di Maria Giovanna Lazzarin
Sulla scia dell’intervista ad Aldo Antole, Maria Giovanna Lazzarin ha rinfrescato alcuni ricordi di bambina e preso in mano un libro che ripercorre la storia dell’impresa commerciale della famiglia Morassutti per capire meglio com’era nata e come era finita la ditta, e in che modo Michele Sindona era entrato in queste vicende.
La mia nonna paterna aveva un grande motivo di orgoglio: essere stata tra le due guerre la sarta della signora Morassutti. Questo la collocava tra le migliori sarte di Belluno. Solo lei poteva tagliare le stoffe, le sue lavoranti, compresa mia mamma, no. A me disse subito: “Ti si ciompa, no sta tocar a forfe!” [“Sei mancina, non toccare la forbice!”].
Allora facevo le elementari, doveva essere il 1958-59, e qualche volta andavo alla Cerva (di Belluno) a trovare la zia Maria, sorella della nonna. Prima di arrivare a casa sua si intravedeva dietro alti muri una casetta in pietra dalle tegole rosse. “È la casa del giardiniere dei Morassutti”, mi aveva informato la zia.
Invidiavo quel giardiniere, lo immaginavo sempre al lavoro nel parco di pini e abeti che scorgevo là dietro. La villa dei padroni, inaccessibile, dominava dall’alto la stazione.
Villa Morassutti (foto di Maria Giovanna Lazzarin)
Da allora, ogni volta che andavo a trovare la zia, speravo si aprisse l’unica porticina che vedevo e uscisse la signora Morassutti. Non successe mai, né poteva succedere perché la bella signora (così la immaginavo) era morta nel 1957. Solo di recente ho trovato sue notizie, leggendo un libro uscito nei primi anni Novanta: Una famiglia e un caso imprenditoriale: i Morassutti, a cura di Giorgio Roverato (Neri Pozza, Vicenza 1993, 271 p.). Lì ho scoperto che Gianna Lucchetti, così si chiamava, era bellunese e per lei il marito Federico Morassutti aveva costruito quella villa di campagna, detta la Vignetta, quando volle tornare tra le sue montagne, dopo che il primogenito Giampaolo era morto per una malattia, nel 1926.
Federico Morassutti è stato il rappresentante forse più importante di una grande famiglia mercantile, quello che nella prima metà del Novecento ha saputo incarnare l’idea di imprenditoria come capacità di innovare: introdurre nuovi prodotti, aprire nuovi mercati, cambiare le modalità organizzative della ditta mettendo a frutto capitali della famiglia ma anche altri forniti dalle banche. Nel secondo dopoguerra i suoi figli svilupperanno ulteriormente la Paolo Morassutti, ma agli inizi degli anni Settanta una scelta che doveva portare altre innovazioni risulterà fatale all’azienda.
Di seguito, presento una breve ricostruzione di queste vicende – basata sulle notizie che ho trovato nel volume a cura di Roverato –, in cui una famiglia commerciante di lungo corso e attenta al suo ruolo sociale incrocia un famoso esponente della finanza e ne resta travolta.
La lunga storia della ditta Morassutti
Da diverse generazioni la famiglia Morassutti, originaria di San Vito al Tagliamento, commerciava in ferramenta e legname. Ma fu il nonno di Federico, Antonio, a sviluppare il commercio all’ingrosso al servizio dell’attività edilizia, acquistando legname di ottima qualità proveniente da diverse segherie della Carinzia. Per soddisfare le richieste aprì filiali in diverse città del Veneto e stabilì, tra il 1862 e il 1867, la sede principale a Padova.
Alla morte di Antonio (1875), la direzione passò nelle mani dei suoi due figli Paolo (il padre di Federico) e Pietro. Alla morte di quest’ultimo (1891), per disaccordi nella gestione, la ditta fu divisa in due: la «Paolo Morassutti», destinata a un grande avvenire, e la «Antonio Morassutti», dal nome del figlio di Pietro, che invece fu costretta a chiudere nel giro di pochi anni.
Paolo Morassutti introdusse un metodo di gestione segnato da un’etica cattolica e paternalista, che mirava non solo al benessere della famiglia proprietaria ma mostrava un profondo senso di responsabilità verso i dipendenti. A partire dagli anni Venti fu costituito un fondo di previdenza e assistenza con borse di studio, vennero sostenute e finanziate una cooperativa per la costruzione di case, attività ricreative per viaggi sociali, gruppi sportivi e culturali, in particolare nella città di Padova, oltre a un fondo annuale dedicato alla beneficienza. Questa politica sociale avrebbe caratterizzato tutta la storia della Paolo Morassutti.
Federico (nato nel 1876) a 19 anni cominciò ad aiutare il padre ad amministrare un’azienda indebolita dalla recente divisione patrimoniale e minacciata dalla concorrenza italiana ed estera. La scelta vincente fu la riorganizzazione della rete dei negozi: accanto all’ingrosso e ai prodotti per l’attività edilizia e artigianale, venne avviata la vendita di ferramenta e casalinghi di largo consumo, quelli per cui ancora oggi i negozi Morassutti restano famosi. La vendita al dettaglio permetteva una liquidità che compensava eventuali crisi e favoriva lo sviluppo. Fu così possibile mantenere le sedi di San Vito al Tagliamento, Portogruaro, Casarsa, Köflach e Zeltweg, ampliare la sede principale di Padova, aprire nuovi negozi a Montebelluna (1896), Mestre, Vittorio Veneto (1897) e Motta di Livenza (1898).
Alla morte del padre (1898) Federico, nominato amministratore in quanto figlio maggiore, ne continuò la strategia imprenditoriale, decidendo di estendere la ditta a livello nazionale: furono aperte sedi a Bologna, Roma, Napoli e venne rafforzato il settore dei casalinghi, presentando alla clientela l’intero assortimento attraverso un catalogo periodicamente inviato ai dettaglianti delle diverse città. Questa strategia esponeva l’impresa a molti rischi, ma la collocò presto ai primi posti nazionali nel settore distributivo e le permise di superare le difficoltà insorte durante la prima e la seconda guerra mondiale, nonostante il calo delle vendite e i pagamenti non saldati o arrivati con forti ritardi.
Locandina (cm 33×70) per il nuovo negozio di Napoli. Progetto Lalla Ramazzotti Morassutti. (primi anni Sessanta?)
I chiaroscuri di un’azienda familiare
Durante la crisi degli anni Trenta del Novecento iniziarono però i contrasti tra i fratelli: Federico intendeva continuare a investire nonostante la crisi per mantenere il credito dell’azienda e contrastare la concorrenza, mentre per i fratelli era prioritario conservare il patrimonio familiare. Uno dei fratelli, Antonio, chiese la liquidazione della sua parte e andò a costituire una nuova ditta a carattere regionale, la Antonio Morassutti fu Paolo.
Già sul finire degli anni Trenta l’attività della Paolo Morassutti era comunque di nuovo in crescita.
Riuscì a ripartire nuovamente dopo le vicende della guerra, tra cui la distruzione dello stabilimento di via Trieste, sede centrale dell’azienda, durante il bombardamento aereo su Padova del 16 dicembre 1943. Intorno agli anni Cinquanta si era ingrandita e impiegava più di 500 dipendenti distribuiti in 21 negozi e depositi.
Superò anche il tragico incendio che, il 17 gennaio 1953, distrusse la nuova sede centrale dell’azienda. Un evento dal quale probabilmente Federico già vecchio non si riprese, morendo di un attacco al cuore un anno dopo.
Quando il 4 giugno 1961 fu inaugurata la nuova sede centrale di Padova, vicino alla Stanga, in un’area comoda, prossima all’autostrada e alla zona industriale, la ditta poteva vantare 1250 dipendenti, 7 depositi e 27 filiali.
Fatale fu invece un’innovazione che Federico Morassutti intraprese nel 1952: trasformare l’azienda in una moderna società per azioni, per separare capitale societario e capitale privato che tante tensioni aveva causato tra i fratelli. La pratica fu affidata a uno studio milanese e venne seguita da Michele Sindona, un avvocato che alcuni anni prima aveva aperto uno studio di consulenza finanziaria e commercialista a Milano, creandosi subito una clientela molto importante.
Allora la scelta fu ritenuta opportuna: il commercio stava entrando in una fase espansiva con l’avvio del consumo di massa e la ditta fu una delle prime a introdurre il self-service, l’adozione di propri marchi a garanzia della qualità di alcuni prodotti, l’offerta dei prodotti più richiesti già confezionati.
Dépliant promozionale per le confezioni self-service, rivolto ai clienti al dettaglio (primi anni Sessanta)
Già a metà degli anni Sessanta avviò un sistema elettronico di elaborazione dati per coordinare entrate e uscite tra magazzino all’ingrosso e negozi al dettaglio. Paolo, il più piccolo dei figli di Federico, firmò nel 1963 un accordo industriale con Arthur Fischer, titolare dell’azienda tedesca famosa nel mondo per i tasselli da fissaggio, per portare il colosso in Italia e stabilirne la base a Padova.
La riduzione del personale nei singoli negozi venne compensata dall’apertura di nuove sedi e dalla maggiore professionalità, ottenuta attraverso specifici corsi di aggiornamento.
La Paolo Morassutti e Michele Sindona
Agli inizi degli anni Settanta la Paolo Morassuti era un’azienda solida, con 39 tra negozi al dettaglio e magazzini all’ingrosso e 1750 addetti. Secondo le analisi della Direzione Marketing poteva svilupparsi ulteriormente, in particolare nel dettaglio professionale al servizio dell’artigianato e della piccola e media impresa, anche per la qualità dell’assistenza merceologica offerta. Aveva appena ricevuto dall’ENEL una commessa di 1,5 miliardi di lire per modelli speciali di serrature e lucchetti di acciaio inossidabile.
Per svilupparsi però aveva bisogno di un forte aumento di capitale. Il gruppo di comando della società pensò di ricorrere ad azionariato esterno, temendo che alcuni soci dei tre rami della famiglia non fossero disponibili. Ma non si aspettava che una quota consistente di azionisti non coinvolti nella gestione decidessero di vendere, cedendo nella primavera del 1971 le loro quote a una finanziaria svizzera che le trasferì subito alla Manifattura Carlo Pacchetti, una società non più attiva nella produzione della concia e del crine per materassi, ma quotata in borsa e controllata dalla Banca Unione. Per le sue caratteristiche di “scatola vuota” era stata rilevata dall’avvocato Michele Sindona ed era diventata uno degli anelli della sua avventura finanziaria insieme alla Banca Privata Finanziaria e alla Banca Unione, che saranno fuse nella Banca Privata Italiana nel 1973.
A questo punto la Morassutti non poté più procedere all’aumento di capitale, ma le divenne impossibile anche la gestione, perché il nuovo socio chiese di acquisire il controllo totale dell’impresa comprando le quote azionarie residue. Nel 1972 la Paolo Morassutti venne incorporata nella Manifattura Carlo Pacchetti, divenendone una direzione operativa, mentre la famiglia venne estromessa dall’azienda.
Assumendo il controllo della Morassutti, Sindona sperava di avere un canale sicuro di liquidità – i negozi presenti nel territorio – e di dare un’immagine di solidità alle azioni Pacchetti che le sue banche promuovevano gonfiandone la quotazione borsistica. Ma il crack finanziario della Banca Privata Italiana nel 1974 fece entrare in crisi irreversibile la Carlo Pacchetti e con essa la Paolo Morassutti. La banca venne commissariata e Giorgio Ambrosoli accettò l’incarico di commissario liquidatore, scoprendo il castello di trucchi contabili, operazioni speculative, autofinanziamenti truffaldini su cui si era retta la banca di Sindona. Ambrosoli sarebbe stato assassinato l’11 luglio 1979 da un sicario ingaggiato dallo stesso Sindona. La Pacchetti fu commissariata e poi passò, compresa la Morassutti, a una finanziaria romana più interessata al patrimonio immobiliare che alle attività produttive.
Nel 1984 la divisione Morassutti venne liquidata e una parte dei negozi fu assorbita dalla Croff.
Nota. Le informazioni sulla storia della ditta Paolo Morassutti e le immagini dei dépliant pubblicitari sono tratti dal volume Una famiglia e un caso imprenditoriale: i Morassutti, a cura di Giorgio Roverato, Neri Pozza, Vicenza 1993.
Paolo Morassutti, ultimo figlio di Federico Morassutti, è morto a Belluno nel 2013; rimando al breve ricordo che ne ha scritto lo stesso Roverato, disponibile in rete.
Patrizia dice
mi sono imbattuta per caso nella storia della famiglia Morassutti in quanto ho trovato tra cose sntiche un bellissimo affilarasoio con sopra scritto Paolo Morassutti mi piacerebbe inviarmene una foto in quanto trovo dia molto bello. complimenti molto ben scritta la storia della famiglia Morassutti peccato sia finita in mano a gente senza scrupoli grazie infinite
Negri dice
Mi onoro di essere stato dipendente di questa azienda dal 1963 al 1972
Ho imparato un mestiere che mi HA dato Tanto successo nella vita
GRAZIE SEMPRE ALLA PAOLO MORASSUTTI ENTRAI RAGAZZO COME APPRENDISTA A 13,000 lire al mese ora ho ottanta anni ed ho raggiunto col mio lavoro una buona posizione
LAZZARIN MARIA GIOVANNA dice
Gentile Maurizio Angelini, mi fa piacere che la breve storia della ditta Morassutti l’abbia interessata. Come ha ben raccontato Aldo Antole nell’intervista “Una pentola a pressione ad alta professionalità” presente nel sito (https://storiamestre.it/2019/05/una-pentola-a-pressione/), si trattava di un’impresa solida e moderna, distrutta da una criminale operazione finanziaria che ha nascosto fino all’ultimo i suoi scopi. La testimonianza è l’unica resa da un impiegato con ruolo dirigenziale nell’azienda, che ne ha vissuto l’ultima fase e ha potuto confrontarla con aziende similari, ma meno innovative. La ricerca storica più completa resta quella pubblicata ne Una famiglia e un caso imprenditoriale: i Morassutti (Neri Pozza 1993) a cura di Giorgio Roverato che si è basato sull’archivio privato della famiglia, raccogliendone la storia fin dalle origini ottocentesche a San Stino di Livenza, poiché l’archivio d’impresa è andato disperso quando la sede centrale di Padova è stata assorbita dal gruppo La Rinascente. Per quanto riguarda l’uso della parola ciompa nel mio lessico familiare, immagino servisse a tenere insieme due convinzioni presenti allora non solo nella mia famiglia, cioè che una persona mancina – per giunta corretta come allora si usava – fosse anche maldestra.
Maurizio Angelini dice
Molto interssante, però ciompa non vuol dir mancina. Ciompo vuol dire poco abile, maldestro o peggio ancora handicappato fisicamente: nel passato mi chiedevo se i Ciompi fiorentini tumultuanti lo fossero perchè disabili, ma sembra di no. Ciompo in quas tutte le parlate venete si dice sanco, cioè uno/una che usda la sinistra al posto della destra
Stefano Perissinotto dice
Gent. Giovanna,
sono un discendente della famiglia Morassutti anche se ho un cognome diverso. La ringrazio per questa breve cronistoria sulla famglia imprenditoriale che fu una sorta di precursore in fatto di politiche organizzative aziendali e di marketing. Proprio un bell’esempio delle capacità imprenditoriali del nostro territorio Veneto come ce ne sono anche molte altre. Grazie
Cordiali saluti
Thaffany Morassutti dice
Olá, gostaria de saber se mais da história. Acredito ter um certo grau de parentesco. Bem distante por conta dos longos anos. Gostaria de mais informações.
Quem puder por gentileza me chamar no Facebook Thaffany Morassutti.
Seu o meu Trisavo Italiano se chamava Domenico.
Gracie
isabella Guardabasso dice
Molto interessante questa vicenda, mi piacerebbe sapere grazie a quali fonti siano stati ricostruiti i fatti anteriori al 1900. Questo perché la storia della famiglia Morassutti si intreccia con la storia della mia famiglia. Mia mamma si ricordava che negli anni '50 veniva il cugino Morassutti di San Vito a visitare mio nonno. Veniva in automobile e a quei tempi, nei piccoli paesi, era un evento. Mio nonno era di San Vito al Tagliamento in realtà. Mi piacerebbe sapere come mai ci fosse un rapporto di parentela. La ringrazio se le sarà possibile darmi indicazioni utili per avviare la mia ricerca
Floriano Forlani dice
Io ragazzino nel 1953 entrai come apprendista nel negozio di Bologna per uscirne nel 1980 come direttore di divisione ingrosso. Da gestore del negozio di Roma via Merulana nel 1969, prima di andare a Padova, in sede, ho vissuto tutta la vicenda Sindona. Dopo un breve parentesi, 1978 inizi 80, che ci eravamo discretamente ripresi tutto crollò con la nuova finanziaria. Così finì un grande società, riconosciuta come tale in Europa e non solo, ma anche una scuola di tecnici della ferramenta: commessi, capi reparto, venditori e manager ricercati per anni nel mercato nazionale.
Poci dice
Che storia… dal micro al macro. Ricordo anche io le cose comprate da Morassutti a Portogruaro. Ricordo i chiodi fischer che usavo con mio cognato quando mettevamo su grondaie. Molto chiara. Bella. Grazie Giovanna.