di Marco Toscano
Quarto appuntamento con le letture del nostro amico Marco Toscano intorno alla prima guerra mondiale, e alla guerra in generale.
Cari di storiAmestre,
per la quarta lettura, ho preso dallo scaffale il romanzo di Romain Rolland, Al di sopra della mischia (Au-dessus de la mêlée nell’originale), premio Nobel per la letteratura nel 1915, e non so decidermi a scegliere un brano per la mia scheda, tante sono le pagine che mi colpiscono. Il libro è una raccolta degli articoli e degli scritti di Rolland contro la guerra nei primi mesi del conflitto: le edizioni Avanti! lo tradussero e pubblicarono in italiano l’anno dopo.
Allo scoppio della guerra Rolland si trovava a Ginevra, in un paese neutrale: francese, fu accusato di tradire la propria nazione e di farsi portavoce della Germania, per di più al riparo dalle brutalità dell’esercito germanico. Un pamphlet pubblicato in Francia aveva questo titolo: Romain Rolland contro la Francia. I giornali francesi scrivevano di lui: «Rolland parla e la Francia combatte», «L’unico francese neutrale» e così via. Quando vinse il Nobel, un giornale scrisse: «Quest’anno, il premio Nobel non sarà di duecentomila franchi, ma di trenta denari, visto che è Romain Rolland ad averli. Trenta denari non son forse il prezzo che i farisei diedero all’apostolo che aveva consegnato il suo Dio?».
Ecco cosa scegliere per la mia scheda: uno dei passi in cui Rolland denuncia il tradimento degli intellettuali, e in primo luogo del cristianesimo e del socialismo, nei confronti dei valori umanistici e universali, e cioè in nome della patria.
Aggiungo solo che Rolland decise di devolvere il denaro del premio alla Croce Rossa; e che durante la guerra, accanto a una infaticabile campagna antimilitarista, s’impegnò attivamente nell’Agenzia Internazionale dei Prigionieri di guerra, che aveva sede a Ginevra.
Vi saluta il vostro
Marco Toscano
Ciascuno ha il suo Dio e combatte quello degli altri, di Romain Rolland
L’aspetto più impressionante di questa mostruosa epopea, il fatto senza precedenti è, in tutti i paesi belligeranti, l’unanimità in favore della guerra. […] Nell’élite di ciascun paese, tutti proclamano e sono convinti che la causa del loro popolo è la causa di Dio, della libertà e del progresso umano.
I metafisici, i poeti, gli storici […] cantano inni di guerra; […] intonano peana d’odio. Mentre l’organo passa da una fuga di Bach a Deutschland über alles! l’ottantaquattrenne filosofo Wundt incita gli studenti di Lipsia alla “guerra sacra” con voce rotta dall’emozione. E tutti reciprocamente chiamano gli altri “barbari”. Per bocca del suo presidente Bergson, l’Accademia delle scienze morali di Parigi dichiara che “la lotta intrapresa contro la Germania è la lotta della civiltà contro la barbarie”. Attraverso Karl Lamprecht, gli storici tedeschi rispondono che “si combatte la guerra tra il germanesimo e la barbarie, e le battaglie di oggi sono il proseguimento di quelle combattute dalla Germania, nel corso dei secoli, contro gli Unni e contro i Turchi”. Dopo la storia, scende in lizza la scienza, che, tramite il direttore del Museum, E. Perrier, dichiara che i prussiani non appartengono alla razza ariana e discendono in linea diretta dagli uomini dell’età della pietra chiamata Allofili e che “il cranio moderno la cui base, riflesso del vigore degli appetiti, meglio ricorda il cranio dell’uomo fossile di Chapelles-aux-Saints, è quello del principe di Bismarck”.
Ma le due potenze morali di cui questa guerra contagiosa ha maggiormente svelato la debolezza, sono il cristianesimo e il socialismo. Questi apostoli rivali dell’internazionalismo religioso o laico hanno improvvisamente dimostrato di essere i più ardenti nazionalisti. Hervé chiede di morire per la bandiera di Austerlitz. I puri depositari della dottrina pura, i socialisti tedeschi, votano i crediti di guerra al Reichstag, si mettono agli ordini del ministero prussiano, che utilizza i loro giornali per diffondere fin nella caserme le sue menzogne e li spedisce come agenti segreti a tentar di corrompere il popolo italiano. [..]
Per quanto riguarda i rappresentanti del Principe della Pace, preti, pastori, vescovi, li vediamo correre tutti verso la mischia e mettere in pratica, con il fucile in pugno, le parole divine: “Non ammazzare” e “Ama il prossimo tuo”. Ogni bollettino vittorioso degli eserciti tedeschi, austriaci o russi, ringrazia il maresciallo Dio: unser alter Gott, il nostro Dio, come dicono Guglielmo II o Arthur Meyer. Ciascuno ha il suo Dio; e ogni Dio, vecchio o giovane, ha i suoi leviti che lo difendono e abbattono il Dio degli altri.
Ventimila preti francesi sono sotto le armi. I gesuiti offrono i loro servizi agli eserciti tedeschi. I cardinali lanciano pastorali bellicose. I vescovi serbi dell’Ungheria spingono i fedeli a combattere contro i loro fratelli della Grande Serbia. Senza stupirsene, i giornali riportano la paradossale scena dei socialisti italiani che acclamano, alla stazione di Pisa, i seminaristi in partenza per raggiungere i loro reggimenti, e tutti insieme cantano la Marseillaise. Il ciclone è tanto forte che li travolge tutti […].
Orsù, riprendiamoci! Qualunque sia la natura e la virulenza del contagio – epidemia morale o forze cosmiche –, non è possibile resistergli? Si combatte una pestilenza, si lotta addirittura per evitare i disastri del terremoto. O invece ci inchineremo davanti a essi, soddisfatti, come l’onorevole Luigi Luzzatti nel suo famoso articolo Nel disastro universale, le patrie trionfano? Ci assoceremo a lui per comprendere che “questa grande e semplice verità”, l’amor di patria, è buono ed è bene che “si scateni il demone delle guerre internazionali, che stroncano migliaia di esseri”? Così, l’amor di patria potrebbe fiorire soltanto sull’odio per le altre patrie e sul massacro di coloro che le difendono? In questa proposizione c’è una feroce assurdità e un dilettantismo neroniano che mi ripugnano, che mi sconvolgono nel profondo del mio essere. No, l’amore della mia patria non esige che io nutra odio e uccida le anime pie e fedeli che amano le loro patrie, esige che io le onori e cerchi di unirmi con loro per il bene comune.
Per consolarvi di tradire gli ordini del vostro Maestro, voi cristiani dite che la guerra esalta le virtù del sacrificio […]. Ma la dedizione di un popolo non può servire a niente di meglio che alla rovina degli altri popoli? E non è possibile sacrificarsi, o cristiani, senza sacrificare con sé il prossimo? […] Cristiani dei giorni nostri, non sareste stati capaci di rifiutare i sacrifici agli dei della Roma imperiale. Il vostro papa, Pio X, è morto di dolore, si dice, vedendo scoppiare questa guerra. E c’era di che morirne! Il Giove del Vaticano, prodigo di folgori contro gli inoffensivi sacerdoti tentati dalla nobile chimera del modernismo, che cosa ha fatto contro i prìncipi e contro i capi criminali che, smisurata ambizione, hanno scatenato la miseria e la fame sul mondo! Che Dio suggerisca al nuovo pontefice giunto sul trono di San Pietro le parole e gli atti per purificare la Chiesa da quel silenzio!
Quanto a voi, socialisti, ciascuno dei quali pretende di difendere la libertà contro la tirannide (i francesi contro il Kaiser, i tedeschi contro lo Zar), è forse il caso di battersi per la difesa di un dispotismo contro un altro dispotismo? Combatteteli tutti e due e fate blocco tra voi!
Non esisteva alcuna ragione per giungere a una guerra fra i popoli occidentali: fratelli di Francia, fratelli d’Inghilterra, fratelli di Germania, a dispetto di quanto ripete una stampa avvelenata da chi ha interesse ad alimentare i rancori, noi non ci odiamo. Io vi conosco, e conosco noi: i nostri popoli chiedevano soltanto la pace e la libertà. La tragica caratteristica della guerra – come potrebbe vedere chi si trovasse al centro della mischia e potesse guardare, dagli altipiani della Svizzera, tutti i campi nemici – consiste nel fatti che ciascun popolo è veramente minacciato nei suoi beni più cari, nella sua indipendenza, nel […] suo onore e nella sua vita. Chi li ha ridotti alla disperata necessità di schiacciare l’avversario o di morire? Chi, se non i loro Stati […]. Il peggior nemico non è al di là delle frontiere, ma all’interno di ogni nazione, e nessuna di esse ha il coraggio di combatterli.
Nota. Tratto da Romain Rolland, Al di sopra della mischia, Fratelli Fabbri, Milano 1965, pp. 128-133, nella traduzione di Edmondo Aroldi (prima ed. Edizioni Avanti!, Milano 1916). Le citazioni nella premessa al brano in Gunnar Ahlström, Il conferimento del premio Nobel a Romain Rolland, ibid., pp. 15-16 (lo scritto alle pp. 7-22); si veda anche Enzo Giudici, La vita e l’opera di Romain Rolland, ibid., pp. 25-100. (m.t.)
Le letture precedenti:
3. Guglielmo Ferrero, Cesarismo, burocrazia, esercito
2. Bertha von Suttner, La storia insegna l’ammirazione per la guerra
Giacomo dice
Ora capisco perché (o, almeno, uno dei motivi per cui) Alain non apprezzava Henri Bergson.