di Gigio Brunello
Riceviamo da Gigio Brunello due acquerelli, accompagnati da un breve commento, dalla manifestazione contro il Pat di Venezia del 21 gennaio 2012.
Ho seguito la manifestazione contro il Pat che si è svolta a Venezia il 21, portandomi a tracolla il seggiolino e i colori per fare degli acquerelli. Detto tra noi ero più attento a trovare un punto di vista buono per tirar giù due schizzi, e ricordandomi le manifestazioni degli anni Settanta a passo di corsa temevo di tornarmene a casa a bocca asciutta. Poi ho capito che nessuno aveva fretta e potevo tentare prima che facesse buio.
Ho provato a fissare sulla carta il passaggio del corteo sul ponte dei Frari: ai Frari Michele ha parlato per due minuti dopo di che è tornato a sedersi sul seggiolino perché gli girava la testa. Al corteo c’erano due seggiolini, il mio e il suo. Michele mi ha detto che ieri sarebbe stato l’ultimo giorno di digiuno.
Alla manifestazione saremo stati in tre quattrocento: la maggior parte giovani di centri sociali Morion e Ca’ Tron, ma molti in rappresentanza di comitati della terraferma. Corteo lentissimo con tante fermate come stazioni di via crucis, perché si doveva far parlare un po’ tutti. Fermi davanti ad Architettura, in Campo San Pantalone e ai Frari. Qui li ho persi di vista perché mi sono fermato a ritoccare l’acquarello, ma credo abbiano fatto tappa anche a San Giacomo. Poi li ho raggiunti in Pescheria seguendo i megafoni e la musica raggae amplificata.
Per un tratto ho camminato a fianco dei poliziotti che chiamavano dottoressa una tipetta (quelle commissario-capo della televisione). L’ho vista che stava fotografando una scritta “Acab” in una calletta stretta (dopo la pasticceria Tonolo). Uno dei poliziotti con lo scudo leggeva per lei il nome della calle e lei lo riportava sui tasti. Poi continuavano a guardare in su per scovarne altre. Stavo fumando il toscano ed ero un po’ assorto e di istinto mi son messo pure io a cercare scritte ma altre non ce n’erano. Sono sceso con lo sguardo su di lei che mi stava già osservando. Volevo avvertirla che anche secondo me oltre a quella non ce n’erano, ma la dottoressa mi ha invitato ad allontanarmi. Poi ho saputo che avevano beccato un ragazzino a scrivere “digos merda” dalle parti di Architettura.
In Pescheria una ragazza al megafono ha cantato Giudecca nostra abbandonata di D’Amico con un testo rifatto per l’occasione (Venezia nostra abbandonata). La Pescheria era in una nuvola di acqua e non vedevo l’ora di uscirne. Ho scoperto attraversando Venezia che quando si arriva in Pescheria scendi nel catino più umido della città. Cammini su lastroni bagnati, lucidi e scivolosi. Entri nel caìgo. Basta riportarsi nel flusso delle vetrine di Rialto e sei all’asciutto. Si fa per dire.
Enrico dice
bellissimi!