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Ricordiamo il primo incontro del ciclo Beni comuni. Storia e presente presentando gli abstract delle relazioni di Giacomo Bonan e Lucio Sponza. L’appuntamento è per venerdì 9 ottobre, presso la biblioteca di Marghera, dalle ore 16,30.
Giacomo Bonan, Beni comuni, significati diversi
Negli ultimi decenni il tema dei beni comuni è stato al centro di un vasto dibattito sia in ambito accademico, coinvolgendo svariate discipline – scienze ambientali, economiche, giuridiche, sociali e storiche – sia, più in generale, a livello di pubblica opinione e nel dibattito politico. A questa vasta risonanza non ha corrisposto una condivisione dei temi trattati, negli approcci e nemmeno nella definizione stessa dell’oggetto di studio. Le polisemiche definizioni che vengono, di volta in volta, associate ai beni comuni possono essere spiegate su più livelli: nella scarsa reciprocità tra dibattito pubblico e accademico; nel limitato dialogo tra discipline diverse in ambito accademico; financo nei diversi e contrastanti approcci che possono essere adottati sul tema all’interno del medesimo ambito disciplinare.
Nell’impossibilità di rendere conto in maniera dettagliata di un panorama così variegato, talvolta contrastante, e comunque in continua evoluzione, il presente intervento illustrerà i principali approcci analitici sul tema dei beni comuni, i loro presupposti metodologici e i loro svolgimenti. Ciò sarà fatto con particolare attenzione per il contesto italiano in cui la riflessione giuridica su questi temi ha avuto un ruolo centrale, sia per produzione accademica sia per capacità di influenzare il dibattito politico.
Nella parte conclusiva, attraverso il confronto dei diversi interventi che saranno proposti nei due incontri in programma, si cercherà di individuare alcuni elementi che possano servire a una riflessione generale su tematiche apparentemente così differenti. Alla base di questo tentativo di sintesi vi sono alcune considerazioni proposte da Edward P. Thompson nel suo ultimo libro (del 1991): Customs in Common (e in particolare nel saggio Customs, Law and Common Right).
Lucio Sponza, “Common lands” e storia dell’Inghilterra
Common lands è l’accezione inglese che più si avvicina a quella italiana di “beni comuni” e costituisce una trama ininterrotta nella storia millenaria dell’Inghilterra. I common lands rinviano agli antichi diritti di pascolo, di spigolatura, di raccolta di legna, di torba, e d’altro, nelle “terre comuni”: arative, boschive e forestali, appartenenti alla corona, ad altre autorità (laiche ed ecclesiastiche), o ad affittuari. Se ne trova cenno indiretto nella Magna Carta, del 1215 (di cui pertanto si celebra quest’anno l’ottocentesimo anniversario) e qualcosa di più nella Carta della foresta del 1217, quasi un’appendice integrativa della prima.
Da allora questi “diritti comuni” suscitano dibattiti, polemiche e attacchi da parte di chi intende affermare il diritto alla piena disponibilità della proprietà. Appena vent’anni dopo la concessione della Magna Carta quei diritti furono limitati con disposizioni di legge, ma l’inizio della loro sistematica erosione avvenne nel XVI secolo, quando i crescenti prezzi della lana suggerivano di convertire a pascolo terre coltivate e incolte su cui i commoners esercitavano i loro diritti.
Si delineava il passaggio da un’economia feudale al capitalismo moderno, che portò alle cosiddette “recinzioni” (enclosures) dei campi e dei commons soprattutto nel corso del XVIII secolo e fino alla prima metà del XIX. Non mancarono le resistenze e le opposizioni, sia sotto forma di petizioni che di atti violenti (con le donne spesso in primo piano) – né mancò il grido di dolore di un poeta-contadino, John Clare. Reazioni sul piano politico, come su quello sociale e ideologico, furono manifestate dagli esaltanti (ed esaltati) appelli dei Levellers e dei Diggers, per un ripristino delle libertà dei commoners che sarebbero state assicurate dalla Carta della foresta, oltre che dalla più antica tradizione.
Luca Pes, Privatizzare Venezia. L’ideologia del progettista imprenditore
Il pomeriggio sarà chiuso da Luca Pes, che si sofferma sul caso veneziano, analizzando l’ideologia del “progettista imprenditore” sviluppatasi negli ultimi decenni, che persegue la privatizzazione della città e della laguna.