di Marco Toscano
Terzo appuntamento con le letture del nostro amico Marco Toscano intorno alla prima guerra mondiale, e alla guerra in generale.
Cari di storiAmestre,
l’opinione di Bertha von Suttner, che cioè il militarismo fosse un residuo di epoche primitive, era ampiamente condivisa dalle persone colte in Europa alla vigilia della prima guerra mondiale. Credo sia per questo motivo che accanto alla recente edizione del romanzo Abbasso le armi! trovo collocato nello scaffale della mia biblioteca il libro di Guglielmo Ferrero, Il militarismo. Dieci conferenze, Treves, Milano 1898, comperato anni fa su una bancarella. Si tratta di conferenze che il giovane Ferrero, non ancora trentenne (era nato nel 1871), aveva tenuto l’anno prima a Milano su incarico dell’Unione lombarda per la pace. In precedenza Ferrero aveva viaggiato per l’Europa: a Londra e Berlino era entrato in contatto con gli esponenti del laburismo e della socialdemocrazia tedesca; in Russia aveva conosciuto Tolstoj. Al ritorno dal viaggio aveva scritto un pamphlet contro Crispi, denunciando la politica protezionista, le spese militari e le rivendicazioni nazionaliste. Nel 1901, avrebbe sposato Gina Lombroso, figlia di Cesare.
Delle conferenze milanesi ricordavo la prima, quella in cui si dichiara che «la civiltà tende ad eliminare la guerra» (p. 6); ricordavo poi le pagine in cui Ferrero riflette sulla «avversione contro il militarismo così diffusa nelle classi medie» in Italia (p. 353). In realtà, rileggendolo oggi, ho trovato invece di grande interesse quella conferenza in cui Ferrero individua la forza del militarismo nella struttura stessa di uno Stato centralizzato e burocratizzato, che non lascia spazio al dissenso: noi, che conosciamo il seguito della storia, cogliamo in queste pagine un presentimento. Ferrero sta parlando della Francia, presentata come esempio per eccellenza di «cesarismo a carattere militare»; a suo dire, la Germania era «una società meno guerresca» (p. 374). Leggo in una enciclopedia che il termine militarismo (insieme a quello di imperialismo) era stato coniato in Francia dagli oppositori di Napoleone III, per denunciarne la politica; solo in seguito, e soprattutto dalla fine del secolo, il termine venne applicato soprattutto al Reich tedesco.
Si avverte nelle pagine di Ferrero l’influsso di Tolstoj, che indicava negli ingranaggi governativi e nella venerazione per lo Stato l’origine della guerra; ma si può cogliere anche l’eco delle parole di Carlo Cattaneo, quando scriveva: «Solamente quando la Francia avrà intorno a sé cento milioni d’uomini liberi, non sarà più costretta a tenere in armi seicentomila soldati, né ad affamare il popolo per disfamare l’esercito, i cui capitani conculcheranno sempre la sua libertà. Poco importa che il telegrafo ingiunga ai docili e silenziosi dipartimenti il comando d’un imperatore o d’un re o d’un presidente; il destino della moltitudine dei Francesi, fu sempre l’obbedienza; ed è una dura necessità per conservare a fronte dell’Europa regia l’unità militare». (È il passo che si conclude con la celebre frase: «Avremo pace vera, quando avremo li Stati Uniti d’Europa».)
Perché poi nel 1915 Ferrero abbia appoggiato l’intervento contro la Germania e l’Austria, dimostra una volta di più come nessuno possa dirsi immune, in determinate circostanze, dal richiamo alla guerra: e invita a riflettere sui meccanismi che portano a rispondere all’appello. Antifascista, Ferrero lasciò l’Italia nel 1930 per Ginevra, e morì in esilio nel 1942.
Marco Toscano
Cesarismo, burocrazia, esercito, di Guglielmo Ferrero
Che cosa è la Francia, politicamente e socialmente? – Si risponde: una repubblica. Ma “repubblica” è una parola vaga, che ha significato mille cose diverse nella storia e che ancor oggi ne significa molte. Bisogna dunque penetrare, oltre l’apparenza, l’essenza delle cose; se si vuol comprendere la politica militare dello Stato che ha combattuto le maggiori guerre del secolo, e al quale principalmente si deve che il militarismo dell’Europa continentale sia quale oggi è.
La Francia sembra essere una repubblica parlamentare e democratica, a base di suffragio universale [maschile, ndr]. Ma la costituzione repubblicana è oggi, come erano in passato la monarchia e l’impero, la scorza, che copre un tronco e un midollo antico, la cui natura ha cambiato poco in questo secolo: un cesarismo a carattere militare. […] Lo studio del militarismo francese ci farà conoscere la struttura e la vita di questo sistema sociale.
Sebbene la Francia sia il paese della grande rivoluzione, e molti facciano (troppo prestamente e senza riserve però) di “rivoluzione francese” e di “democrazia, libertà, giustizia” parole che significano la stessa cosa, le idee più propriamente militaristiche hanno anche oggi una notevole popolarità in Francia, specialmente nelle classi colte. Se per un cresciuto sentimento di giustizia si comincia a considerare da molti la guerra come giusta e bella, solo quando serva alla difesa di un diritto, l’opinione e il sentimento comuni della Francia istruita sono ancora quelli più genuinamente bellicose e meno temperati da considerazioni morali: che per un popolo è glorioso vincere guerre, indipendentemente dai loro motivi; che nel saper imporre la forza delle armi proprie ad altri popoli sta una delle grandezze della nazione; che la potenza e la gloria della Francia crescono con il crescere del suo territorio, in proporzione cioè del numero di chilometri quadrati a cui somma la sua superficie. La politica che miri alla annessione di nuovi territori, in Europa o – diventando l’impresa sempre più difficile in Europa – in Asia e in Africa, è politica buona per sé, come quella che cresce la gloria e la potenza della patria: al cui servigio deve esser messa la forza delle armi e del denaro, alla quale nessuno deve opporsi in nome di principii morali. […]
La struttura sociale base del militarismo francese è il cesarismo parlamentare.
Ogni idea, vera o assurda, è come un fuoco; ciò che per durare in una società senza spegnersi a poco a poco, abbisogna di un gruppo di uomini che le stia intorno, attento a attizzarla. Anche l’idea della gloria militare ha in Francia il suo collegio di attizzatori, incaricati di alimentare il fuoco: la burocrazia civile e militare; il corpo dei 400.000 funzionari governativi e dei 127.000 funzionari dipartimentali e comunali che ricevono tutti insieme, per stipendi, 637 milioni di franchi all’anno; ai quali aggiungendo i 200 milioni delle pensioni passate ai veterani dell’esercito burocratico, si ha la somma di 837 milioni, che il personale della pubblica amministrazione costa alla Francia.
[…] Questa amministrazione, che fu creata da Napoleone I, sul disegno abbozzato dalla Convenzione, come strumento per applicare il suo vasto cesarismo dispotico, è sopravvissuta alla rovina del suo autore e ne ha raccolta la eredità del potere, perpetuando la tradizione del cesarismo e perfezionandola, sotto mutate apparenze esteriori, nel cesarismo parlamentare dei nostri giorni. Napoleone pensava di assicurare la continuità della politica e della amministrazione, fissando il sommo potere nella sua famiglia: sogno futile, che gli avvenimenti dispersero! Diverse famiglie salirono e scesero dal trono di Francia; diversi governi sorsero e caddero, durante il secolo; ma la continuità politica e amministrativa non fu mai interrotta dalle rivoluzioni, perché la burocrazia restò, e intorno ad essa si ricostituì sempre e rapidamente quel cesarismo, con cui la Francia si governa da tanto tempo. […]
Oltre il compito di mantener l’ordine e di far funzionare meno male che sia possibile i servizi pubblici, l’amministrazione ne ha un altro più importante: rendere un gingillo innocuo, nelle mani del popolo, la pericolosissima arma del suffragio universale [maschile, ndr], che fu dovuta dargli per forza di tempi, ma come si dà una pistola ad un bambino adirato, perché ci si trastulli come con un balocco e si cheti. Essa si serve all’uopo di numerosissimi strumenti materiali e morali; e l’opera è diretta dal personale più propriamente politico (prefetti, sottoprefetti), aiutato dal personale più propriamente amministrativo. I prefetti e i sottoprefetti son sparsi per tutte le città della Francia, soprattutto con l’incarico di ordire le cabale elettorali; di rendere impossibile il crescere di partiti risolutamente intesi a una riforma radicale dell’amministrazione e del governo, mantenendo e, se è possibile, aumentando la disunione tra coloro che potrebbero portare il contributo più formidabile a un movimento di opposizione. Mettendo in opera tutte le astuzie e le corruzioni, essi accarezzano le associazioni – operaie o borghesi –, tengon d’occhio le autorità locali, si accaparrano il favore dei ricchi proprietari, industriali, e in genere di tutte le persone di conto nel luogo, dispensando decorazioni, promettendo favori, regolando giudiziosamente la pressione di certe leggi fiscali sui patrimoni degli uni e degli altri […].
All’intrigo e alla corruzione si unisce naturalmente la forza, la forza dello smisurato esercito, buono per le guerre di fuori come per le repressioni di dentro; e che ha più volte, in casi disperati, servito a salvare il cesarismo francese dagli accessi di collera del paese. La Comune insegni: la Comune fu repressa con tanta ferocia, non perché volesse abolire la proprietà privata, ma perché si provò a promuovere un movimento federalista, che avrebbe con l’amministrazione centrale, distrutto il nucleo, di così resistente vitalità, intorno a cui si ricostituisce sempre il cesarismo. I comunardi, senza saperlo chiaramente, si erano levati contro il tiranno secolare che governa da secoli la Francia; e furono ributtati giù, a furia di mitraglia e di fucilate, da una oligarchia di politicanti feroci aiutata da tutta l’amministrazione; perché si sperava di seppellire, per molti anni se non per sempre, nella fossa immensa che ricevé i cadaveri di 35.000 trucidati, ogni proposito nazionale di rivolta contro il cesarismo borghese.
Nota. Tratto da Guglielmo Ferrero, Il militarismo. Dieci conferenze, Treves, Milano 1898, pp. 271-288 (capitolo Militarismo e cesarismo in Francia). Le altre citazioni ibid., pp. 6, 353, 374.
La citazione di Carlo Cattaneo è dai Corollarii, alla fine di Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra; io riprendo da Carlo Cattaneo, Tutte le opere, IV, a cura di Luigi Ambrosoli, Mondadori, Milano 1967, pp. 714-715.
Ho letto la voce Militarismo scritta da Golo Mann per la Enciclopedia del Novecento, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1979, ora consultabile in linea. (m.t.)
Le puntate precedenti:
2. Bertha von Suttner, La storia insegna l’ammirazione per la guerra