a cura di Filippo Benfante
Oggi, 24 gennaio 2017, facciamo un salto all’indietro al 1952. Un pretesto per parlare di Alain, Carlo Levi e un pettirosso che “ci può portare con le sue ali di pensiero chissà dove, alla guerra e alla pace”, alla differenza e al reciproco riconoscimento. Sullo sfondo la prima grande retata contro “Giustizia e Libertà” del marzo 1934, e i segnali dell’incipiente politica razziale del regime fascista: l’Ovra accusava Mario Levi di aver inveito contro “gli italiani”, la stampa lanciava l’idea del “complotto ebraico”.
per Giacomo C
S’incomincia con una coincidenza. Il 24 gennaio 1952 Carlo Levi chiudeva un articolo che qualche mese dopo sarebbe apparso in francese su un numero monografico della Nouvelle Revue Française intitolato Hommage à Alain, uscito con la data “settembre 1952”. L’omaggio al filosofo che è diventato una presenza abituale sul sito di storiAmestre a partire dal maggio 2013 arrivava a poco più di anno dalla sua morte, avvenuta nel giugno 1951.
Lo scritto di Levi, intitolato Le sublime quotidien, appariva in una sezione dedicata ad Alain vu de l’étranger; lo precedevano gli articoli di altri due intellettuali italiani, Enzo Paci e Sergio Solmi. Solmi era un amico di vecchia data di Levi; era stato lui, nell’estate 1951, a invitarlo a partecipare all’omaggio ad Alain. Levi aveva risposto positivamente, suggerendo anche di coinvolgere Franco Venturi e Aldo Garosci.
La consuetudine di Levi e, ancor più, di Solmi con gli scritti di Alain risaliva agli anni Venti. Come abbiamo segnalato in una nota al primo appuntamento con la rubrica “Il mondo di oggi visto da un editorialista di ieri”, curata da Giacomo Corazzol, alcuni propos erano stati presentati su una delle riviste di Piero Gobetti, nel 1925, mentre risaliva al 1927 un importante saggio di Sergio Solmi, che nel 1945 aveva avuto la sua seconda edizione.
Scriveva Levi nel 1952: “per molti giovani, e dei migliori, Alain è stato, anche in Italia, un maestro; e non soltanto per coloro, come Sergio Solmi, che se ne sono nutriti organicamente e ne hanno fatto oggetto continuo di studio e di meditazione e di scritti, ma per altri, per cui egli fu uno straordinario eccitante e suscitatore di pensiero. Vorrei citare ad esempio il gruppo torinese, con Augusto Monti e soprattutto Cesare Pavese (così fisicamente lontano, per sua sventura, dall’armonia felice di Alain) che ne trasse la spinta alle sue meditazioni sul mito”.
Levi riconosceva anche dei debiti, sia pure inconsapevoli: “certe sue idee avevano germogliato in me”. Alain doveva avere, per “vie segrete” influenzato sia la stesura di Paura della libertà, sia qualche passaggio dell’Orologio, in particolare “quella teoria dei «Luigini» e dei «Contadini», per la quale i nostri critici hanno cercato mille cervellotiche derivazioni, dimenticando la sola che potesse, almeno in parte, avere un peso: la meditazione di Alain sugli dei, l’infanzia, il mito, i mestieri, la condizione borghese dell’uomo e quella proletaria”. Il riferimento era soprattutto a Les Dieux, che Alain aveva pubblicato nel 1934.
Nel suo testo, Levi citava alcuni passi di Alain. Nelle ultime righe scriveva: “In tempi di tirannica viltà, è bene ci sia stata una voce che affermasse che «toute puissance est méprisable», e lo dicesse non astrattamente o intellettualmente ma con tutta la forza dell’uomo completo. Il coraggio di vivere è il senso stesso della prosa di Alain, di ogni sua frase, periodo e pensiero, come un respiro continuato. È lo stesso coraggio del sublime quotidiano di tutti gli uomini”. La citazione era ripresa dai Préliminaires à l’esthétique, del 1939.
Più sopra, nella prima parte dell’articolo, aveva invece ripreso più ampiamente un propos del 1923, letto probabilmente negli stessi Préliminaires…. Levi partiva dall’incipit di Alain: “Le rouge-gorge est le roi de l’automne: il en porte les couleurs; bronze poudré d’or sur les ailes, et cette tache de feu qui remonte…”. Era un esordio che gli ricordava “le mirabili poesie sugli uccelli di Umberto Saba”, e dove ci avrebbe condotto, si chiedeva: “questo re dell’autunno ci può portare con le sue ali di pensiero chissà dove, alla guerra e alla pace, all’identità e alla differenza, a Hegel e a Ercole, con la pelle del leone Nemeo, e tornerà al suo ramo, portando nel becco un gioco di parole, che è una profonda verità: «Reconnaissance, c’est le moment où l’homme qui pense découvre un autre homme qui pense»”.
“Ogni lettura di Alain è veramente, per chi legge una «reconnaissance», nel doppio senso del termine, che è conoscenza e rendimento di grazia”, questa la conclusione a cui giungeva Levi.
Nell’articolo, Levi ricordava anche una ragione personale per cui aveva a cuore Alain. Nell’aprile 1934 sul mensile del filosofo francese Libres propos (Journal d’Alain) uscì una protesta per il suo arresto, avvenuto nell’ambito della grande retata contro “Giustizia e Libertà” del marzo precedente, partita in seguito al fermo, alla frontiera di Ponte Tresa, di Mario Levi e Sion Segre Amar, che stavano trasportando pubblicazioni antifasciste e propaganda contro le elezioni “del plebiscito”, previste in Italia per il 25 marzo 19341. Stando a Levi, quella uscita sul giornale di Alain era “una nota anonima, ma che (fosse di sua mano o piuttosto di quella di qualche suo allievo o seguace) non fu senza utili effetti sui procedimenti della polizia politica nei miei riguardi, tanto era ancora, in quel tempo, il peso, sui nostri potenti, di una libera opinione. Di questo suo intervento non ho mai potuto ringraziarlo: sono felice di poterlo fare qui”.
Il testo in effetti era uscito firmato “Testis Italicus”, pseudonimo che non sono stato in grado di identificare. Tutto lascia pensare che fosse una persona molto vicina a Carlo Levi, o almeno agli ambienti dei giellisti in esilio. Peraltro quell’episodio di repressione fascista era discusso pubblicamente a Parigi. L’8 aprile c’era stato un comizio contro l’antisemitismo, presso la Sala Wagram, in cui i fatti di Torino venivano considerati come un segnale: la politica antisemita stava prendendo piede anche in Italia. Buona parte degli arrestati dell’11 marzo era di origine ebraica, e su questo la stampa italiana – in particolare “Il Tevere” – si era scatenata.
Un breve resoconto della manifestazione alla Sala Wagram si poteva leggere il 12 aprile su La Libertà, il settimanale pubblicato a Parigi dalla Concentrazione antifascista, una coalizione di forze antifasciste in esilio che si era costituita nel 1926 a Parigi e a cui Giustizia e Libertà aveva aderito nel 19312.
La Libertà aveva dato la notizia degli arresti di Torino il 5 aprile 1934, in seguito al tardivo comunicato ufficiale emesso dall’Ovra il 31 marzo. Il 26 aprile 1934, all’interno di uno degli articoli che continuavano a seguire questa vicenda, pubblicava anche un appello a favore di Carlo Levi indirizzato al segretario della Biennale di Venezia dai “più grandi artisti di Francia”. Di seguito c’era il testo di un telegramma indirizzato direttamente a Mussolini dai “più grandi biologi d’Inghilterra, di Olanda e di Francia” a favore di Giuseppe Levi, arrestato in quanto papà di Mario (sarebbe poi diventato il suocero di un altro detenuto del marzo 1934, Leone Ginzburg, che sposò Natalia Levi nel 1938).
Con il pretesto di richiamare il 24 gennaio 1952 sessantacinque anni dopo, e il marzo 1934 a oltre ottant’anni, oggi pubblichiamo: 1) la traduzione del propos di Alain Le rouge-gorge; 2) la traduzione dell’articolo di “Testis Italicus” uscito il 25 aprile 1934; 3) il testo dell’appello uscito ne La Libertà del 26 aprile 1934.
Nota. L’articolo per Alain è Carlo Levi, Le sublime quotidien, “La Nouvelle Revue Française”, Hommage à Alain, septembre 1952, pp. 264-267; la traduzione dall’italiano era firmata L.-P. [Louis-Paul] Guigues.
Le citazioni contenute in questa presentazione sono tratte dal testo originale italiano, reso disponibile di recente nelle Opere in prosa, promosse dalla Fondazione Carlo Levi allo scopo di pubblicare i manoscritti di Levi conservati presso l’archivio della Fondazione (depositato presso l’Archivio Centrale dello Stato): Carlo Levi, Alain, in Id., Prima e dopo le parole. Scritti e discorsi sulla letteratura, a cura di Gigliola De Donato e Rosalba Galvagno, Donzelli, Roma 2001, pp. 165-167. La nota al testo (p. 317) indica la collocazione archivistica, la consistenza del manoscritto e del dattiloscritto che ne era stato ricavato; tuttavia non precisa che si tratta proprio del testo inviato alla “Nouvelle Revue Française”.
Sugli arresti contro “Giustizia e Libertà” dell’11 marzo 1934 c’è molta letteratura a disposizione. Mi limito a rimandare a un contributo recente disponibile in linea: la trascrizione di un incontro organizzato dalla Comunità Ebraica di Torino, in collaborazione con l’Istoreco (istituto per la storia della Resistenza…) di Torino il 9 dicembre 2014, in occasione dell’ottantesimo anniversario, una conversazione tra Anna Foa, Bice Fubini, Carlo Ginzburg, Giovanni Levi e Manuel Segre Amar, coordinata da Giulio Disegni, preceduta da un’introduzione storica di Chiara Colombini.
1. Il pettirosso, di Alain
Il pettirosso è il re dell’autunno. Ne porta i colori: bronzo spolverato d’oro sulle ali, e questa macchia di fuoco che sale dal petto alle guance, e cerchia, per metà, l’occhio intelligente. Niente parla più forte all’occhio di un altro occhio, questa cosa che fa vedere ciò che essa veda; da cui tante supposizioni per uno sguardo, e spesso sbagliate. Ma il pettirosso fa vedere molti altri segni. Accorre al rumore del rastrello; segue il giardiniere e gli parla con il suo verso secco, che imita il rumore dei sassi o quello del ramo che si spezza. Eccolo appollaiato sul manico del badile, o sull’innaffiatoio. Se si degna di becchettare qualche briciola di pane, non lo fa con ingordigia. Non come un ladro, ma come un amico. Subito sazio, parte come un fulmine e, da qualche nero ceppo, modula la canzone dell’autunno, che è come un richiamo di tutti i canti, ma più gracile, scintillante e freddo, come il sole d’inverno. Canta per ricordo: è l’amico del poeta.
Sempre solo, tranne al tempo dei nidi. In ogni giardino si vede un pettirosso, uno soltanto. Monaco certosino d’autunno, dopo le gioie dell’estate, afferma la sua indole solitaria. Con il canto risponde a quello dei suoi simili, ma sempre di lontano, come i pensieri. Perciò è naturalmente metaforico, e simbolo dello spirito bendisposto. Non c’è benvenuto che valga il suo. Alto sulle zampe, le ali pendenti come le falde di un vestito, saluta come un ambasciatore. Spesso, con l’estremità dell’ala, saggia l’aria; tutto, nel suo aspetto, è vita e forza. Capita talvolta che, tutto accoccolato e freddoloso al sole della sera, mormori basso basso, solo per lui; lo si ode appena; si indovina al canto dal tremolio della gola, il che invita a questi dolci e fluidi pensieri che si dicono solo a se stessi. Solitudine e pace, è proprio lo spirito della stagione.
Ma perché solo? Si finisce per vedere tutto, se non si cambia di posto. A quest’epoca dell’anno, si possono incontrare due o tre pettirossi nello stesso luogo. Spesso uno giovane, fresco del suo ornamento rosso, si posa anche lui sull’innaffiatoio, o viene a becchettare vicino alla soglia, a salutare, a parlare, insomma a prendere possesso dei luoghi. Allora, dall’alto della quercia, parte una freccia insanguinata. Le piume volano. L’usurpatore è sotto attacco: al corpo, all’occhio. Il combattimento è furioso, convulso, breve. Il vinto è cacciato oltre i confini, e non fa più ritorno. Per caso osservo il vincitore. Le piume rizzate sulla testa, il petto gonfio, la macchia di fuoco scurita da ombre tempestose: irriconoscibile, brutto.
Non c’è bellezza senza forza, vale tanto per una donna, quanto per un poeta o per un uccello. La forza è bella quando è quieta. Ma che giunga il simile, il pretendente, l’alto pettirosso. Cosa? stessa doratura? stesso segno color di fuoco? stessi marchi regali ? il mio proprio essere usurpato ? cosa? un altro pensatore? un altro cantante? un altro legislatore? un altro saggio? un altro centro del mondo? un altro specchio del mondo? Immaginate un altro Ercole, con la clava, con la pelle del leone di Nemea. Il pelo volerà per aria e gli alberi saranno scossi sino alle radici. Ogni essere ama e cerca il suo simile, ecco il luogo comune che finisce forse per essere vero; ma il primo momento è difficile. Hegel, su questo misurato e forte, segna le tappe di un pensiero che si rivela a se stesso. Riconoscimento: è il momento in cui l’uomo che pensa scopre un altro uomo che pensa. Subito dopo il riconoscimento: lo scontro. Questo di primo acchito stupisce e provoca persino uno choc; vi si vuol vedere una metafisica della guerra, alla tedesca; ma bisogna analizzare; è solo il primo momento, quello in cui le differenze non sono ancora colte. Questo altro Ercole in cammino e in missione, è proprio me. Usurpatore. Eppure che dolce amicizia per via delle differenze, che non mancano mai. Ma questa collera del più grazioso tra gli uccelli illustra bene la nostra prima reazione. Per cui capisco questa mitologia, vecchia come il mondo, secondo la quale gli animali sarebbero l’immagine caricaturale delle nostre passioni. Pace e guerra insieme nel corpo di questo dolce uccello. Il pensiero manca in queste testoline, il pensiero che vede le differenze e che fa le differenze. Felici differenze, che porteranno la pace.
1 ottobre 1923
[Si traduce qui il testo che compare sotto il titolo Le rouge-gorge, in Alain, Propos, I, texte établi et présenté par Maurice Savin, Gallimard, Paris 1956, pp. 539-541; era apparso negli anni Trenta sotto il titolo L’artiste, in Alain, Préliminaires à l’esthétique, Gallimard, Paris 1932 e poi 1939, i libri a cui verosimilmente ebbe accesso Levi. Trad. di Filippo Benfante]
2. Testis Italicus, Il pittore in prigione
Un gran numero di intellettuali è stato arrestato a Torino, per antifascismo; non dei partigiani, ovvero delle persone limitate, nella loro vita o nel loro pensiero, in ragione di un qualsiasi partito preso, ma dei ricercatori disinteressati, dei veri chierici. Tra loro, delle donne, dei giovani, degli uomini maturi: Barbara Allason, romanziere, Giuliana Segre, studentessa, l’anatomista Giuseppe Levi e il giovane professore di letteratura russa Leone Ginzburg. Tra loro anche Carlo Levi, il più bel talento pittorico dell’Italia odierna, un vero artista.
Carlo Levi, pittore di cultura europea, in Italia non appartiene a nessun gruppo o scuola. Dall’avvento del fascismo, in effetti, l’arte ufficiale italiana è avvizzita in uno stretto classicismo, procedimento di comodo i cui rappresentanti principali (come Soffici) sono dei disillusi del futurismo. Anche quest’ultimo sopravvive, ma senza successo, praticato come uno sport da giovanotti borghesi, estranei all’arte e ignoranti che più di così non si può.
Carlo Levi ha trovato la sua via attraverso uno sforzo solitario. Era un medico, votato a una brillante carriera scientifica grazie a degli interessanti lavori sui sali biliari; ma questo spirito di ricercatore si sentiva pittore prima che medico, e, per dedicarsi alla pittura, abbandonò, nel 1924, a malincuore, i suoi studi scientifici. Cominciava laddove i pittori ufficiali finiscono: dall’amore della bellezza classica – assecondato da un disegno sapiente, uno scorcio impeccabile; ma in lui ciò non era espressione di un superficiale bisogno d’ordine; era invece l’eterno sogno degli adolescenti di ogni epoca teso a una bellezza, a una grazia compiuta, magica, perfetta. Da allora, ha proseguito il suo cammino; ma ha lavorato ostinatamente per disfarsi di questa sua originaria facilità; ha ampliato il suo orizzonte pittorico man mano che il suo pensiero si ampliava, attraverso una più intensa esperienza umana. Dopo il suo primo viaggio a Parigi, anche lui ha subito delle influenze: Modigliani, Picasso; ma sono influenze che non sono mai state di moda in Italia. E tuttavia continua ad abitare in Italia, in un ambiente pittorico che gli è ostile; tutti sanno bene che, se volesse, potrebbe dipingere seguendo la moda degli ambienti ufficiali; ma questi, proprio in ragione del suo rifiuto, l’hanno visto crescere senza sosta, finché si è imposto loro, senza nessuno di quei compromessi o raccomandazioni di cui – tutti dicono – non si può fare a meno. Purtroppo non è possibile ripercorrere qui l’evoluzione della sua pittura verso una sempre più grande libertà del motivo, una sempre più vasta ampiezza di interessi; non possiamo infatti produrre, a sostegno del nostro discorso, le sole prove valide: i suoi quadri. Va solo notato che dopo le sue mostre a Parigi e a Londra (la Tate Gallery ha dei quadri di Levi), nemmeno gli ambienti ufficiali hanno potuto continuare a ignorarlo, e avevano dovuto promettergli una sala alla prossima Quadriennale di Roma. Nessuna meraviglia pertanto che sia stato coinvolto in questi arresti fatti per rappresaglia, insieme a tutto quello che c’era ancora di vivo nella città di Torino.
[Testis Italicus, Le peintre en prison, “Libres propos (Journal d’Alain)”, VIIIe année (nouvelle série), n° 4, 25 avril 1934, pp. 215-216, trad. di Filippo Benfante]
3. I più grandi artisti di Francia per Carlo Levi
Per ottenere la liberazione di Carlo Levi, hanno inviato una lettera collettiva ad Antonio Maraini segretario della Biennale veneziana undici artisti parigini.
La lista, che diamo qui sotto, comprende tutti i più bei nomi dell’arte contemporanea: Denain, che nel dopo-guerra risolse per primo le formule di avvenire in una nuova classicità, e che vide il suo sforzo coronato dal gran premio dell’Esposizione internazionale di Pittsburg, vera olimpiade dell’arte contemporanea; Despiau, il più importante scultore del dopoguerra; Chagall, il pittore più acuto della sensibilità e della tragedia dell’Europa orientale; André Lhote, pittore dei tempi eroici dell’arte postimpressionistica, il più grande «maestro»; Paul Signac, lui pure uno degli iniziatori del movimento postimpressionistico, segretario della sezione francese alla Biennale veneziana; Ozenfant, il creatore dell’estetica «puristica» che ebbe nella rivista «L’Esprit Nouveau» un organo che fu leva potente di moto intellettuale; Zadkine, scultore, e Léger, pittore, fra i più conosciuti della nuova generazione; l’architetto André Lurçat, che ha realizzato il mirabile complesso di Villejuif3; ecc.
I firmatari della lettera domandano a Maraini di farsi interprete presso le autorità italiane della «viva emozione» da essi risentita, alla notizia dell’arresto, per cause politiche, di un pittore di cui apprezzano il talento, «tra i più belli della giovane pittura italiana».
Questa nuova manifestazione internazionale è una riprova del come, nei vari campi, la più viva coltura italiana sia stata colpita dagli arresti di rappresaglia di Torino.
Ecco il testo della lettera:
«Al sig. Antonio Maraini, segretario generale della Biennale di Venezia, segretario del Sindacato degli Artisti – Via Benedetto Castelli 6 – Torre di Sopra (Firenze).
I sottoscritti artisti residenti a Parigi, hanno appreso la notizia dell’arresto, per cause politiche, del pittore italiano Carlo Levi, di cui essi stimano il talento, fra i più belli della giovane pittura italiana.
Pur guardandosi dal prender partito in una questione politica, essi desiderano esprimere al loro confratello Maraini la loro emozione per questo fatto ed insieme l’augurio che Carlo Levi sia presto restituito alla sua arte.
Essi sperano che non vorrete farvi interprete del loro sentimento presso le autorità italiane e, ringraziandovi in anticipo, vi esprimono il sentimento della loro migliore considerazione.
J. ZAK
André LURÇAT
O. ZADKINE
OZENFANT
LEGER
Paul SIGNAC
André LHOTE
Marc CHAGALL
DERAIN
Othon FRIEZ
C. DESPIAU
[I più grandi artisti di Francia per Carlo Levi, paragrafo dell’articolo Dopo gli arresti di Torino. La liberazione del pittore Carlo Levi domandata dai più illustri professori dell’arte francese, “La Libertà. Giornale della Concentrazione antifascista”, Parigi, 3 maggio 1934, p. 3; l’appello riprodotto anche in francese a p. 4]
- Tra le altre cose, nel 1933 Carlo Levi aveva ritratto Mario Levi una o due volte; per un ritratto datato 23 aprile 1933, cfr. Carlo Levi a Matera. 199 dipinti e una scultura, catalogo della mostra (Matera, 2005), a cura di Paolo Venturoli, Meridiana-Donzelli, Roma 2005, Mario Levi con le bracci alzate, cat. 55 e scheda n. 53; in Carlo Levi si ferma a Firenze, a cura di Carlo Ludovico Ragghianti, Alinari, Firenze 1977, un altro ritratto, Mario Levi, p. 52, cat. 40, accompagnato da una nota di Carlo Levi, che ricordava di aver dipinto la tela a Parigi nel 1932 o ’33; stando a Natalia Ginzburg, Lessico famigliare (1963), suo fratello Mario aveva fatto un viaggio a Parigi, per trovare Carlo Rosselli, si direbbe proprio l’estate del 1933; rimando all’edizione tascabile con introduzione di Cesare Garboli, Einaudi, Torino 1999, pp. 89-90. [↩]
- La coalizione si sarebbe sciolta poche settimane dopo, il giornale cessò il 3 maggio 1934. [↩]
- Levi ne aveva scritto in un articolo del 1933: Scuole a Villejuif, “Casabella”, anno VI, n. 11, novembre 1933, ora parzialmente riprodotto in Carlo Levi e Elio Vittorini, Scritti di architettura, a cura di Gianni Biondillo, testo & immagine, Torino 1997, pp. 10-16; erano gli anni del primo periodo trascorso da Levi a Parigi, dove aveva ritrovato Carlo Rosselli, stabilitosi in place du Panthéon dopo la fuga dal confino di Lipari nel 1929. All’indomani della Liberazione, in un suo ricordo di Carlo Rosselli Levi rievocò anche la visita a Villejuif che avevano fatto insieme, guidati da André Lurçat: Carlo Levi, L’uomo e la sua vita, “L’Italia Libera”, Milano, 9 giugno 1945, ora in Id., La strana idea di battersi per la libertà. Dai giornali della Liberazione (1944-1946), a cura di Filippo Benfante, Edizioni Spartaco, Santa Maria Capua Vetere 2005, pp. 131-137. Durante quel periodo parigino, Levi fece anche un ritratto di Rosselli che si trova riprodotto in vari cataloghi, rimando a Carlo Levi, «Siamo liberati». 50 opere dalla Resistenza alla Repubblica, catalogo della mostra (Napoli 2005), a cura di Guido Sacerdoti, Fondazione Carlo Levi-Donzelli, Roma 2005, p. 57. [↩]