di Walter Cocco
Pubblichiamo alcune note e riflessioni del nostro amico e socio Walter Cocco. Impegnato in una ricerca sulla Pellizzari di Arzignano, di cui abbiamo già dato conto sul nostro sito, Cocco racconta alcune tappe delle ricerche preliminari, in cerca di archivi superstiti che possano restituire documentazione utile. Con una riflessione sull’importanza civile e politica di archivi accessibili al pubblico.
Apologia dell’archivio accessibile al pubblico
Giorgio Roverato, in un suo articolo apparso nel 2017 su un periodico online, lanciava un grido d’allarme alla Soprintendenza Archivistica di Venezia e al Sindaco di Valdagno a difesa dell’archivio storico della Marzotto, non più accessibile dopo il cambio della leadership aziendale e riguardo al quale aveva avuto notizia di alcune sottrazioni documentarie. Più in generale, richiamava l’attenzione sul problema della salvaguardia degli archivi aziendali quali fonti fondamentali per la storia contemporanea. Roverato, è poi tornato sull’argomento commentando (nel marzo 2018) un mio articolo apparso sul sito di storiAmestre nel luglio 2014 1.
La Marzotto è stata un’industria laniera di prima grandezza nel panorama italiano ed europeo e il suo carattere di impresa famigliare fino a tempi recenti aveva permesso la conservazione dell’archivio storico aziendale che poche, anzi pochissime, aziende industriali sono riuscite a preservare per diverse ragioni.
La prima causa di dispersione degli archivi è da attribuire alla discontinuità nella proprietà o il trasferimento fisico dell’azienda in altra sede. In questi casi avviene una naturale cesura con le amministrazioni precedenti che porta allo svecchiamento degli archivi, quanto meno per tutte quelle attività che sono ritenute concluse.
Una sensibilità verso la conservazione della documentazione ai fini archivistici è cosa molto recente anche per grandi istituzioni finanziarie, si pensi all’Archivio Storico di Intesa Sanpaolo, già di Banca Intesa e prima ancora della Banca Commerciale Italiana, che nel 1984 fu pioniera nel dotarsi di un criterio di conservazione dei propri fondi d’archivio. Banca Intesa e successivamente Intesa Sanpaolo hanno fatto proprio tale criterio anche per i fondi delle altre banche che sono entrate a far parte del gruppo.
Le aziende industriali, siano esse di piccola, media o grande dimensione, non sono mai o quasi mai dotate di un sistema di archiviazione documentale funzionale a un accesso pubblico degli archivi. In primo luogo perché l’idea che altri possano mettere il naso nei propri affari non piace alla maggioranza dei capitani d’industria, per timore che la concorrenza possa avvantaggiarsene o per evitare complicazioni burocratiche e fiscali. Gli archivi aziendali sono perciò funzionali all’attività dell’azienda e i documenti sono conservati finché hanno una ragione tecnica o economica o finché lo impongono obblighi di natura giuridica o fiscale. Così, spesso, la documentazione più vecchia viene distrutta indistintamente, senza alcun criterio di selezione. Soltanto l’avvicinarsi di qualche anniversario quali, per esempio, il venticinquesimo o il cinquantesimo anno di attività spinge gli imprenditori a fare i conti con la propria storia e a rendere pubblici alcuni documenti aziendali, magari finanziando la pubblicazione di testi celebrativi. Molto spesso a tale traguardo giunge però una documentazione limitata e insufficiente o emerge soltanto quella che può dar lustro al risultato raggiunto.
Quanto importante sarebbe invece per la storia industriale, la storia economica, la storia del lavoro se questi archivi si rendessero accessibili e si diffondesse una cultura della loro conservazione, favorita anche dalla dematerializzazione dei documenti permessa dalla digitalizzazione. Tali archivi, dopo un congruo lasso di tempo, potrebbero essere oggetto di studio e di consultazione. Ci riferiamo, ovviamente, al libero accesso a documenti che – come dicevamo poc’anzi – hanno esaurito la propria funzione tecnica o economica e non, per esempio, di progetti e relazioni relative alla produzione di brevetti industriali la cui riservatezza preserva dai rischi di spionaggio industriale e di concorrenza commerciale.
A proposito della reticenza ad aprire gli archivi storici a occhi estranei, Marc Bloch, nella sua Apologia della storia, diceva che paradossalmente “sono le rivoluzioni che forzano la casseforti e costringono i ministri a fuggire prima di avere avuto il tempo di bruciare i loro documenti segreti”2; a volte soltanto grazie a situazioni eccezionali sono venuti alla luce documenti che altrimenti sarebbero rimasti inaccessibili o sarebbero stati distrutti dai loro possessori. La riflessione di Bloch potrebbe essere un manifesto programmatico ancora attuale: “La nostra civiltà avrà fatto un gran passo avanti il giorno in cui la dissimulazione eretta a norma di comportamento e quasi a virtù borghese lascerà il posto al gusto per l’informazione: cioè a dire, necessariamente, per gli scambi di informazioni”3.
Forse qualche passo avanti nella direzione auspicata da Bloch è stato fatto dal 1942, quando lui scriveva queste parole, ma rimane ancora molta strada da fare perché si affermi una nuova mentalità. Tornando agli archivi aziendali è intuibile che non tutte le imprese – in particolare quelle piccole e medie – siano in grado di destinare risorse per un archivio storico aziendale, quando i dati statistici ci dicono che spesso viene investito ancora troppo poco in ricerca e sviluppo per l’attività produttiva. A questo però potrebbero supplire le associazioni di categoria, sia per la raccolta, la selezione e la conservazione dei documenti, sia per convincere i propri associati ad autorizzarne l’uso pubblico con limiti e criteri opportunamente definiti. Si pensi a quale importante contributo per lo studio della società contemporanea darebbe poter ricostruire la storia di una produzione industriale, di un’organizzazione produttiva e commerciale e delle relative relazioni con i lavoratori.
Il caso Pellizzari: cosa rimane dell’archivio aziendale
Nel caso delle Officine A. Pellizzari & Figli Spa di Arzignano la maggior parte della documentazione aziendale è andata perduta. Non poteva essere diversamente date le vicissitudini dell’impresa: fine della dinastia che l’aveva fondata con la morte di Antonio Pellizzari nel 1958, cambio di proprietà e passaggio sotto il controllo di un gruppo di Sesto San Giovanni nel 1961 fino alla crisi e all’occupazione della fabbrica nel periodo 1970-1971. Dalla primavera del 1971 la fabbrica entrò a far parte delle Partecipazioni Statali. Gli stabilimenti originari furono chiusi, alcune lavorazioni accentrate presso altre aziende dell’IRI e la produzione che rimase ad Arzignano fu trasferita nel nuovo stabilimento Simep, alle porte della cittadina. Non mancarono successive crisi e riorganizzazioni nell’ambito dell’IRI e anche dopo la successiva privatizzazione. Quindi le occasioni per disperdere gli archivi sono state così tante e le vicende così complesse che è un miracolo se qualche documento è stato preservato e conferito alla Biblioteca Comunale di Arzignano.
La maggior parte di quello che si è salvato lo si deve all’iniziativa di Vittoriano Nori, prolifico storico locale e dipendente della Pellizzari, che è stato il primo a scrivere sull’argomento. Il 22 giugno 1987 Nori recuperò dalla società Ercole Marelli Spa – società nella quale era confluito nel frattempo lo stabilimento arzignanese – il materiale d’archivio superstite della Pellizzari, della Eletar e della Simep4 per consegnarlo alla Biblioteca Civica5.
Il Fondo Pellizzari prese avvio da quei 36 fascicoli6 consegnati a Nori ed è costituito da documenti aziendali di varia natura e un buon numero di immagini fotografiche. Nel corso del tempo si è aggiunta altra documentazione proveniente da diverse fonti oltre a una cospicua letteratura sull’argomento composta da saggi, articoli, tesi di laurea ecc. presente nella sezione locale della biblioteca7.
La catalogazione del Fondo deve ancora essere completata, ma a una prima ricognizione, anche soltanto osservando lo spazio che esso occupa fisicamente nei locali della biblioteca, si intuisce che si è salvato molto poco se teniamo conto che – solo contando il periodo dalla fondazione al passaggio nelle mani dell’IRI – si tratta di settant’anni di attività.
Il Fondo Pellizzari rimane senza dubbio la fonte principale per qualsiasi ricerca sull’argomento, tuttavia non si può non condividere il giudizio espresso da Antonio Lora quando – nell’introduzione al recente volume edito dal Comitato Giacomo Pellizzari – afferma: “Le uniche strade che rimangono (ma quanto?) aperte sono le metodiche ricerche presso enti, banche, acquirenti storici e quant’altri gruppi industriali e singoli privati che risultano aver stretto, a suo tempo, epistolari contatti. Un cammino a ritroso: lungo e indaginoso, incerto e frammentario”8.
A voler seguire il suggerimento di Lora, quali possono essere gli archivi dove cercare? Le società commerciali, in particolare le società di capitali, producono nel corso della loro attività molti documenti a cui obbligatoriamente deve essere data pubblicità; sono cioè atti pubblici stilati e registrati nei repertori notarili, quali per esempio: assemblee straordinarie, atti di fusione, scorporo o liquidazione, contratti di finanziamento ipotecari e altre operazioni di carattere straordinario. Tuttavia l’accessibilità degli archivi notarili – almeno finché essi non passano all’Archivio di Stato competente – è complessa e onerosa, perciò non facilmente percorribile a meno che non si abbia la certezza sul contenuto di un determinato documento. Per quanto riguarda la ricerca presso archivi di altre aziende o istituzioni finanziarie, come abbiamo visto: fra le prime ben poche rendono disponibile il proprio archivio storico; fra le seconde, anche quando esiste un archivio storico accessibile, i documenti possono essere soggetti a vincoli temporali stabiliti per la libera consultazione. Una prima ricognizione presso l’Archivio Intesa Sanpaolo mi ha permesso di consultare una serie di documenti sulla Pellizzari, ma altri documenti “sensibili” concernenti il secondo dopoguerra non sono ancora disponibili perché il vincolo stabilito è di settant’anni9.
Rimangono infine gli archivi sindacali, almeno per quanto mi riguarda, visto che una parte rilevante della mia ricerca [https://storiamestre.it/2018/06/le-ragioni-e-le-emozioni-di-una-ricerca/] è la storia del lavoro e delle relazioni sindacali alla Pellizzari. In questo caso non c’è di norma alcuna reticenza nel mostrare gli archivi, per loro natura le azioni sindacali sono votate alla pubblicità: si tratti di un accordo raggiunto, di una denuncia sulle condizioni di lavoro o di una presa di posizione su un determinato evento, l’organizzazione sindacale cerca di dare la massima pubblicità alle sue azioni per poter raccogliere nuove adesioni fra i lavoratori. Questo non esclude che non vi siano accordi o protocolli che vengono mantenuti segreti o documentazione su lotte di potere intestine non edificanti che venga nascosta, ma in linea generale i documenti sindacali sono di natura pubblica. Il problema semmai è che spesso sono stati distrutti o perduti per le stesse cause o ragioni che abbiamo visto negli archivi aziendali: trasferimento di sede, cambio di dirigenza, perché considerati superati, inutili e perciò distrutti per necessità di fare spazio.
Soltanto negli ultimi decenni si è affermata una certa sensibilità a conservare gli archivi delle attività sindacali. Bisognerà però verificare se tale sensibilità ha portato ad adottare un criterio di conservazione, almeno per la documentazione più recente.
Fortunatamente per quanto riguarda la Pellizzari/Simep il sindacato aziendale della Cgil ha depositato tre fascicoli di documenti presso l’Archivio Luccini di Padova10. Non si tratta di un archivio completo, ma è una fonte molto importante visto che fino a metà degli anni Sessanta è stato il primo sindacato.
L’altra organizzazione sindacale che ha avuto un ruolo molto importante alla Pellizzari è stata la Cisl. Di recente sono entrato in contatto con Livio Bortoloso11 che ha curato il trasferimento dell’archivio storico della Cisl vicentina dalla vecchia sede di Stradella Piancoli alla nuova grande sede di via Carducci, ne ha ordinato i faldoni per argomento e redatto un elenco; un grande lavoro, come egli stesso descrive, che ha messo assieme 1310 scatoloni contenenti almeno 1500 fogli ciascuno12.
Purtroppo, come mi ha raccontato nel corso del nostro incontro, pochi mesi dopo aver trasferito l’archivio nella nuova sede, c’è stata l’alluvione che ha colpito Vicenza nel 2010 e molti faldoni sono stati danneggiati dall’acqua che ha invaso i locali. Si è fatto tutto il possibile per il loro recupero ma una parte è stata persa. A una prima ricognizione, sotto la guida e con l’aiuto di Livio, sono riuscito a recuperare qualche copia di accordo aziendale e qualche altro documento interessante, ma conto si possa trovare dell’altro materiale.
Per completare la ricerca sugli archivi sindacali, mi rimane ancora da verificare se esiste un archivio analogo presso la Uil vicentina, con cui sto cercando di entrare in contatto.
- Giorgio Roverato, già professore di Storia Economica della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova, ha scritto molto sulla Marzotto e sulla dinastia industriale valdagnese. Chi legge il sito di storiAmestre forse lo conosce, oltre che per il suo commento al mio precedente articolo, perché Maria Giovanna Lazzarin ha letto il libro sulla ditta Morassutti da lui curato. [↩]
- Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, trad. di Carlo Pischedda, con uno scritto di Lucien Febvre, a cura di Girolamo Arnaldi, Einaudi, Torino 1978, p. 77. [↩]
- Ivi, pagg. 77-78. [↩]
- L’Eletar fu la società veicolo controllata dall’Iri creata per gestire gli stabilimenti della Pellizzari all’indomani del fallimento del 1971; la Simep, anch’essa a controllo pubblico, venne costituita successivamente per la gestione del nuovo stabilimento che proseguì la produzione ex Pellizzari rimasta ad Arzignano. [↩]
- Biblioteca Civica Bedeschi, Arzignano, Fondo Pellizzari, fasc. Storia della Pellizzari e Lotte Sindacali – Schede da 99 a 108, doc. 102, Ricevuta su carta intestata Gruppo Industriale Ercole Marelli Spa, firmata da Vittoriano Nori, 22 giugno 1987. [↩]
- Ibidem. L’allegato alla ricevuta rilasciata da Nori riporta il numero di 37 fascicoli, ma Nori ne ha in consegna soltanto 36 più altro materiale, descritti nella stessa ricevuta da lui rilasciata per conto del Comune di Arzignano. [↩]
- In un recente colloquio il direttore della Biblioteca Civica Bedeschi di Arzignano, Paolo Povoleri, mi ha informato che nel novembre 2019 è riuscito a recuperare alcuni nastri di registrazione di verbali delle assemblee sociali e alcuni filmini girati ai funerali del fondatore Giacomo Pellizzari. Si tratta di materiale fortuitamente ritrovato negli archivi della Magneti Marelli (nuova denominazione della Ercole Marelli) e consegnato alla Biblioteca. [↩]
- Gli anni d’oro della cultura di Arzignano. La scuola di Antonio Pellizzari 1951-1955, a cura di Antonio Lora con Vittorio Bolcato, Roberto Negri, Comitato Pellizzari, Arzignano, 2019, p. 13 (“Introduzione”). Il volume riproduce integralmente in forma anastatica tutti i numeri presenti presso la Biblioteca Civica Bedeschi di Arzignano del notiziario mensile La Scuola di Arzignano. Il Comitato Giacomo Pellizzari di cui Lora, medico e storico locale è uno dei più attivi rappresentanti – insieme ai nipoti di Giacomo Pellizzari, Roberto Negri e Giacomo Minuti, e altre figure del mondo imprenditoriale e culturale di Arzignano – è da molti anni impegnato nel promuovere studi sulle Officine e sulla famiglia Pellizzari. [↩]
- Ringrazio Barbara Costa, responsabile dell’Archivio Storico di Intesa Sanpaolo, Guido Montanari e Rossella Laria dell’Archivio Intesa Sanpaolo di Milano e Matilde Capasso dell’Archivio Intesa Sanpaolo di Roma per la disponibilità e la collaborazione mostrata nel corso della ricognizione e confido ancora nel loro aiuto per il futuro. [↩]
- Due contengono preziosi documenti relativi al periodo che intendo esaminare. Ringrazio Mirko Romanato, direttore dell’Archivio Luccini per la sua grande disponibilità. [↩]
- Bortoloso ha lavorato per 19 anni al Lanificio Rossi di Schio come apprendista, operaio e impiegato. Da studente lavoratore ha conseguito la maturità e poi si è laureato in sociologia a Trento. In seguito ha lavorato alla Cisl vicentina per 35 anni. Ha pubblicato diversi saggi su questioni sindacali e storia del lavoro. [↩]
- Livio Bortoloso, Produttività con l’E.R.P. nelle P.M.I. vicentine. Lavoro, compartecipazione, conflitto, politica dal 1952, Itinera Progetti-Istrevi, Bassano del Grappa-Vicenza 2017, p. 17. Ringrazio Bortoloso per la grande disponibilità e l’attenzione dimostrata nel corso del nostro incontro; spero che mi possa accompagnare in altre e, spero fruttuose, incursioni nell’archivio Cisl. [↩]