di Giovanni (Franco) Colle
Pubblichiamo la trascrizione dell’intervista che, qualche anno fa, Maria Giovanna Lazzarin ha fatto a Giovanni (Franco) Colle a proposito di un progetto di inchiesta. La ricerca non è ancora mai cominciata; chissà, potrebbe essere questa l'occasione per farla partire.
Quest’intervista racconta quanto sia difficile cercare le tracce di persone che se ne sono andate dai loro paesi dintorno Belluno per andare a lavorare nelle fabbriche di Marghera e, come per l’armata di Cambise perduta nel deserto, indirettamente chiede se c’è qualcuno che, leggendo, possa aiutare nella ricerca. (M.G.L.)
Giovanni Colle. La mia idea è nata dal fatto che una volta, nel 1975-76, sono stato invitato ad andare a un’assemblea indetta dai sindacati a Marghera, perché volevano fare il punto della situazione dei tecnici sia nel pubblico che nell’industria privata. Quando sono arrivato là mi son trovato seduto a fianco a delle persone che ho scoperto essere di Belluno e dintorni, i quali lavoravano in queste fabbriche – adesso non ne ricordo neanche più i nomi – e che vedevano in pericolo, se non il posto di lavoro, il loro posto di tecnici che avevano un ruolo negli organigrammi delle imprese. A dir la verità mi meravigliai un po’ perché pensavo che le industrie di Marghera fossero inaffondabili e invece mi si disse che ormai cominciavano a tagliare sui costi, sui costi del personale e, come succede abbastanza spesso, sul costo del personale intermedio. Feci delle domande e mi dissero che erano venuti via da Belluno, dai paesi dintorno Belluno per trovarsi un lavoro e addirittura qualcuno mi disse che i genitori avevano perso il lavoro, se non ricordo male, al Mas alle Roe e in cambio gli avevano dato il posto a Marghera che avevano accettato pensando che a Marghera comunque avrebbero avuto posti di lavoro inaffondabili. Per cui mi venne in mente che quando ero ragazzo c’era un trenino che collegava Bribano con Agordo, c’era l’industria delle miniere ad Agordo e anche al Mas alle Roe, c’era un indotto o addirittura la succursale delle industrie di Marghera, saran stati Montedison, Sicedison, non so come chiamavano allora queste industrie che trattavano pirite e altri minerali e avranno assunto personale sul posto e quando hanno chiuso bottega, probabilmente perché non erano più convenienti, queste persone sono state spostate a Marghera e i loro figli avevano proseguito la carriera a Marghera.
A dir la verità rimasi un po’ turbato perché più o meno era quello che era successo a me che con un diploma non riuscivo a trovare lavoro a Belluno ed ero finito all’Enel, arrivando poi a Mestre, in una situazione chiaramente non paragonabile dal punto di vista della sicurezza nel lavoro a quella di questi poveri diavoli: sappiamo che poi nel giro degli anni è stato praticamente smantellato tutto o quasi.
Per cui queste persone, loro e i loro genitori, mi fecero venire in mente l’armata perduta di Cambise che inoltratasi nel deserto a un certo punto si era persa.
Ebbi poi l’occasione di conoscere direttamente delle persone e provai a fare delle domande, a intervistarli in qualche maniera per sapere le loro vicissitudini, ma da buoni bellunesi cominciarono a guardarmi un po’ con sospetto, quasi si chiedessero, ma cosa vuole questo? Vorrà soldi oppure, aggiornati i tempi, vorrà voti? Per cui ho pensato bene di lasciar perdere.
Maria Giovanna Lazzarin. Che domande avevi fatto, ad esempio?
GC. Come mai erano venuti là, da dove venivano, che tipo di vita facevano a Mestre, perché so che a Padova c’è una famiglia bellunese, non parliamo poi a Milano… Più si va distanti da Belluno, più si sente bisogno di trovarsi insieme; ma da quello che ho capito, a Mestre facevano un po’ la vita che facevo io, farsi gli affari propri.
Quando ero al comitato di quartiere di Altobello, sempre negli anni Settanta, ebbi l’occasione di conoscere una famiglia che viveva a Makallè e in particolare una signora e mi disse che venivano da Agordo o da Valle ed erano finiti a Mestre, avevano trovato casa a Makallè (insomma avevano dovuto in qualche maniera arrangiarsi e forse anche trangugiare qualche rospo) e il marito lavorava appunto a Marghera.
Però non ho avuto il coraggio di frequentarli, io all'Enel e loro a Makallè! Credo comunque che c’entrassero sempre con la Calcesassi, con la Montecatini e la Sicedison.
Poi una volta ebbi occasione di conoscere uno che faceva il falegname, il quale mi disse che in realtà lui non era un falegname, ma era un laureato in chimica, però aveva trovato più conveniente, più confacente alla sua personalità lasciar perdere Porto Marghera e fare il falegname. Allora gli chiesi da dove veniva e mi disse che veniva da Salce, un paese vicino a Belluno; provai a fargli qualche domanda, ma il tipo era particolarmente timido per cui anche in questo caso ho trovato la strada sbarrata.
A quel punto mi venne in mente che il papà di una mia amica lavorava al deposito della Shell di Belluno e quando chiusero il deposito anche lui era finito all’Irom di Marghera. Per la verità avrei potuto chiedere notizie a questa mia amica, ma ormai i rapporti tra io a Mestre e loro a Belluno erano un po’ allentati per cui anche là ho lasciato perdere.
MGL. Ma la tua amica era rimasta a Belluno?
GC. La famiglia era rimasta a Belluno e lui veniva a lavorare, penso, il lunedì mattina e tornava su il sabato pomeriggio; lavorava a Porto Marghera, anzi, da come mi raccontava, quando andava in osteria a Belluno, era anche molto orgoglioso di essere finito a Porto Marghera. Ci si consola di tutto, insomma.
A Mestre vedevo ogni tanto sulle epigrafi cognomi bellunesi: Bristot, D’Isep, Schien e altri cognomi, ma mi sembrava poco corretto andare a intervistare i superstiti, dopo averli conosciuti sulle epigrafi, mi ero quasi fatto l’idea che ormai l’armata di Cambise si stava definitivamente perdendo e probabilmente i figli ..
MGL. Cos’è che a te interesserebbe capire: come questi si sono trovati qua, se si sono stabiliti definitivamente?
GC. A me questo interessa relativamente poco. Quello che mi sembrava giusto era che non andasse persa un’esperienza personale di questi che per tenersi il lavoro hanno lasciato Belluno e sono venuti a Marghera; che almeno di questa armata perduta di Cambise restasse una traccia, anche se non è paragonabile a quanti sono andati in Australia, in Canada, in Belgio, o non so dove diavolo sono andati, però alla fin fine hanno lasciato una loro cultura, hanno lasciato un loro modo di fare. Mi sembrava un avvenimento da non lasciar perdere, da non lasciar sparire, ecco.
MGL. Pensi che sian venuti giù negli anni Sessanta?
GC. Forse anche prima, circa nel 1955 quando è sparito il trenino della val Cordevole, perché era il trenino che portava giù la pirite, poi serviva anche per le persone. Quando è stato giudicato poco produttivo tutto questo tranvai di materiale, probabilmente sono stati tolti i posti di lavoro e a quelle persone sarà stato offerto un posto di lavoro a Marghera. Penso io.
MGL. Bisognerebbe vedere la storia del trenino, cominciare a trovare questi nomi, trovare le persone.
GC. Non so se al Comune di Venezia c’è un’anagrafe che permette – fra leggi e privacy – di risalire a quelli che provenivano da Belluno e dintorni, Salce, Roe, Mas, Agordo e dintorni, Sedico, perché penso che le persone che lavoravano là non venissero poi da tanto distante. E poi magari andare a vedere se ci sono gli archivi di queste fabbriche che erano legate ai proventi della miniera della val Imperina. Si potrebbe fare una ricerca a livello statistico, ma in quegli anni i dati non erano informatizzati, per cui ci vorrebbe un’altra armata di ricercatori. E poi forse andare a vedere a Belluno all’associazione emigranti, agli studi storici, alle parrocchie. Però i parroci se non son morti saranno stati spostati, bisognerebbe chiedere a don Carlin, che era parroco di Gron, andare ad Agordo, ci sarà un archivio parrocchiale. Tra l’altro, se l’istituto elettrotecnico di Belluno è stato fatto per la Sade, sembra quasi che l’istituto minerario di Agordo sia stato fatto per la Montedison, Montecatini, Monteponi, non so come si chiamavano allora…
Mestre, 3 gennaio 2008