di Alessandro Bresolin
Un augurio di buon 2019 con un racconto del nostro amico Alessandro Bresolin. Queste pagine nascono da un diario tenuto durante un periodo in cui ha lavorato alla raccolta di asparagi. Alessandro le ha scelte per ricordare un amico scomparso durante un’escursione in val Gares e mai ritrovato. Quindi le ha riviste per la loro prima pubblicazione: il racconto è già uscito all’interno del libro Luci sulle fronde prodotto e messo in vendita per finanziare la ricostruzione di un parco giochi per bambini nelle Dolomiti bellunesi, distrutto dal maltempo nell’autunno 2018. In questo modo, contribuiamo idealmente anche noi al progetto, ringraziando i suoi animatori, che ci hanno autorizzato a riprendere queste pagine.
A volte la montagna non restituisce i propri figli tanto facilmente, li custodisce come una madre gelosa. Lo sa bene Milva che ha perso suo marito Luciano, scomparso in montagna e mai ritrovato. Erano andati a fare un’escursione sulle Dolomiti bellunesi, in val Gares. Arrivati alla seconda cascata Luciano voleva allungare il percorso, andare più su fino all’Orrido delle Comelle. Milva però era stanca: “Vai tu se vuoi, ci vediamo alla chiesa di Gares verso le due”, gli ha detto.
Lui però a Gares non ci è arrivato, dall’Orrido non è più tornato. Tutto cambia all’improvviso. Un evento che travolge la vita come uno tsunami, la quotidianità perde significato, le motivazioni diventano opache. Milva rimane da sola a mandare avanti la casa e il campo, a crescere le tre figlie, e non si rassegna, non è nel suo carattere. Perché a oggi Luciano Bizzotto è ancora lassù e Milva non demorde, lo vuole trovare, spera sempre lancia l’appello: se un passante, qualcuno noti un dettaglio che possa essere utile a trovarlo.
Allo stesso modo si prende cura delle asparagiaie piantate da Luciano. Sì, a Rosà è cominciata la stagione degli asparagi e siamo in piena raccolta. Per reagire alle disgrazie, tiriamo su asparagi bianchi e resilienti. Vanno scovati prima che spuntino da terra, cioè di mattina presto. Sveglia alle cinque, è una giornata fredda e umida, ha piovuto tutta la notte e lavoriamo con gli stivali di gomma. Con l’aiuto del vicinato apriamo i teloni, andiamo su e giù per le asparagiaie frugando la terra, richiudiamo i teloni e andiamo a ripulirci in garage e a curare il raccolto del giorno. Sono belli gli asparagi che aveva piantato Luciano. Milva però è di poche parole, la ferita è molto fresca, a volte sembra un albero scorticato a linfa viva. Sistemiamo gli asparagi sul tavolo e il secchio a terra dove mettere le scorze. Bisogna sciacquarli, suddividerli per grandezza, metterli in acqua…
Procediamo veloci, come si deve, ma forse un po’ anche per non pensare. Infatti non siamo sciolti, ci muoviamo come automi. Ci sono giorni in cui è difficile affrontare ogni cosa. Milva a un certo punto non ce la fa, rallenta il ritmo, sembra concentrata a curare gli asparagi ma in realtà ha la testa altrove e depone il coltello. Mi sento minuscolo davanti alla sua sofferenza e balbetto: “Ti capisco, questi sono lavori che eri abituata a fare con lui, è la prima volta che non c’è e io sono un imbranato”.
Purtroppo sono solo il loro inquilino, che abita da dieci anni nella vecchia casa rurale del padre di Luciano. Con la loro famiglia si è instaurato un rapporto speciale, ma ho voglia di darmi da fare. Quella poca esperienza che ho da contadino me l’ha insegnata Luciano, e non sono certo all’altezza, non posso sostituirlo in alcun modo. Milva si gira verso di me, si asciuga gli occhi, sorride a fatica e dice: “Ma va là, desperà! Facciamo pausa, sono stanca. Andiamo su a fare colazione”.
In cucina veniamo accolti da un bel tepore che ci intiepidisce la pelle. Milva prepara una moca di caffè, mette altra legna nella stufa, taglia due fette di focaccia e comincia a raccontare.
La storia della croce di Passo Regade, 2177 m s.l.m.
Hai presente Gino, il nostro vicino? Adesso è vecchio ma tempo fa era a capo della fabbrica che ha costruito con i suoi fratelli, qui dietro il campo. È la fabbrica dove ha sempre lavorato Luciano. Si conoscevano fin da piccoli, Gino e Luciano, tutti e due grandi appassionati di montagna.
Una domenica di venticinque anni fa, durante un’escursione nelle dolomiti bellunesi, a un tratto Gino vede una croce di legno piantata su una vetta molto irta, circondata da burroni. Allora si chiede: “Perché hanno messo questa croce? Cosa sarà mai successo quassù?”.
Decide di raggiungerla, e con grande fatica ce la fa. Era un’umile croce di legno, legata con lo spago. Nessuna targa, nessun santo, nessuna spiegazione. Tornando indietro, cerca di interrogare la gente, ma nessuno dei montanari sa dirgli chi l’ha messa e perché. Eppure un motivo ci sarà stato, continua a pensare.
Lunedì mattina, in fabbrica Gino racconta agli operai, che per lui erano come dei figli, del ritrovamento della croce misteriosa e della decisione che ha preso quella notte: “Ne voglio mettere una più bella”.
Gli operai sono entusiasti dell’idea e tutta la fabbrica si mobilita. Viene progettata una croce di quattro metri, in acciaio, la costruiscono e viene organizzata una squadra di trenta operai per portarla in montagna. Ogni operaio porta un carico di materiale, perché c’era tanto da portare, oltre alla croce gli attrezzi e i viveri. Pensa, la croce è alta quattro metri e il materiale pesante! Riescono a raggiungere quella vetta. È stata un’impresa, hanno girato anche un filmino 8×8 che Gino da poco ha passato in DVD, te lo può far vedere. Gli operai montano le tubature colorate di nero, ci mettono i pomelli, e sulla gettata di cemento ai piedi della croce scrivono semplicemente la data.
Molti anni dopo Gino, ormai in pensione, racconta questa storia a Luciano, che si sorprende di non saperne niente. All’epoca in cui Gino aveva trovato la croce, lui stava diventando papà e per questo non aveva partecipato alla spedizione, ne aveva solo sentito parlare. A quel punto Luciano vuole raggiungere quella vetta, andare a vedere la croce. Gli chiede dov’è, come si chiama il posto. Ma si sente rispondere: “La croce è visibile, la si vede da giù, ma è passato tanto tempo e purtroppo non mi ricordo più come ci si arriva! Il guaio poi è che si tratta di una vetta davvero irta, non ci si sta più di dieci persone”.
Luciano cerca di informarsi ma nessuno ne sa più niente, gli operai che avevano partecipato alla spedizione erano tutti in pensione, o in ospizio. Allora Luciano, senza dirmi niente, comincia a fare le sue ricerche, va in escursione con l’obiettivo di trovarla e salirci. Dopo vari tentativi un giorno arriva a casa e mi dice: “L’ho trovata! È tutta rotta, un fulmine deve averla centrata spaccando un’ala e aprendo l’acciaio per lungo.”
Poi va a riferire tutto a Gino, che rimane così colpito dalla rovina della croce, da dirgli subito: “Portami là”.
Luciano aveva segnato il percorso, e un giorno stabilito ci salgono insieme. Davanti alla croce Gino si mette a piangere, e naturalmente decidono di doverla riparare. Luciano ne parla in fabbrica con i suoi colleghi, ma gli operai sono cambiati, non sono gli stessi, e nessuno mostra di voler partecipare. Quindi a voler salire in vetta non sono in trenta, ma solo Luciano. Da quel momento, senza perdersi d’animo e con il suo solito entusiasmo, si mette a progettare la croce, a organizzare una nuova spedizione. Dopo aver capito come fare, quando tutto è pronto, saliamo: lui e un suo amico con il materiale e gli attrezzi, io con i viveri. Il lavoro l’ha fatto tutto Luciano, voglio dire la riparazione e il montaggio, perché è stata smontata e innalzata nuovamente. E poi, siccome volevano mettere una targa, al posto della semplice data, Luciano ha detto: “Scrivo io qualcosa!”. E ha composto quella poesia, che adesso è sulla croce.
“Guardalo, non ti sembra in paradiso?” – dice Milva indicandomi la foto appesa al muro, sopra la radio – “Si vedono sono solo nuvole e il sole, ma invece intorno è tutta montagna. La trovo molto simbolica”.
Conosco già la foto ma la osservo meglio. Ha ragione Milva, è tutta un simbolo. Nuvole e cielo azzurro limpido d’alta quota sullo sfondo, e poi Luciano, sudato, con i guanti da lavoro, che sorregge una croce metallica sorridendo felice, a occhi socchiusi. In alto a destra un biglietto con su scritta la sua poesia:
Se il sentiero ti ha condotto
fin quassù
riposati un attimo,
saluta Gesù.
Cerca sempre nel diletto
per i monti aver rispetto
e sii grato a chi in passato
questa croce ha qui innalzato
Mi piace molto il concetto di diletto nel rispetto, e di gratitudine per il passato.
Parlare fa bene, qualche nuvola è passata e il sole è tornato. Milva sorride tagliando un’altra fetta di focaccia e mormora:
“Vuoi sapere l’appendice alla storia?”.
“Certo”.
Appendice alla storia della croce di Passo Regade
Uno degli operai della prima spedizione era sposato da otto o nove anni, e non aveva ancora avuto un figlio. Allora è salito di nuovo alla croce, da solo, e ha cominciato a pregare chiedendo: “Signore, fa che abbia un figlio”. Da quel momento, per tre anni, ha avuto un figlio dietro l’altro! Tre consecutivamente.
Allora l’operaio cos’ha fatto? È salito di nuovo sulla croce, e stavolta pregando ha chiesto: “Signore, per piacere, adesso basta!”.
Litiana dice
Bellissima e commovente storia!…..credo che le nostre montagne, abbiano vissuto migliaia di storie così toccanti e significative……reali e vere….come lo è la natura meravigliosa che ci circonda…!!!! Bravo Alessandro….dobbiamo amare e rispettare la natura che ci circonda, insieme agli animali noi viviamo in questa terra e dobbiamo amare e rispettare tutti !!!!!…… Io sono stata a vedere il disastro che è successo a quei poveri alberi, in una notte di pazzia del clima,…e mi sono sentita così male che mi sono scese le lacrime….. È giusto fare qualcosa per loro…. Non avrei tagliato il più bel pino del Cansiglio per metterlo in una piazza con quattro palline colorate…..mi sono stupita molto che non ci sia stata una sensibilità in tutto ciò…..considerando quello che era successo un mese prima!
Mario dice
Non trovo le parole per dire con quale velocità e coinvolgimento ho letto questo bellissimo articolo. Grazie