di Marco Toscano
Nuovo appuntamento con le letture del nostro amico Marco Toscano intorno alla prima guerra mondiale, e alla guerra in generale.
Cari di storiAmestre,
Fanny Dal Ry (1877-1961) si trova citata spesso come esponente del socialismo antimilitarista italiano nei primi decenni del Novecento. Dopo la guerra raccolse alcuni scritti apparsi tra il 1906 e il 1915 nel giornale socialista e antimilitarista La pace di Genova e li pubblicò nell’opuscolo Abbasso la guerra, introdotto da questa Avvertenza: “L’Autrice – ora Ispettrice scolastica e Direttrice nelle scuole di Genova – ebbe molte persecuzioni a causa della sua coraggiosa opera di propaganda, ma i suoi scritti hanno oggi sapore di profezia dopo la consacrazione tragica della guerra”.
Per cercare notizie di prima mano su di lei ho preso dalla mia libreria il volume di Isa Bartalini, I fatti veri. Vicende di una famiglia toscana (1996): un libro di memorie e di ricostruzione storica scritto dalla figlia di Ezio Bartalini (1884-1962), che era stato direttore della Pace. Il motivo è che Fanny Dal Ry visse per alcuni anni assieme a Bartalini. Non si sposarono; il loro era un “libero amore”, come si diceva, in omaggio alla libera scelta e al principio che l’unione tra uomo e donna doveva essere basata sull’amore reciproco. In casa Bartalini, una famiglia socialista, il matrimonio di convenienza era disprezzato, e le donne che si sposavano per interesse erano considerate peggio delle prostitute.
“La Fanny”, come la chiamavano in casa Bartalini, era nata a Verona nel 1877 da famiglia di origine trentina. Isa, che pure era nata nel 1922, quando il legame tra suo padre e Fanny era finito, ricorda la Fanny come una donna minuta ma che si faceva notare, con una chioma di capelli rossi e due occhi grandi, con testa e busto eretti: “me la immagino bene – scrive – su una barricata, brandendo una fiaccola o un vessillo”. Stando ai ricordi raccolti da Isa, la Fanny aveva trascorso l’infanzia con i suoi in Eritrea e a Genova era arrivata a vent’anni per fare la maestra. Iscritta al partito socialista nella tendenza rivoluzionaria, cominciò a frequentare il gruppo che diede vita al giornale La pace, che Bartalini cominciò a dirigere nel 1903, quando aveva 19 anni. Almeno dal 1904 Fanny fu accettata nella famiglia di Ezio, e i due convissero assieme fino alla prima guerra mondiale. La Fanny pubblicò il suo primo articolo nella Pace nel 1905, quando aveva 28 anni; quell’anno ne scrisse un altro con Ezio, firmando con lo pseudonimo collettivo Nizi Di Ri. In tutto, il giornale pubblicò una trentina di articoli della Fanny.
Le posizioni del socialismo europeo nei confronti del militarismo erano di due tipi. Secondo la maggioranza riformista il militarismo sarebbe stato superato con la fine del capitalismo. La tendenza rivoluzionaria invece, come gli anarchici, seguiva le teorie di Gustave Hervé, secondo cui l’esercito è lo strumento con cui il capitalismo mantiene il proprio dominio di classe, inculcando il patriottismo e addestrando all’obbedienza; di qui la necessità di una propaganda tra i soldati e l’impegno a opporsi a una eventuale guerra con uno sciopero generale grazie alla fraternizzazione con i soldati. La pace, e anche Fanny Dal Ry, seguivano questa seconda posizione. Nel 1907 Fanny Dal Ry tradusse il libro di Hervé, Leur patrie: su suggerimento di Bartalini la traduzione italiana del titolo divenne La patria di lor signori. Il libro ebbe una diffusione non solo in Italia ma anche nell’emigrazione italiana in Francia, Svizzera e Argentina.
Nel 1908 La pace organizzò il primo congresso antimilitarista italiano, a Siena, a cui parteciparono sindacalisti, socialisti rivoluzionari e anarchici. La foto di gruppo mostra una ventina di uomini: unica donna è la Fanny, seduta in prima fila, che presiedette il convegno assieme a Enzo. In quell’anno la Fanny fu condannata a cinque anni e duemila lire di multa per un articolo antimilitarista: la condanna fu ridotta in appello, e poi ci fu un’amnistia. Non era la prima condanna: due anni prima aveva ricevuto una pena di trenta giorni, sempre per un articolo in cui scriveva: “Intensificare la propaganda antimilitarista è attualmente un’imperiosa necessità. Chi asserisce il contrario, chi tenta ostacolare l’antimilitarismo in qualsiasi modo, cova nell’animo, cosciente o no, istinti criminali”.
Scoppiata la guerra nell’agosto 1914, La pace ribadì le proprie posizioni, ancor più dopo la “diserzione di molti, che furono tuttavia fino a ieri banditori delle stesse idee da noi proclamate”. Il riferimento era a Hervé e a Mussolini, tra gli altri, diventati entrambi interventisti. Fanny Dal Ry rilanciò il tradizionale appello dell’Internazionale: “Vinti di tutto il mondo, alla riscossa! Al mostruoso grido: Lavoratori di tutto il mondo, sgozzatevi! l’Internazionale operaia contrapponga con fierezza nuova: Lavoratori di tutto il mondo uniamoci!”. La pace continuerà a battersi per la neutralità e per la difesa del socialismo, rimanendo un punto di riferimento per chi rifiutava la guerra fino a che dovrà cessare le pubblicazioni nel maggio 1915, quando il governo italiano, con un colpo di mano, condusse il paese in guerra.
Dall’opuscolo Abbasso la guerra riprendo un brano dell’articolo Gloria. Scrive Isa Bartalini che gli articoli della Fanny “usano sempre toni appassionati”, e che a rileggerli oggi “certe sue immagini enfatiche possono far sorridere, ma erano indubbiamente sincere”. Questo articolo lo dimostra.
Dopo la guerra la Fanny sposò un ufficiale di carriera, che lascerà l’esercito. Nel 1926 andò anticipatamente in pensione per non prestare giuramento al regime fascista. Morì a poco più di ottant’anni nel 1961.
Un cordiale saluto dal vostro
Marco Toscano
Non obelischi, ma colonne infami, di Fanny Dal Ry
Chi può compiutamente rievocare col pensiero l’orrore supremo delle infinite battaglie, che non un lembo di terra hanno lasciato terso di sangue? Chi può dire il numero di vite umane, violentemente spazzate dal mondo nelle imprese folli, che la gloria sublima?
Un morboso ragionar da mentecatto chiamò grandezza patria l’imposizione di un dominio violento esteso a città rase al suolo, ridotte a cimitero; una fatale aberrazione di pensiero giudicò valore l’obbrobrio umani di colossali raccapriccianti macelli d’eserciti; una deplorevole psicosi collettiva decretò ammirazione illimitata ed innalzò obelischi a chi, avido d’imperio, passò nel mondo con la violenza distruttrice della folgore, a chi, assetato di potenza, inesorabile precipitò sulle nazioni con la terrificante impetuosità della valanga, che tutto travolge.
Ma, tra il promettente fiorire di più evolute idealità, che aiutate dai risultati della scienza, sospingono verso migliori forme di convivenza sociale, si delinea nitida ormai la risposta alla domanda manzoniana:
– No, non fu vera gloria.
[…]
Colonne infami appariranno al pensiero e al sentimento progredito delle generazioni venture, le superbe colonne innalzate con somma impudenza a memoria glorificata degli atroci maciullamenti di carne umana, compiuti per il conteso possesso d’un pezzo di terra, per sete di supremazia e di potere. Esse le abbatteranno, forse, per dimenticare la vergogna dei barbari antenati, come il figlio dell’assassino, pur incolpevole, tenta d’indurre l’oblio sulle proprie origini: oppure, documento storico d’un’era ormai sorpassata e abusivamente detta civile, le conserveranno nei musei della scienza per misurare con senso d’orgoglio il cammino compiuto.
Come presentemente si giudica delinquente la spavalderia del camorrista napoletano, che si batte a colpi di coltello unicamente per provare il proprio coraggio e la propria bravura, così una mentalità collettiva più evoluta vedrà nella sua vera luce delittuosa i vicendevoli sterminii fra popoli e rileverà con infinito stupore come gli uomini si vantassero di combattere da leoni, frase con la quale non potevano meglio significare la bestialità delle loro zuffe selvagge.
Non più, non più sarà chiamato eroe l’uccisore dei suoi simili; non più sarà esaltato il valore, il coraggio guerriero, coraggio da fiere.
E se lauri verran tributati e ghirlande ancor saranno intessute, non di grandi assassini, circonfusi d’una bugiarda aureola di gloria, orneranno la fronte, ma di pensatori, di scienziati, si martiri dell’idea, coraggiosi autentici, che – si chiamino Giordano Bruno od Emilio Zola – serenamente affrontano l’ira d’una ignoranza cieca, la prepotenza d’un pregiudizio volgare, l’universalità cocciuta d’una opinione contraria e si lasciano bruciare sul rogo o malmenare da una folla bestiale senza ritrattare una menoma affermazione, sorridenti all’interiore bellezza di una idea luminosa di verità e di giustizia.
Coraggio civile assai più fecondo di bene, che la più lontana posterità non cesserà d’ammirare!
Spogliata dal suo manto ingannatore, la gloria bellica apparirà in tutto il suo orribile aspetto di falciatrice crudele, d’ossuta megera ingorda di giovani vite; e, perduto ormai ogni fascino, più non le sarà possibile trarre le masse laboriose nell’orrendo baratro in cui precipitarono i miliardi d’illusi, che ne seguiron le orme.
E allora davvero l’umanità potrà chiamarsi civile.
Nota. Fanny Dal Ry, Gloria, in Ead., Abbasso la guerra, Libreria Editrice La Pace, Genova s.d. [dopo il 1915], pp. 5-14 (il brano citato alle pp. 11-14). Su Fanny Da Ry vedi Isa Bartalini, I fatti veri. Vicende di una famiglia toscana, a cura di Lilia Hartmann, prefazione di Ivan Tognarini, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1996, pp. 79-82. Su Fanny Dal Ry collaboratrice de La pace, e in generale sul periodico, vedi Gianni Oliva, Esercito, paese e movimento operaio. L’antimilitarismo dal 1861 all’età giolittiana, Franco Angeli, Milano 1986, pp. 191-202 e soprattutto Ruggero Giacomini, Antimilitarismo e pacifismo nel primo Novecento italiano. Ezio Bartalini e “La Pace” 1903-1915, Franco Angeli, Milano 1990, ad vocem (sull’articolo firmato Nizi Di Ri, p. 125 n.; sulle condanne a causa dei suoi scritti, pp. 113-115; sul giornale nel 1914-15, pp. 188-206). La citazione dall’appello ai proletari di Fanny Dal Ry è in Ead., Guerra di razze, “La pace”, 15 novembre 1914, in Mirella Scriboni, Abbasso la guerra! Voci di donne da Adua al Primo conflitto mondiale (1896-1915), BFS, Pisa 2008, pp. 135-136. Notizie sul matrimonio, sul pensionamento anticipato e sulla data di morte in Simona Tagliaventi, Socialista, femminista, antimilitarista. Fanny Dal Ry, in Donne nella Grande guerra, introduzione di Dacia Maraini, il Mulino, Bologna 2014, p. 205 (il saggio alle pp. 193-205), che rinvia a Lidia Mangani, Fanny Dal Ry. Una maestra elementare tra femminismo e pacifismo, “Storia e problemi contemporanei”, II (1989), 4, pp. 87-107. Due righe su Fanny Dal Ry anche all’intero della voce “Bartalini, Ezio”, ne Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, a cura di Franco Andreucci e Tommaso Detti, Editori Riuniti, Roma 1975, vol. I, ad vocem (firmata da G. Perillo: “attiva collaboratrice del giornale [La Pace], nota pedagogista che diresse una scuola per fanciulli subnormali e fondò un ricreatorio laico intitolato a F. Ferrer”). (m.t.)
Puntate precedenti:
18. Erich M. Remarque, Nessuno vuol sapere la verità
17. Aldo Palazzeschi, Il mandolino è mille volte superiore al cannone
16. Romain Rolland, Opinioni di Albert Einstein sulla guerra in corso
15. Simone Weil, La società attuale è un’immensa macchina di cui nessuno conosce i comandi
14. Andreas Latzko, Malato io?
13. Józef Wittlin, I misteri della subordinazione militare
12. Elias Canetti, Inni nazionali e facce stravolte dall’odio
11. Karl Kraus, Davanti a una bottega di barbiere
10. Jaroslav Hašek, Quale Ferdinando, signora Müller?
9. Virginia Woolf, Togliere dai cuori degli uomini l’amore delle medaglie e delle decorazioni
8. La rivolta della Catanzaro, da Plotone di esecuzione
7. Emilio Lussu, Un episodio di decimazione
6. Corina Corradi, La scena si faceva sempre più spaventosa
5. Helena M. Swanwick, Il senso dell’onore è causa di guerre
4. Romain Rolland, Ciascuno ha il suo Dio e combatte quello degli altri
3. Guglielmo Ferrero, Cesarismo, burocrazia, esercito
2. Bertha von Suttner, La storia insegna l’ammirazione per la guerra