
[…] Mi piacerebbe che la biblioteca di un istituto storico della Resistenza dedicasse un intero scaffale ai volumi salvati dalle razzie. I libri letti in prigione o al confino hanno un profumo diverso da quello che sentiamo quando entriamo in una biblioteca o in una libreria in tempi di serena normalità. Dobbiamo cercare di cogliere il margine di eccezionalità che dipende dalla condizione estrema in cui vennero a trovarsi autori che nonostante le avversità si sforzarono di concludere la loro opera. […] Sono volumi che si sono salvati per conseguenza del caso o di una specie di sortilegio. […]
Dovremmo parlare di librai, maestri elementari, bibliotecari, tipografi, editori, liberi studiosi innamorati della biblioteca di casa costruita a fatica nel tempo. Sappiamo assai poco del loro impegno, così come manca uno studio sulla lettura in tempo di guerra: sulla funzione che i classici della letteratura esercitarono come argine davanti alla barbarie. Thomas Mann, naturalmente, ma anche Kafka, Rabelais, Croce e la sua Storia d’Europa li ritroviamo spesso nelle letture estreme, nei sacchi da montagna portati in banda. Che cosa si legge in una baita alpina, in un rifugio antiaereo, che cosa si porta sempre con sé quando ci si sente sull’orlo del baratro? Vanno di moda ai nostri giorni i saggi sul cibo in tempo di guerra, sul tempo libero, sulle case di tolleranza, non mi risulta che esistano studi sulle condizioni in cui per esempio operavano i bibliotecari o i librai di provincia. […]
Una baita della alta Valsavarenche, a Dégioz, e una data, il 10 maggio 1945, ci devono guidare. Qui è racchiusa la storia del manoscritto di un libro non di poesia, ma di storia. Si tratta dei materiali preparatori del più ricco e affascinante libro di storia che sia stato scritto da storico italiano: le Premesse alla Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 di Federico Chabod.
Quel capolavoro offre molto di più di quanto non prometta il titolo: è un grande affresco di storia del vecchio continente, dell’idea di Europa, dei limiti del nazionalismo; la preoccupazione dell’autore consiste nel mostrare le vicende della storia d’Italia in stretto contatto con la storia europea, da cui discende la tragedia stessa del Novecento. Un capolavoro assoluto, diventato tale forse proprio perché passato attraverso i mesi in cui lentamente cambiava l’orizzonte di valori del suo autore.
Il manoscritto, nelle condizioni in cui si trova nell’inverno 1943-1944, s’intreccia con la tormentata rielaborazione di una serie di lezioni tenute da Chabod all’Università di Milano ancora nell’inverno 1943-1944. Come molte persone di cui abbiamo parlato anche Chabod, sebbene già fosse il grande storico che era, sale a Dégioz trascinato da un’onda2. La sua maturazione politica è causata dalla lezione delle cose: l’opera, concepita negli anni trenta, si chiuderà con la pubblicazione nel 1951. Un’opera resa più imponente dal travaglio personale del suo autore: era stata concepita per una collana di ricerche storiche promossa da un istituto legato all’ideologia del regime fascista. Si può dire che da quel primo inverno trascorso a Dégioz anche per lo storico inizia il processo di disincantamento da cui siamo partiti. Gli storici non sono diversi dai comuni cittadini, non posseggono virtù speciali. Anche Chabod è una vittima del Cavalier Cipolla, ma da quello stato di minorità è uno dei pochi che riesce a risalire la china. E così a Dégioz inizia a scrivere un solo, lunghissimo libro, che lo impegna per molti anni e non lo abbandonerà più, fino quasi a venirne schiacciato.
Tutti gli appunti erano saliti con lui in Valsavarenche, non lontano dagli alpeggi delle grange Djouan, ai 2150 metri dell’alta valle, da dove deriva il ceppo famigliare dei Chabod.
Quando il 6 novembre 1944, a seguito dei rastrellamenti tedeschi, Chabod deve riparare in Francia, prima di attraversare il colle della Galisia verso la Val-d’Isère, decide di seppellire, vicino alla baita dove era solito studiare, le sue carte, i suoi libri. Per gli storici le carte hanno un valore identico al valore della vita umana. Sono un corpo vivo, non un corpo morto, perciò dovrebbero essere più attraenti dei cadaveri. Anche se oggi la necrostoria ha molti estimatori, per lo storico di domani il corpus di carte che dà origine a un capolavoro assoluto della storiografia è più attraente del corpo di Mussolini esposto in piazzale Loreto. Il fazzoletto di terra a Dégioz dove sono state nascoste quelle carte è cento volte più importante di ogni “triangolo della morte”. In quelle schede e in quelle postille a margine dei volumi è registrata in presa diretta la metamorfosi – geologica direbbe Montale – che l’idea di Europa vive tra il 1943 e il 1945, i cui segni premonitori sono già tutti scritti nella crisi europea del 1870.
Non si può riaprire oggi la Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 di Chabod senza riconoscere l’odore del fieno degli alpeggi di Djouan, senza riascoltare il vento dei ghiacciai. Il 10 maggio 1945, appena ritornato da Parigi, Federico Chabod giunge trafelato in prefettura ad Aosta con un unico desiderio, che va oltre il timore che la Valle d’Aosta fosse sacrificata alla Francia, per le mire espansionistiche di De Gaulle, non immemore della “pugnalata alla schiena” del 1940. Chabod non aveva altro in mente che recuperare le carte del suo libro: “La sua prima richiesta era di una macchina per correre a Valsavarenche a vedere se i libri e gli appunti erano tuttora nel nascondiglio dove li aveva lasciati. Poche ore più tardi ricompariva raggiante: le carte erano salve!”3.
Quando il manoscritto viene recuperato a Dégioz, il 10 maggio 1945, possiamo mettere la parola fine. Da quel giorno la storia liberamente riprende a fare il suo corso. La Resistenza finisce a Milano il 25 aprile 1945. La storia della Resistenza inizia a Dégioz il 10 maggio 1945.
Nota. Pagine tratte da Alberto Cavaglion, La Resistenza spiegata a mia figlia, Feltrinelli, Milano 2015, pp. 7-9, 11, 12, 107, 108, 114-116 (e note alle pp. 120, 123 e 132).
La Resistenza spiegata a mia figlia è uscito per la prima volta nel 2005, per le edizioni dell’ancora del Mediterraneo (Napoli) che oggi purtroppo non esistono più. Nel 2008, per gli stessi tipi, è uscita una nuova edizione ampliata, riproposta tal quale nel 2012 dal marchio beat (Biblioteca degli Editori Associati di Tascabili).
- Il primo capitolo del libro si apre con una lettura del racconto di Thomas Mann, Mario e il mago; scrive Cavaglion: “Quando si deve affrontare un complicato problema è sempre utile partire dalla rilettura di un classico. Prima di affrontare la questione del fascismo in Italia – e di come esso cadde – ognuno dovrebbe rileggere questo breve racconto […]. Spesso la letteratura viene in soccorso della storia” (p. 24). Nella nota al capitolo, Cavaglion aggiunge: “Di Mario e il mago esiste un’ottima traduzione di Giorgio Zampa disponibile in edizione economica (T. Mann, Romanzi brevi, Mondadori, Milano 1990, pp. 366-434) […] ma l’edizione che fascisti e antifascisti, subito dopo la fine della guerra, letteralmente divoravano, ritrovando se stessi, è un’altra: T. Mann, Mario e l’incantatore. Una tragica avventura di viaggio, trad. di A. Bovero, ill. di G. Badia, Collana romanzi “Mosaico”, Eclettica, Torino 1945. Per il clima culturale che accompagnò la diffusione del racconto si veda L. Mazzucchetti, Mario e l’incantatore, in Cronache e saggi, a cura di E. e L. Rognoni, il Saggiatore, Milano 1966, pp. 454-462” (p. 120). [↩]
- Il riferimento è all’espressione “Essere portati da un’onda”, che Cavaglion riprende da Lugi Meneghello, I piccoli maestri, a p. 42 dell’edizione Rizzoli, Milano 1990, per intitolare il quarto capitolo della sua “lettera a Elisa”. [↩]
- Nella nota al capitolo, Cavaglion precisa: “L’episodio delle carte seppellite a Dégioz è narrato con finezza di tratti da A. e E. Passerin d’Entrèves, Federico Chabod e la Valle d’Aosta, in “Rivista storica italiana”, numero monografico su Federico Chabod, LXII, 3, 1960, p. 803” (p. 132). [↩]
quinto freguglia dice
gratitudine che parte sconcertata. ecco le cose che mi piacerebbe scrivere se le sapessi.
ma che ragionamenti sono? non ti basta leggere? sì in genere mi basta. ma ci sono delle volte…
Poci dice
Grazie a chi la ha scritta e chi la ha pubblicata.
Ottima lettura per iniziare questa bella speciale giornata
Hasta