di Piero Brunello
Proseguiamo la discussione sugli anniversari e le celebrazioni pubbliche. Partendo dalla data del 18 marzo (1848 e 1871), le note di Piero Brunello suggeriscono spunti di riflessione sul centocinquantesimo anniversario dell’Unità, e sui diversi significati attribuiti agli eventi risorgimentali, ovvero sui loro usi politici.
1. Che io sappia, il movimento operaio a Venezia non ha mai commemorato le giornate del marzo 1848, cioè la rivoluzione del Quarantotto e la Repubblica di Manin. Negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento le sezioni internazionaliste veneziane, rischiando il carcere, celebravano il 18 marzo in ricordo della Comune, come del resto fecero in quegli anni tutti i gruppi internazionalisti in Italia e in Europa. Ho ripreso in mano un saggio di Franco Della Peruta sul mito del Risorgimento dall’Unità alla prima guerra mondiale, e trovo conferma del fatto che le organizzazioni italiane della Prima Internazionale rifiutavano “di associarsi alle feste patriottiche democratiche […] considerate dannose sia alle pacifiche relazioni fra le nazioni sia all’emancipazione degli oppressi”. Il Risorgimento era ritenuto un movimento borghese. Unica eccezione: Carlo Pisacane, che aveva esaltato “le cospirazioni, le congiure, ma senza idoli, senza patroni, senza padri, [in cui] niuno pretenderà comandare, come niuno si piegherà ad ubbidire”, e per questo era sentito come precursore dell’anarchismo. Il rifiuto di celebrare il Risorgimento, continua Della Peruta, era condiviso anche dal movimento socialista di orientamento marxista: il Risorgimento era un fatto storicamente necessario ma esaurito. Se si fa caso, l’Inno dei lavoratori di Turati a un certo punto dice: “Quei signor per cui pugnammo / ci han promesso una dimane / e la diman si aspetta ancor”.
2. Ho cercato tra le mie schede d’archivio e vedo che nel 1884 Carlo Monticelli in un giornale veneziano scrive: “Commemorando, oggi 18 marzo, il XIII anniversario della Comune, noi socialisti rivoluzionarii non intendiamo di accendere una lampada ai morti, ma prepararci invece a grandi e nuove battaglie”. Carlo Monticelli veniva da una famiglia di tradizioni risorgimentali. Suo nonno era stato fucilato a Piove di Sacco per aver introdotto vettovaglie a Venezia durante l’assedio del 1848-49. Il padre di Carlo Monticelli, che leggeva la vita di Mazzini e venerava Garibaldi, raccontava di quando, unendosi a quelle spedizioni rischiose, strisciava sull’erba davanti a forte Brondolo, a Chioggia, per non farsi sorprendere dalle sentinelle croate: e, pensando a com’erano andate a finire le cose, concludeva con amarezza: “Povera Italia, poveri Italiani”.
Rimaniamo a Venezia, quattro anni dopo. Il 15 marzo 1888 una quindicina di operai del Circolo socialista Carlo Pisacane, riuniti nei locali della Società di mutuo soccorso fra lavoranti e fornai di Calle della Madonnetta a San Polo, decisero di affiggere la notte precedente la data della Comune un’epigrafe a stampa, in rosso e listata a nero, e affidarono a uno studente il compito di tenere un discorso in quegli stessi locali, il 18 marzo alle sei di sera.
La Questura, che ricevette il verbale da una spia presente all’incontro, rafforzò nella notte tra il 17 e il 18 marzo il servizio di vigilanza, sguinzagliando per la città più pattuglie del solito: agenti in borghese e in divisa. Una di queste pattuglie sorprese due figure che stavano per affiggere un manifesto vicino a San Fantin. I due gettarono in canale un pacco di stampati che tenevano sotto il mantello e scapparono. Uno dei due, inseguito dalla pattuglia, cadde in campo Manin e ruppe la pentola della colla che teneva sotto il mantello: i cocci furono raccolti come prova del reato. Più tardi, verso le due di notte, un’altra pattuglia fermò quattro uomini sequestrando loro pezzi di carbone e di gesso, cinquecento stampati, un pentolino con la colla, e un grande stendardo di stoffa rossa con bordi neri che secondo confidenze raccolte dalla Questura avrebbe dovuto essere issato al posto del tricolore in uno dei pennoni di piazza San Marco. Lo stampato diceva a lettere capitali:
18 MARZO 1888 / IN QUESTO GIORNO / MOLTI OPERAI SOCIALISTI VENEZIANI / RENDONO PUBBLICA ONORANZA / AI MARTIRI IGNOTI DELLA COMUNE PARIGINA / PERCHÈ LE PLEBI OPPRESSE / SE STESSE REDIMANO / NELLA LIBERTÀ DEL COMUNE.
C’era anche una falsa indicazione di stampa: “Lugano – Tipografia sociale”.
L’anno dopo, per precauzione, la Questura di Venezia aprì un fascicolo riservato dal titolo “Commemorazione dell’Anniversario della Comune di Parigi”.
3. In Italia contano le diverse tradizioni cittadine. A Mestre la data con cui celebrare il Quarantotto non cade in marzo ma in ottobre, a ricordo della Sortita del 27 ottobre 1848, quando i volontari che difendevano forte Marghera uscirono dal forte, cacciarono i soldati austriaci da Mestre e dopo una sanguinosa battaglia fecero ritorno al forte la sera stessa. La data del 27 ottobre 1848 fu celebrata a Mestre fin dai primi anni dell’Unità. Sergio Barizza, che ne ha ripercorso le commemorazioni, mostra che le iniziative furono sempre opera dei gruppi laici e radicali, e delle associazioni dei reduci, mai del movimento operaio. La celebrazione era una posta in gioco del conflitto “tra conservatori e monarchici da un lato e repubblicani, radicali e democratici dall’altro”. Le celebrazioni andarono prendendo sempre più un tono nazionalista, che culminò nelle cerimonie fasciste. Dal manifesto ufficiale della commemorazione della Sortita (1924): “Il sogno degli eroi di Marghera si è compiuto: lo spirito di Roma imperiale che nuovamente aleggia sull’Italia, guiderà la patria e la gloria dei più alti destini”.
4. Il movimento operaio in Italia nasce in ambienti maschili e garibaldini. Questo fatto portò a sottolineare le lotte di strada e la partecipazione popolare al Risorgimento, contrapposte alla monarchia e alle forze sociali clericali e retrive che avevano impedito ogni rinnovamento. A Milano nel 1898, cinquantenario delle Cinque giornate, si tennero due distinte commemorazioni, con cortei e inni contrapposti: da una parte il Comune clerico-moderato e dall’altra radicali, repubblicani, socialisti e anarchici (in quest’ultima manifestazione parlò l’anarchico Pietro Gori). A Bologna nel 1903 fu inaugurato un monumento ai caduti dell’8 agosto 1848, quando i soldati austriaci venuti in soccorso del governo papale erano stati respinti da gruppi di popolani. Gli anarchici parteciparono con una loro bandiera e con un manifesto che esaltava la rivolta del Quarantotto ma contestava il monumento: il monumento non avrebbe dovuto ispirare l’odio tra i popoli, come faceva quello che veniva inaugurato alla presenza delle autorità, ma esaltare la rivolta del popolo contro “mitrie e corone”. Pietro Gori, che tenne un comizio, paragonò i “malfattori di ieri” ai “malfattori di oggi”, ed ebbe “accenti di fuoco contro i profittatori degli eroismi plebei” (come ricordò anni dopo Armando Borghi che aveva partecipato al comizio).
5. Non mi risulta che manifestazioni analoghe – in nome di un Quarantotto popolare contrapposto a uno borghese – siano avvenute a Venezia. A Milano le Cinque giornate ricordavano la partecipazione popolare sulle barricate. Carlo Cattaneo l’aveva osservato subito: “le barricate e li operai vanno insieme oramai come il cavallo e il cavaliere”. A Bologna la battaglia dell’8 agosto 1848 richiamava l’immagine della “santa canaglia” esaltata da Giosuè Carducci in una poesia commemorativa scritta vent’anni dopo. A Venezia, viceversa, la rivoluzione del Quarantotto non riuscì, nemmeno nella memoria, ad affrancarsi dal controllo borghese che s’impose fin dall’inizio. Subito dopo la costituzione del governo provvisorio della Repubblica Veneta, Isacco Pesaro Maurogonato aveva scritto a Niccolò Tommaseo: “La rivoluzione francese del 1848 fu una rivoluzione sociale, la nostra fu una rivoluzione politica, quella fu fatta dagli artieri, e dal popolo, questa fu fatta dalla classe intelligente”.
6. Tralascio qui molte cose, la più importante delle quali riguarda il rapporto tra Stato e Chiesa, che in Italia condiziona e struttura l’azione politica e lo spazio pubblico. Sarebbe utile sviluppare e verificare la fondatezza di queste brevi considerazioni, che partono da materiali raccolti in anni in cui mai avrei immaginato che il Risorgimento, e meno che meno il Quarantotto, sarebbe tornato a occupare un posto così importante nel discorso pubblico. Converrebbe prendere in esame anche il periodo successivo al 1945, fino a includere le celebrazioni del 150°, tentandone così un bilancio.
Libri e documenti citati
Par. 1. F. Della Peruta, Il mito del Risorgimento e l’estrema sinistra dall’Unità al 1914, “Il Risorgimento”, XLVII (1995), Il mito del Risorgimento nell’Italia unita, atti del convegno (Milano, 9-12 novembre 1993), pp. 32-70; C. Pisacane, La rivoluzione, con un saggio introduttivo di F. Della Peruta, Einaudi, Torino 1970, p. 186.
Par. 2. Archivio di Stato di Venezia, Gabinetto di Prefettura 1888, “P.R. [Protocollo riservato]”, b. 290, fasc. “Circolo Socialista ‘Carlo Pisacane’ e ‘Circolo Studi Sociali’ dal 1884 al 1888”, che rinvia anche a un fasc. “Commemorazione dell’Anniversario della Comune di Parigi”, 1889, s. 3/1; la commemorazione di Carlo Monticelli in “Barababao. Zornal umoristico co caricature el vien fora tute le domeneghe”, 33 (marzo 1884); i ricordi del nonno e del padre di Monticelli in P. Brunello, Storie di anarchici e di spie. Polizia e politica nell’Italia liberale, Donzelli, Roma 2009, p. 58.
Par. 3. S. Barizza, Storia di Mestre, Il Poligrafo, Padova 1994, pp. 25-39.
Par. 4: per Milano, B. Tobia, Una patria per gli italiani. Spazi, itinerari, monumenti nell’Italia unita (1870-1900), Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 128, 152-159; per Bologna, A. Borghi, Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), con prefazione di Gaetano Salvemini, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1954, pp. 54-58 (vedi la ristampa Edizioni Anarchismo, Catania 1989).
Par. 5: C. Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra. Memorie, a cura di M. Meriggi, Feltrinelli, Milano 2011, p. 88 (la nota in cui riporta il suo famoso scritto Registro mortuario delle barricate in Milano); la poesia di G. Carducci è Nel vigesimo anniversario dell’VIII Agosto MDCCCXLVIII, in Giambi ed Epodi (1882); la lettera di I. Pesaro Maurogonato in P. Brunello, Voci per un dizionario del Quarantotto. Venezia e Mestre (marzo 1848 – agosto 1849), Comune di Venezia-Assessorato alla Pubblica Istruzione-Itinerari educativi, Venezia 1999, p. 296.
Giovanni Levi dice
Caro Piero,
nel 1887 circa José Villegas Cordero, pittore sivigliano con lunga residenza a Roma dove dirigeva la Academia de Espana, fa un quadro(ora alle Bellas Artes di Siviglia) intitolato “Fiesta por la paz social en Venecia” [ndr: lo si vede scorrendo la pagina http://leyendasdesevilla.blogspot.it/2011/08/el-museo-de-bellas-artes-de-sevilla-y.html%5D. Vedo le tue note sul 1848 e sulla Comune, la prima data non celebrata ma la seconda sì. Ora mi chiedo: questa Fiesta, piena di preti ecc., è connessa con una risposta a cosa? Ne sai qualcosa, dal Gabinetto della Prefettura? Forse una risposta alle celebrazioni della Comune che tu citi per il 1888 (la data del quadro potrebbe essere 1888 o 1889)? Capirai che mi interessa più questa “Fiesta por la paz social” che il pittore.
Un abbraccio
Giovanni