di Marco Toscano
Nuovo appuntamento con le letture del nostro amico Marco Toscano intorno alla prima guerra mondiale, e alla guerra in generale.
Cari di storiAmestre,
non conosco racconti della mobilitazione dell’estate 1914 in Europa paragonabili per forza narrativa alle pagine che vi dedicò Józef Wittlin (1896-1976) nel romanzo Il sale della terra.
“I corpi, le divisioni, le brigate e i reggimenti hanno già preso forma. Nella prima compagnia di ciascun reggimento gli alfieri portano le bandiere. Giganteschi cortei mascherati attendono ubbidienti il comando di coloro che menano la danza. Solo in faccia non portano maschere. Tanto, ormai, le facce non hanno nessuna importanza. Oggi hanno valore soltanto i tronchi, le membra e il tipo di stellette e bottoni cuciti sull’essere umano. I bottoni! Soprattutto i bottoni devono essere in ordine. E comunque verrà anche il tempo delle maschere. Antigas.
I soldati dell’esercito imperiale e regio, come vuole l’antica tradizione, hanno fissato sui cappelli rametti di foglie di rovere. […]
Partiti. Sono partiti gli uomini, sono partiti i cavalli, gli asini, i muli, le bestie da macello. È partito il ferro, l’ottone, il legno e l’acciaio. Cigolano i carreggi, rimbombano i camion, sferragliano sordi i carrelli pieni di granate, shrnappel e bombe sistemate nelle casse come fiaschette di acqua minerale. Con passo pesante si spingono avanti gli affusti di mortai, canoni, obici. Procedono, avanzano, ansimano vive e morte cifre, cifre escogitate dalle teste dello Stato maggiore”…
Il protagonista del romanzo è un quarantenne montanaro che lavora presso un casello ferroviario in Galizia, e che nell’estate 1914 viene richiamato sotto le armi nell’imperialregio esercito austroungarico: analfabeta (un po’ lo scemo del villaggio), prende con sé la chiave della catapecchia in cui vive e una fotografia della madre morta, e assieme al suo reparto viene portato dopo un lungo viaggio in treno in Ungheria, dove viene addestrato per la guerra. Il romanzo, scritto in una decina d’anni e uscito a Varsavia nel 1935, fu pubblicato in italiano una prima volta nel 1939: io ho preso una nuova edizione recentissima (anch’io incremento la biblioteca in occasione del centenario), a cura di Silvano De Fanti, dalla cui Introduzione traggo qualche notizia sull’autore.
Nell’estate 1914 Wittlin aveva diciotto anni; ebreo e di lingua polacca, si arruolò in una legione composta di volontari polacchi che venne sciolta dopo un mese in seguito al rifiuto di prestare giuramento all’imperatore. Per sfuggire all’invasione russa della Galizia e della Bucovina, si unì alle centinaia di migliaia di profughi che trovarono riparo a Vienna. Qui divenne amico di Joseph Roth, lui pure della Galizia. In un ricordo di Roth scritto molti anni dopo, Wittlin scrive che in quegli anni viennesi “eravamo entrambi pacifisti e un po’ anarchici”, ammiratori di Karl Kraus. Per motivi “che allora non ci erano del tutto chiari – è sempre Wittlin a ricordare – e che solo Joseph Conrad sarebbe stato un grado di definire”, verso la fine del 1916 Wittlin e Roth si fecero raccomandare per essere arruolati nell’esercito da cui erano stati esclusi in quanto inabili.
Dopo un periodo in una caserma nei pressi di Lublino, Wittlin si ammalò di scarlattina. Ricoverato in vari ospedali nelle retrovie, divenne interprete in un campo di prigionia per soldati italiani, grazie alla conoscenza della lingua. Riconosciuto invalido nel settembre, tornò a Leopoli.
La guerra non ebbe tempo di finire che subito se ne aprì un’altra tra ucraini e polacchi per l’annessione della Galizia orientale nel 1918-19, a cui Wittlin si rifiutò di prendere parte.
A metà degli anni Trenta, quando pubblicò Il sale della terra, Wittlin sentiva chiaramente la guerra del 1914-18 come l’inizio di un nuovo imminente massacro. Nel 1939, per sfuggire agli attacchi antipacifisti e antisemiti in Polonia, e mentre la situazione internazionale precipitava, si rifugiò in Francia, dove già aveva vissuto tra il 1928 e il 1932; l’anno dopo è raggiunto dalla moglie e dalla figlia. Riescono ad attraversare la Spagna e quindi a raggiungere Lisbona, da cui nel 1941 s’imbarca con la famiglia in una nave mercantile per New York. Dopo la guerra compie qualche viaggio in Europa: morirà a ottant’anni a New York.
Sono molti, oltre al racconto della mobilitazione (pp. 83-90), i brani da antologia: il vecchio imperatore Francesco Giuseppe che firma la dichiarazione di guerra alla Serbia “Ai miei amati popoli” (pp. 70-78); la visita di leva in cui il protagonista nudo tiene in mano il certificato di battesimo e la cartolina precetto (“il documento che attestava l’appartenenza della sua anima a Dio e il documento con cui l’imperatore reclamava il suo corpo”, p. 135); il giuramento all’imperatore (“Nel contratto orale e non volontario stipulato tra i popoli dell’Austria e l’Augustissimo Monarca, Dio svolgeva la funzione di notaio”, p. 158); l’invasione russa della Galizia e la violenza contro la popolazione civile (“Spaccano i vetri con i calci dei fucili, saccheggiano i negozi e le taverne degli ebrei, e quando s’infuriano incendiano villaggi interi. Sventrano i piumini degli ebrei, tagliano la barba agli ebrei, e gonfiano le pance delle giovani ebree”, p. 164); la partenza dei soldati in treno accompagnata dal pianto delle donne (“In quel momento due vecchie ebree lanciarono un urlo. […] Fu il segnale del pianto collettivo”, p. 222). Per la mia scheda scelgo un brano che descrive “la religione della Subordinazione”, che porta gli uomini a morire in guerra contro la propria volontà: lo scelgo anche perché Wittlin si rivolge esplicitamente ai posteri, per metterli in guardia (“E non ti stupire, nipote, pronipote a cui narro questo lungo racconto…”). Non sorprenda il riferimento ai gradi iniziatici dei misteri eleusini: Wittlin è noto per aver tradotto l’Odissea in polacco. L’accenno al sapore dolce della morte per il re e per la patria è invece una citazione ironica del verso di Orazio, Dulce et decorum est pro patria mori.
Lasciandovi alla lettura, vi ringrazia ancora una volta dell’ospitalità e vi saluta cordialmente il vostro
Marco Toscano
I misteri della subordinazione militare, di Józef Wittlin
I misteri della subordinazione militare, similmente ai misteri eleusini, già qui, sulla terra, affratellavano i mortali con la morte ed erano accessibili solamente agli iniziati. In ambo i casi esistevano due gradi iniziatici: al grado di miste corrispondeva la recluta, al grado di epopte il soldato che stava già al fronte. Con la differenza che il culto volontario di Demetra lasciava agli iniziati libertà assoluta nella valutazione del sapore della morte. Il sapore della morte, ai tempi dell’imperatore, del re e della patria, era stabilito dai regolamenti. Da secoli e secoli era invariabilmente dolce.
Gli uomini del Marschbataillon era iniziati di primo grado. Per ora erano in contatto solo con i simboli della morte, la cui reale dolcezza si sarebbe manifestata solo dopo il cosiddetto battesimo del fuoco. Lì, nella guarnigione, diventavano degni del battesimo tramite l’onore idolatrico reso alla Subordinazione. La religione della Subordinazione non era esclusiva. Tutt’altro: ad essa premevano le masse, specie dei convertiti a forza. Chi non voleva farsi convertire e iniziare ai misteri della Subordinazione, su Suo ordine veniva messo a morte, una morte non dolce, bensì amara e infamante. Il culto della Subordinazione esigeva numerose pratiche e gesti rituali. E non ti stupire , nipote, pronipote a cui narro questo lungo racconto, se in quei tempi lontani milioni di uomini dovevano irrigidirsi nell’immobilità e rendere omaggio a degli estranei solo perché su di essi luccicavano le stellette. Dovevano rendere omaggio a tutti i signori frajter e signori caporal maggiori, e ai signori sergenti maggiori, e ai signori Feldwebel, e in particolare ai signori ufficiali, a partire dal Fähnrich [alfiere, NdT] fino alle loro Eccellenze i signori feldmarescialli. E dovevano rendere omaggio ancora più in alto, fa paura pensare quanto in alto. Eppure a tutte quelle potenze stellate spettava lo stesso omaggio, sebbene la ragione imponesse di considerarne la grandi differenze, e quindi di salutare il caporale in un modo e il generale in un altro. Se al caporale si faceva il saluto con una mano, al generale si sarebbe dovuto farlo con tutte e due. Questo imporrebbe la ragione. E così fece un certo soldato, che il lettore paziente avrà modo di conoscere nel corso della narrazione. Successivamente quel soldato fu espulso dalla k.u.k. [imperialregia] armata in quanto pazzo.
[…]
I signori ufficiali, in quei mesi di luna di miele della guerra, rispondevano con evidente soddisfazione agli onori loro resi. Soprattutto gli ufficiali della riserva andavano fieri di essere improvvisamente diventati oggetti d’onore. Adesso, verso quegli insegnanti di campagna, mercanti, impiegati e studenti, le riverenze militari affluivano da ogni dove a ritmo regolamentare, a cadenza regolamentare, e loro le afferravano al volo come palloni e le rinviavano.
Nota. Tratto da Józef Wittlin, Il sale della terra, a cura di Silvano De Fanti, Marsilio, Venezia 2014, pp. 278-281. (m.t.)
Le puntate precedenti:
12. Elias Canetti, Inni nazionali e facce stravolte dall’odio
11. Karl Kraus, Davanti a una bottega di barbiere
10. Jaroslav Hašek, Quale Ferdinando, signora Müller?
9. Virginia Woolf, Togliere dai cuori degli uomini l’amore delle medaglie e delle decorazioni
8. La rivolta della Catanzaro, da Plotone di esecuzione
7. Emilio Lussu, Un episodio di decimazione
6. Corina Corradi, La scena si faceva sempre più spaventosa
5. Helena M. Swanwick, Il senso dell’onore è causa di guerre
4. Romain Rolland, Ciascuno ha il suo Dio e combatte quello degli altri
3. Guglielmo Ferrero, Cesarismo, burocrazia, esercito
2. Bertha von Suttner, La storia insegna l’ammirazione per la guerra