di Lucio Sponza
Comincia il periodo delle strenne: è San Nicolò. Per l’occasione, Lucio Sponza ci offre un suo saggio che esamina la rappresentazione dell’Arsenale e degli arsenalotti, e la discussione sulla loro “sorte”, attraverso le pagine del Gazzettino, dal 1945 a oggi. Vista la lunghezza del saggio, come di consueto ne proponiamo qui di seguito una parte (quella conclusiva); per scaricare il testo integrale, cliccare qui.
Quanto al rapporto fra l’Arsenale e Castello, gli abitanti di questo sestiere non sembravano più essere preoccupati per la lenta agonia di quella che era un tempo la loro principale fonte di lavoro e di identità professionale. Chiedevano invece il lancio turistico del sestiere, e a tale scopo fu istituito un comitato che si limitò ad avanzare queste richieste:
1) l’utilizzo dell’imbarcadero ACTV della Biennale come punto di imbarco e sbarco di tutto il traffico da Punta Sabbioni al Cavallino; 2) lo sgombero della Riva degli Schiavoni dai rimorchiatori e da buona parte dei mezzi ACTV; 3) la rivalutazione della stazione marittima di riva dei Sette Martiri, con afflusso di navi passeggeri; 4) la valorizzazione del Museo Navale (spesso chiuso per carenza di personale), della chiesa di S. Giorgio degli Schiavoni, della basilica di S. Pietro di Castello e in genere delle bellezze turistiche del sestiere; 5) la creazione al pontile dell’Arsenale di un vero e proprio terminal per la linea del Tronchetto e per altre linee turistiche. (“Il Gazzettino”, 1 giugno 1979)
Intanto, nell’indifferenza generale, continuavano a diminuire gli arsenalotti, che però non erano del tutto rassegnati. Nella primavera del 1982 fu convocata una assemblea allargata “ai lavoratori degli enti periferici della Marina Militare”, con l’avallo delle tre confederazioni sindacali, CGIL, CISL e UIL, alla fine della quale fu approvata una mozione nella quale si denunciava la scelta negativa di deformare l’attuale forza organica, non nel rispetto della professionalità, avviando così una mobilità interna selvaggia per coprire i vuoti organizzativi, chiara scelta di una mancanza di un disegno programmato, continuando nella politica strisciante di un ridimensionamento e una ristrutturazione che va contro lo spirito delle tradizioni veneziane.
Il cronista faceva poi il punto della situazione. Fra operai e impiegati i dipendenti della Marina all’Arsenale si erano ridotti a una settantina, e aggiungeva (riprendendo probabilmente altre considerazioni contenute nella mozione):
questo calo – aggravato anche dal pensionamento del personale anziano specializzato – è stato legato al trasferimento ad altre località (Brindisi, La Spezia, Taranto) di molti lavoratori; oggi all’Arsenale si fa praticamente soltanto manutenzione, mentre ci sarebbe la possibilità – affermano i lavoratori – di maggiore e migliore produttività, anche in collegamento con altri enti militari.
Alla fine l’assemblea auspicava che una sua delegazione incontrasse le autorità militari a Venezia e anche a Roma per ottenere che fosse istituita “una commissione di studio che prenda effettivamente atto della situazione esistente” (“Il Gazzettino”, 2 aprile 1982; articolo siglato L.P. – Leopoldo Pietragnoli).
Non c’è notizia di alcun seguito alla mozione, ma si può capire che il vento soffiava in senso contrario. Tre settimane dopo quell’assemblea, infatti, un articolo del giornale informava i veneziani che la Marina militare era intenzionata a ridurre ulteriormente le proprie attività all’Arsenale, e a concedere l’uso di parte dell’area demaniale alla cittadinanza. Il cronista annotava in conclusione – apparentemente senza ironia – che almeno la Marina militare aveva avuto il merito “di mantenere il complesso monumentale in buono stato” (“Il Gazzettino”, 22 aprile 1982; articolo di Maurizio Crovato).
In realtà già da due anni era stato aperto un primo varco nella impenetrabilità dell’Arsenale, quando in via sperimentale era stato consentito al pubblico di entrare nelle Corderie (“dopo quattro secoli”, commentava Leopoldo Pietragnoli sul Gazzettino del 26 luglio 1980) dove era stata allestita la prima mostra internazionale di Architettura della Biennale. Ma rimanevano forti dubbi sulla durabilità di quella iniziativa:
E non occorrerà ricordare quanto travagliata e di difficilissima soluzione sia l’ipotesi di un riutilizzo cittadino dell’enorme complesso, la cui attività propria è ormai limitata. Così, la vernice e la cerimonia di inaugurazione della mostra della Biennale hanno costituito […] la presa di coscienza da parte di molti della “inutile” esistenza di queste Corderie, sulle quali, a mostra conclusa, caleranno ancora il vincolo e il segreto militare. (“Il Gazzettino”, 28 luglio 1980)
Quello che il cronista non poteva prevedere era che da lì a poco, nel settembre dello stesso 1980, venisse nominato comandante della Marina a Venezia l’ammiraglio Renato Fadda, molto più disponibile dei suoi predecessori a estendere l’uso di parti dell’Arsenale al pubblico – e non solo a quello italiano. Poco dopo l’assemblea degli arsenalotti appena ricordata, arrivarono infatti all’Arsenale degli studenti americani di architettura della Virginia University, accompagnati da loro insegnanti; erano stati invitati dall’ammiraglio a elaborare delle idee sulla conversione dell’Arsenale in struttura civile. Ma l’ammiraglio si muoveva anche sul fronte interno.
È la prima volta che un responsabile dell’Arsenale di Venezia concede un’intervista sulle destinazioni d’uso future dello storico e immenso manufatto – scriveva Maurizio Crovato nella seconda parte di un’inchiesta sull’Arsenale – […] [L]’ammiraglio si è preso a cuore le sorti dell’Arsenale, mentre, diranno i maligni, poteva starsene calmo e quieto nella poltrona arsenalizia. “Con l’Arsenale sono partito da zero – ci dice – approfondendo un po’ la storia e le tematiche attuali. Mi sono chiesto come una chiesa del lavoro simile potesse essere inserita in maniera razionale nella città, senza traumi e senza aspettare lunghi tempi politici, evitando bagnomaria di chiacchiere (…) [S]ono arrivato alla conclusione che la partita si giochi ripopolando Castello (la parte della città più avvilita dalla crisi dell’Arsenale negli anni Sessanta), riconducendo l’artigianato e la piccola cantieristica, risolvendo i problemi di viabilità di Castello Est e di Olivolo. […] L’Arsenale oggi è sovrabbondante rispetto alle esigenze della Marina, ma siamo anche consapevoli che un enorme monumento artistico non può essere spezzettato o svenduto a scampoli. Rappresenta un unicum urbanistico al pari di Piazza S. Marco”.
L’ammiraglio poi parlò della somma di 500 milioni messa a disposizione dal ministero dei Beni Culturali e Ambientali (ministro Vincenzo Scotti nel governo guidato da Giovanni Spadolini), da utilizzare – come primo passo – per il restauro delle Corderie; alla domanda quali fossero le successive iniziative, Fadda rispose:
“Forse [quelle] concernenti la viabilità e la costruzione, in collaborazione con il CONI, di piscine. Poi non c’è da scordare la voga alla veneta […] la quale risolverebbe in parte il problema degli spazi acquei e del rimessaggio imbarcazioni. C’è un’altra cosa che riqualificherebbe l’Arsenale dal punto di vista civile: la creazione di un museo aperto di archeologia industriale. Ma è meglio non precorrere i tempi”. (tutte le citazioni da “Il Gazzettino”, 14 maggio 1982)
L’anticipazione dell’ammiraglio riguardava il “piano Arsenale”, di cui si sarebbe incominciato a parlare qualche settimana dopo. Si trattava del progetto di una commissione composta dal ministro Scotti e da suoi collaboratori, dal sindaco (Mario Rigo), dallo stesso ammiraglio Fadda e da due assessori comunali (Domenico Crivellari e Cesare De Michelis). Il Gazzettino, almeno questa volta, non sparò ad alzo zero contro la giunta di sinistra, un po’ – forse – perché era difficile colpire un bersaglio frammentato, date le diverse opinioni che del futuro dell’Arsenale avevano le stesse parti politiche che la costituivano; e un po’ perché il progetto aveva spirito ecumenico, volendo soddisfare un po’ tutti.
Il “piano” – scrisse Maurizio Crovato – doveva essere il primo passo di un più vasto “progetto Venezia”, che prevedeva la spesa di 60 miliardi, e partiva dall’assunto di una riduzione della demanialità militare:
Al comando Marina resterà circa un terzo dell’intero complesso nella zona dell’Arsenale vecchio, mentre per usi civili saranno riattati i complessi delle Corderie, della Sala delle armi, delle Officine di artiglieria, delle Gaggiandre, dell’isola delle Vergini, dei capannoni a nord del rio delle Galeazze, dei capannoni cinquecenteschi a nord della Darsena grande, nonché tutta l’area di recente [in realtà: fine Ottocento] imbonimento (Bacini). Circa 20 ettari dei 32 diventeranno quindi civili. Con quale uso? La Commissione ha stabilito, oltre a quelle militari, tre gruppi di attività: 1. produttive, con particolare riferimento alla cantieristica; 2. culturali e di ricerca; 3. sociali e sportive. È esclusa quindi la residenza primaria – richiesta, quest’ultima, emersa dai pubblici dibattiti di questi giorni.
Quanto ai tempi di realizzazione del progetto, continuava l’articolo, entro quattro mesi doveva essere preparato il piano di intervento finale, con la specificazione delle destinazioni d’uso per i tre gruppi di attività. E l’articolo concludeva:
Due punti sono considerati imprescindibili: l’unità del “monumento” Arsenale e l’unità di progettazione del riuso. Le aree civili, che passeranno al patrimonio pubblico dello Stato, verranno concesse su indicazione degli organi urbanistici della Regione e del Comune. Sulla esclusione della residenzialità primaria, è stato sostenuto […] che mai nei secoli scorsi c’erano state abitazioni civili all’interno dell’Arsenale. Le migliaia di operai, gli “arsenalotti”, che ci lavoravano, abitavano nella zona di Castello, al di fuori delle mura arsenalizie. (“Il Gazzettino”, 16 luglio 1982)
La seconda metà del 1982 vide un’esplosione di articoli sull’Arsenale,1 ma degli arsenalotti non si parlava più, e d’altra parte erano stati ora ricordati solo come alibi per non escludere la trasformazione di una parte dell’Arsenale in area residenziale. Se ne erano andati a poco a poco quasi tutti (per raggiunti limiti di età, o per trasferimento, se non per licenziamento), nella totale noncuranza della città. Venezia, aveva ormai spostato il baricentro della propria vita sul turismo di massa, con poco o tanto entusiasmo.2 Il turismo stava così diventando un fenomeno di massa per quasi tutto l’anno. Chissà se per qualcuno di quegli allegri ospiti fastosamente mascherati la parola “arsenalotto” aveva un significato. Prima di lasciare il comando per essere candidato (con successo) dal Partito Liberale alle elezioni politiche del giugno 1983, il maresciallo Fadda volle dare una dimostrazione delle possibilità di uso civile dell’Arsenale promuovendo un concerto del cantante Claudio Baglioni nel settembre di quell’anno. Era parte del progetto “Caserme aperte” e fu un grande successo. Si scrisse di un’“invasione” di trentamila giovani all’Arsenale, arrivati per lo più in 500 imbarcazioni.3
Nel 1983 e 1984 si parlò poco del “piano Arsenale”, e quando lo si fece non fu in tono ottimistico, come quando l’esuberante consigliere Augusto Premoli, del Partito Liberale, metteva in guardia dagli “appetiti clientelari intorno all’Arsenale”.4 Di fronte a questa letargia, l’ex ambasciatore britannico in Italia e divenuto di fatto cittadino veneziano dalla fine degli anni ’60, Sir Ashley Clarke, prese l’iniziativa di promuovere un Comitato Internazionale per la Conservazione e Tutela dell’Arsenale.5
Verso la fine del 1984 le acque furono agitate dalla proposta di Gianni De Michelis di organizzare a Venezia una grande esposizione internazionale – l’Expò – che doveva avere come suo centro l’Arsenale. Ci fu un’altra ondata di articoli, favorevoli e contrari. Alla fine non si fece nulla. Come rimasero sulla carta i vaghi piani di concedere parti dell’Arsenale a Gianni Agnelli (aveva acquistato e rimesso a nuovo Palazzo Grassi) e all’Aga Khan.6 Il presidente della Biennale, architetto Paolo Portoghesi propose di trasferire la Mostra del Cinema dalla sua sede storica del Lido all’Arsenale (con sollevazione degli albergatori e ristoratori lidensi) e allargò poi il suo intervento per suggerire l’allestimento di tutte le attività della Biennale all’Arsenale.7 Fu considerata una provocazione ma qualcosa si mise in movimento, sia pure molto lentamente, e – a partire dalla Biennale del 1999 – furono aperti al pubblico, oltre alle Corderie, numerosi storici edifici nella zona orientale dell’Arsenale.
All’inizio del XXI secolo, nella zona nord si insediarono il centro tecnologico Thetis e la società Arsenale di Venezia S.p.A.. La presenza della Marina militare si riqualificò con il trasferimento da Livorno all’Arsenale di quello che era diventato l’Istituto di Studi Militari Marittimi. Nel maggio del 2012 gli occhi del mondo velico entrarono ammirati all’Arsenale in occasione della Coppa America, che vi fu ospitata. Nell’ottobre dello stesso anno fu lanciato l’appello “L’Arsenale alla città”, dopo che un progetto parlamentare che prevedeva di dare al Comune di Venezia la proprietà di gran parte del complesso fu sabotato da un emendamento governativo. Nei mesi successivi si mobilitarono il Comune (sindaco, l’avv. Giorgio Orsoni) e molti cittadini, riuscendo alla fine – nel febbraio del 2013 – a raggiungere l’obiettivo. Due articoli trionfali del Gazzettino (7 febbraio) si intitolavano: Il Comune torna padrone e Storico accordo ieri […] per il passaggio delle consegne: Ca’ Farsetti “conquista” l’Arzanà.8
Ma poco più di un anno dopo il sindaco Orsoni fu costretto alle dimissioni, essendo coinvolto nello scandalo del Mose. Le discussioni intorno ai destini e alle destinazioni dell’Arsenale non si fermarono: nel dicembre del 2014 il commissario straordinario Vittorio Zappalorto promosse il “Documento direttore” che però fu subito criticato dal Forum Arsenale, rappresentante le varie associazioni che avevano elaborato progetti per il futuro dell’Arzanà.
Questa frequente invocazione retorica all’Arzanà dantesco non tiene conto che esso non era stato tanto ammirato da Dante per la monumentalità della struttura, quanto per l’operosità, le competenze e le intelligenze delle sue maestranze: proti, marangoni, taglieri, alboranti, calafati, remeri, segadori, e tanti altri – gli arsenalotti, insomma.9 Sembra opportuno allora ricordare quei versi, che non dovrebbero provocare anacronistiche nostalgie, ma che non possono non suscitare un po’ di malinconia per il tramonto di quel mondo:10
Quale nell’arzanà de’ Viniziani / bolle l’inverno la tenace pece / a rimpalmare i legni lor non sani, / ché navicar non ponno; in quella vece / chi fa suo legno novo e chi ristoppa / le coste a quel che più viaggi fece; / chi ribatte da proda e chi da poppa; / altri fa remi e altri volge sarte; / chi terzeruolo e artimon rintoppa. (Inferno, XXI, 7-15).
Ma conviene concludere con una nota meno amara, che rivela l’orgoglio dei veneziani per quel lontano e mitico passato. Non c’è a Venezia – infatti – chi non abbia sentito da qualcuno che un suo parente è stato “l’ultimo degli arsenalotti”. Eppure, nel 2015 la Marina militare all’Arsenale occupa ancora una dozzina di dipendenti civili per vari servizi – se si possano chiamare “arsenalotti” è un’altra questione, non solo semantica.11 Se essi costituiscano il nucleo di un rilancio dell’Arsenale, con il Comune come suo “padrone”, per una forte presenza di capacità professionali consone al XXI secolo e organiche alla realtà cittadina, staremo a vedere.
- Nel mese precedente sul Gazzettino erano apparsi gli articoli: Arsenale: il “sogno” può diventare realtà (13 giugno); Incontro sulle proposte della Democrazia Cristiana. Restituire alla città i luoghi monumentali (23 giugno); Venezia: un progetto del Governo farà rivivere l’Arsenale e I dibattiti in città sull’uso dell’Arsenale. Castello al centro di una grossa sfida (15 luglio). Dopo l’articolo citato, del 16 luglio, si intensificarono gli interventi sull’Arsenale; cfr. ivi, Arsenale: sollecitato l’uso della parte nord per i cantieri navali (24 settembre); Un’intervista al Comandante di Marina Venezia: l’Arsenale al bivio tra cantieri e museo; Un ampio dibattito all’Ateneo Veneto. Arsenale come polo per l’intera città; Graduale e parziale riutilizzo. Cinque ministri fissano le linee di intervento per il “nuovo” Arsenale (16 ottobre); Preoccupate parole dell’Ammiraglio Gottardi: garantire all’Arsenale il “piccolo restauro” (17 ottobre); Primo giro d’orizzonte nel dibattito in consiglio comunale. La “sfida” dell’Arsenale (27 ottobre); Preoccupazioni di “Italia Nostra” per l’Arsenale (2 novembre); Una lettera dell’ammiraglio Monassi Capo di Stato Maggiore Marina: “L’Arsenale ai veneziani” (30 novembre); Una proposta emersa ieri nell’incontro con Fadda: “L’Arsenale per gli artigiani” e Il nuovo direttore di Architettura [Paolo] Ceccarelli promette: “Progetto 1 – Arsenale” (10 dicembre). [↩]
- Già nel febbraio del 1979 era ritornato il grande carnevale veneziano, che avrebbe avuto un successo insperato (e per alcuni osservatori eccessivo). [↩]
- “Il Gazzettino”, 14, 15 e 17 settembre 1982. Sedici anni dopo – nel 1998 – sarà l’attore Marco Paolini ad allestire uno spettacolo per un pubblico “galleggiante”: il suo monologo si soffermerà sull’ambiguo rapporto dei veneziani con i turisti, sulle acque alte, sull’inquinamento, sullo spopolamento della città e su altri suoi problemi. [↩]
- “Il Gazzettino”, 23 febbraio 1983. [↩]
- Arsenale: costituito un Comitato di tutela, “Il Gazzettino”, 19 dicembre 1983; cfr. anche Le riflessioni del Comitato internazionale per la tutela dell’Arsenale, ivi, 16 dicembre1984. [↩]
- “Il Gazzettino”, 20 giugno 1986 e 15 febbraio 1987. [↩]
- “Il Gazzettino”, 1, 2 e 4 settembre 1986. Vien da pensare, parafrasandola, alla celebre espressione “gattopardesca”: proporre di cambiare tutto per non cambiare nulla. La proposta di Portoghesi, peraltro, fu considerata positivamente dal suo collega architetto Mario Dalla Costa, in una “comunicazione” pubblicata con il titolo L’Arsenale di Venezia: osservazioni e proposte, “Ateneo Veneto”, vol. 25 (n.s.), nn. 1-2, 1987, pp. 181-194. Dalla Costa suggeriva che, accanto all’area che sarebbe rimasta alla Marina militare, ce ne dovesse essere una per “installazioni sportive e produttive ad esse correlate”, e una terza – sulla quale si concentrava il suo contributo – che doveva estendersi alla parte monumentale dell’Arsenale, destinata a “museo moderno, inserito in spazi che ne permettano la realizzazione con l’impiego di tecnologie avanzate che consentano l’utilizzo di strutture antiche” (p. 190). [↩]
- Più enfatica la titolazione della Nuova Venezia, il secondo quotidiano cittadino a partire dal 1984: Colpo grosso del Comune: È fatta, l’Arsenale è tornato ai veneziani (7 febbraio). [↩]
- Ciò che Marx avrebbe distinto fra “lavoro morto” (edifici, apparati, macchinari) e “lavoro vivente” (la manodopera). Solo che nel lungo percorso dell’Arsenale e degli arsenalotti, il “lavoro vivo” è morto e quello “morto” è sopravvissuto – nelle strutture architettoniche. Quanto ai vari ruoli e alle tante professionalità degli arsenalotti, cfr. Davis, Costruttori di navi a Venezia cit., Appendice 2, “Organizzazione della forza lavoro dell’Arsenale alla metà del Seicento”, pp. 313-317. [↩]
- Mi chiedo se sia una forzatura vedere la stessa celebrazione del lavoro umano nell’espressione popolare: “Chi vede Venexia e no vede l’Arsenal, vede el manego e no vede el bocal”. [↩]
- È un po’ come la storia dell’Ultimo dei Mohicani (romanzo di James Fenimore Cooper): si sa che quel gruppo etnico fu confinato in una riserva nel Wisconsin, dove pare vi esistano tuttora i discendenti. [↩]