di Antonio (Toni) Scanferlato
Cronaca di quanto accaduto in piazza a Mogliano Veneto (Treviso) il 25 aprile 2010.
È previsto che la manifestazione, banda in testa, parta dalla piazza di Mogliano Veneto alle dodici, ma io arrivo in anticipo, per assistere all’apertura della cerimonia. In programma ci sono: alzabandiera, messa, inni, deposizione delle corone di alloro, e ammainabandiera alla fine della giornata. Leggendo i manifesti che annunciano la giornata – ce ne sono in più punti della piazza – mi rendo conto che le polemiche dei giorni scorsi sulla canzone più consona (se il Piave o Bella ciao) hanno trascurato il fatto che questo è comunque un cerimoniale da 4 novembre. Penso che sarebbe bello un concorso di idee su come vorremmo la festa del 25 aprile, e ripensando al comunicato che ho letto nel sito di storiAmestre, rifletto sul fatto che le polemiche sul passato sono così accese proprio perché implicano un’idea di futuro che vogliamo (o di cui abbiamo paura).
1. S’inizia alle undici, e a quell’ora mi avvicino al monumento ai caduti: un monumento come tanti, sormontato da un uomo a petto nudo con gladio scudo ed elmetto, e in fianco una vittoria alata con corona d’alloro in mano. Mi accorgo dell’inizio della cerimonia sentendo suonare l’inno di Mameli. Le autorità sono schierate con le spalle al municipio e guardano il monumento in una posa che ricorda l’attenti. Nel gruppo di tutti uomini, riconosco in mezzo il sindaco dalla fascia tricolore e dai riccioli con cui appare nelle fotografie. Non ricordo se a un lato oppure a semicerchio stanno i rappresentanti delle associazioni di reduci e dell’ANPI; in fianco, la banda. Squilli di tromba, ordini militari, l’inno del Piave e alla fine, dopo altre parole scandite nel silenzio, le autorità e i rappresentanti delle associazioni, preceduti dalla musica, formano un corteo che si avvia verso la chiesa. E immediatamente una piccola folla, disposta ai due lati del percorso, intona Bella ciao accompagnandola con il battito delle mani. Viene distribuito un foglio con le parole della canzone, ma molti rifiutano perché dicono di conoscerla già.
Alla fine della canzone il corteo si è ormai allontanato e la folla prima applaude e poi si spezzetta in tanti capannelli di persone che si salutano. Anch’io mi fermo con un’amica che vedo di rado. I capannelli si sciolgono e si riformano, si capisce che tutti abitano a Mogliano, perlopiù sopra i quarant’anni di età. Appuntamento a quando il corteo uscirà dalla chiesa.
Un gruppetto di ventenni arrivano in questo momento e s’informano. Capisco che c’erano anche alla contestazione a Gentilini in questa piazza nel novembre dello scorso anno. Si farà altrettanto tra un’ora, nessuno sa bene come – se si contesta o “si canta per noi”, se si aspetta in piazza o si seguirà il corteo ufficiale che ha in programma un piccolo percorso, e così via. Ma nessuno si cura nemmeno di saperlo o di avere la linea. C’è un’aria di festa, leggera, c’è il piacere d’incontrarsi. Mi fermo a chiacchierare con una ragazza che è lì con il cane a guinzaglio, come per una passeggiata. E poi c’è un bel sole e il brusio consueto dei mercatini. Nelle vie del centro infatti ci sono i banchetti, disposti lì fin dalla mattina presto, e la gente passeggia guardando gli oggetti e fermandosi a domandare il prezzo e a contrattare. Anch’io passo tra i banchetti della piazza e mi fermo da una coppia di ragazzi che conosco.
2. Ecco, la musica della banda annuncia l’uscita di chiesa. La folla, che ha aspettato vicino al monumento, si mette ai lati della strada e lascia passare il corteo: prima la musica a tempo di marcia, poi le autorità, e infine i rappresentanti d’arma con i gonfaloni. Le associazioni partigiane sono applaudite. Che si fa? Si aspetta che torni indietro il corteo? Un primo gruppo si accoda, e tutti dietro.
“Ma che cazzo ci fa la bandiera di Che Guevara?” sbotta in dialetto un uomo sul marciapiede, parlando con una donna. Dopo il corteo ufficiale si vedono infatti due tre bandiere del PD, altrettante di Rifondazione comunista, un paio di tricolori e una bandiera rossa, più alta di tutte, con l’icona del Che. Dietro, nessun’altra bandiera, né striscioni, né cartelli. Una signora distribuisce dei piccoli foglietti con la scritta “e le genti che passeranno / BELLA CIAO” con uno spillo pronto all’uso, e parecchi se lo appuntano sulla camicia: con il caldo che c’è, sono sparite giacche e maglie, si vedono camicie e magliette a mezza manica. Mi accodo anch’io.
Dalle prime file sento partire Bella ciao e in breve, risalendo verso le ultime file dove mi trovo, la canzone viene cantata da tutti. Uno spettatore sul marciapiede vedrebbe sfilare davanti a sé prima la banda con ritmi di marcia, dietro il piccolo corteo con le autorità e i rappresentanti delle associazioni d’arma in silenzio, e alla fine il grosso dei partecipanti, uomini e donne di ogni età, al canto di Bella ciao.
Dopo poche centinaia di metri si arriva alla strada statale Terraglio, e lì si prende a sinistra, in direzione di Mestre. Dai marciapiedi ci arrivano applausi, e parecchi si uniscono alla canzone e al battito delle mani. Prima del semaforo e del sottopasso, sulla destra, ci si ferma davanti a un monumento. La banda smette la sua musica; noi, che arriviamo subito dopo, continuiamo a cantare la canzone fino all’ultima strofa, mentre la banda e il cerimoniale sono costretti ad aspettare che noi finiamo. E adesso? Il direttore della banda sta per dare il via alla musica, quando vedo il marito della mia dottoressa avvicinarsi e bloccarlo per dirgli qualcosa. I due discutono animatamente. Al termine della manifestazione mi farò raccontare e capirò meglio. Ma già adesso è chiaro che contesta la musica che stanno per suonare. Alla fine il direttore della banda attacca il Piave. Il Piave il 25 aprile? Dai manifestanti partono fischi. Le autorità e le persone vicine, si capisce che vorrebbero silenzio. I manifestanti, così mi è sembrato, erano incerti: chi stava in silenzio esibendo disapprovazione, chi fischiava. Quando la banda finisce, il corteo si rimette in moto e cominciamo a cantare di nuovo Bella ciao, accompagnati da parecchia gente sul marciapiede. Si torna per il Terraglio verso il centro.
Alla fine della canzone arriviamo a una lapide posta in alto sulla destra, poco prima del semaforo. Anche lì, stessa scena: tutti fermi, rivedo lo stesso uomo di prima bloccare il direttore e avere con lui un altro diverbio, poi la banda attacca il Piave. Lascio i manifestanti e passo sotto i portici per cogliere le reazioni e non faccio in tempo ad arrivare davanti allo storica caffetteria di Mogliano che sento un uomo dire a voce alta sotto i portici, per farsi sentire: “Questi signori hanno fischiato il Piave!”. Forse le parole “questi signori”, forse il tono (mi è sembrato un falsetto stridulo, ma forse è stata una mia impressione), forse l’aspetto dei portici: fatto sta che mi sono sentito catapultare nell’atmosfera del primo dopoguerra che ho letto in qualche libro di storia, quando il Piave era interrotto da Bandiera rossa; ma subito dopo ho pensato agli anni Trenta, quando il Piave era un inno del regime fascista… E oggi, a distanza di tanto tempo, non dovremmo sentire il bisogno di ricordare la prima guerra mondiale con altri sentimenti, con altre canzoni?
Con questi pensieri lascio i portici e mi unisco di nuovo alla manifestazione. Questa volta mi metto nella prima fila: davanti a me la musica della banda e il corteo in silenzio, in fianco e dietro di me la gente che canta. Ai lati della strada avverto simpatia, e voci che si uniscono alla nostra.
3. In piazza il cerimoniale prevede il discorso del sindaco. E il sindaco prende la parola. Ricorda l’impegno del Comune per celebrare la Resistenza con una serie di manifestazioni nel corso di una settimana. La piazza ascolta in silenzio. Poi il sindaco, accennando alle polemiche, ribadisce che però l’inno di Mogliano è la canzone del Piave. Sono cominciati i fischi e le grida “vergogna”. Si è sentito più volte lo slogan “il 25 aprile / non è il 4 novembre”. Ho visto dall’altro lato della strada un uomo lasciare il suo banchetto al mercatino e avvicinarsi alla manifestazione gridando al sindaco qualcosa come “pagliaccio” e “buffone”. La piazza ha intonato Bella ciao. Poi mi sono accorto che anche dall’altro lato del monumento cantavano, e che non eravamo a tempo, un verso dalla nostra parte finiva mentre dall’altra parte era ancora all’inizio. Solo un po’ alla volta siamo entrati in sintonia. Nello spazio cerimoniale davanti al monumento dei caduti c’era silenzio, mentre tutto intorno si cantava. Ogni tanto il sindaco diceva: “Ecco un esempio della tolleranza, ecco un esempio della democrazia”. Molti avranno pensato come me: ma che democrazia è se cancella la Resistenza e la Costituzione, e non prevede il dissenso? Vedo dalla parte dei banchetti i due ragazzi che conosco cantare Bella ciao battendo le mani, e la ragazza muoversi come ballando. Alla fine loro due mi diranno che gli sembrava che Bella ciao fosse cantata da tutti. Si è avvicinato al microfono il presidente dell’Anpi di Mogliano per chiedere di lasciar parlare il sindaco. Ma la canzone è continuata normalmente fino alla fine, con la replica rituale dei versi “è questo il fiore del partigiano / morto per la libertà”. Allora ha ripreso a parlare il sindaco, e, avvicinandosi alla conclusione, ha invitato a comperare il bòccolo allo stand della Croce rossa, per celebrare in questo modo la festa di San Marco. E qui è stato nuovamente fischiato e ha dovuto sospendere brevemente il discorso. Poi ha ripreso, per chiudere subito dopo.
È il momento in cui tocca alla banda suonare Bella ciao. La piazza si unisce e canta. Ma dopo due tre strofe, la banda smette di suonare, e la piazza continua fino alla fine.
Giunto il momento della chiusura, la banda suona l’inno di Mameli. Mi chiedo cosa faranno i manifestanti. Dopo un attimo di incertezza, la piazza si mette a cantare “Fratelli d’Italia”. Non è il tono solenne di chi canta un inno (con la mano sul petto e sull’attenti), ma un tono allegro, di festa. Vicino a me un giovane si toglie dal collo il fazzoletto tricolore e lo stende davanti a sé tenendolo con le braccia stese, come la sciarpa in una curva dello stadio.
4. Tornando verso casa faccio un pezzo di strada a piedi insieme al marito della mia dottoressa. Mi dice di essersi avvicinato una prima volta al direttore della banda davanti al monumento sul Terraglio, per chiedergli perché non suonava Bella ciao, visto che era il 25 aprile e non il 4 novembre. Di qui un primo battibecco. Il direttore gli aveva risposto che avrebbero suonato Bella ciao non lì, ma alla terza tappa, come prescritto dal sindaco. Più tardi, sotto la lapide sul Terraglio, pensando che fosse quello il turno (avevano suonato il Piave già due volte), l’aveva fermato ritardando l’inizio della musica, con un altro diverbio. Mi dice che a lui costa fare queste cose, ma sente che è giusto disturbare una cosa inaccettabile che si vuol far passare come normale.
Prima di lasciarci, mi racconta un dialogo sentito a un banchetto del mercatino. Un uomo diceva all’altro: “Perché dovremmo cantare Bella ciao? sarebbe come se noi, nell’anniversario dell’uccisione di Mussolini, obbligassimo tutti a cantare una canzone per onorare la sua figura”. Era uno di quei banchetti nostalgici – aggiunge davanti alla mia incredulità –, che vendono medaglie e ritratti di Mussolini.
beatrice dice
Bravo…mi è piaciuto. Pensa che a S.Maria di Sala abbiamo fatto di tutto perchè l’amministrazione comunale non facesse una conferenza sulle foibe con il sig. Pirina il 24 aprile…Ci siamo beccati pure una denuncia per diffamazione per aver scritto in una interrogazione che trovavamo “sconveniente” fare una simie iniziativa, fuori tempo massimo…e affidarla a un frequentatore di ambienti “neofascisti”.l’amministrazione per il 25 aveva pensato solo ad una locandina riportante una frase di Calamandrei, da cui erano comunque stati tolti tutti i riferimenti ai partigiani! Oltre che divulgare la versione corretta, assieme all’Anpi le forze di opposizione in consiglio abbiamo “autogestito” la celebrazione del 25 aprilein piazza, domenica mattina. Impianto voce privato e corrente da una casa vicina, relatori dell’Anpi e di associazioni varie e un po’ di commozione… E’ stato un bel momento.
Come vedete,è veramente in atto una capillare opera di “rimozione” della storia, dei suoi simboli, e c’è una sorta si sovrapposizione non casuale di altri elementi simbolici a quelli legittimi per fare un gran minestrone…in cui tutti i gatti…sono neri.
Continuate a documentare. Grazie. Beatrice Damin, consigliere comunale di “Uniti per S.maria di Sala”.