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Il testamento di Marc Bloch ad ottant’anni dalla sua morte.

22/06/2024

di Walter Cocco

Il nostro socio Walter Cocco segnala che sta sorgendo una nuova rubrica del sito di storiAmestre, ne vede la necessità in questo tempo presente così preoccupante e per concretizzare la proposta ci invia un articolo in cui ripropone il testamento di Marc Bloch ad ottant’anni dalla sua morte.

Recentemente, mentre stavo scrivendo l’articolo sulla Rivoluzione dei Garofani portoghese1, ho riletto Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi. L’avevo letto al momento della sua pubblicazione e poi è rimasto nello scaffale della libreria. Il romanzo descrive efficacemente il cupo e soffocante clima del regime di Salazar ed è difficile non pensare al preoccupante parallelismo con il tempo presente in cui nuovi fascismi stanno montando in Italia e in Europa. Rileggendolo mi sono fermato sulla relazione quasi paterna fra Pereira e il giovane praticante Monteiro Rossi e sull’idea di Pereira di istituire una rubrica Ricorrenze nella pagina culturale del quotidiano Lisboa in cui scrive e affidarla al giovane collaboratore. Ma Monteiro Rossi scrive soltanto necrologi impubblicabili in quel 1938, quando il regime di Salazar è in piena auge e la polizia politica e la censura riduce al silenzio qualsiasi voce non allineata.

Questa storia mi ha suggerito che anche storiAmestre potrebbe dotarsi di una rubrica con questo nome: Ricorrenze, con la quale sfidare il crescente fascismo del presente e rivendicare la piena adesione della nostra associazione ai valori dell’antifascismo scritti a chiare lettere nella nostra costituzione. Questa rubrica, in realtà, anche se inconsapevolmente, è iniziata con gli articoli sul golpe cileno del 11 settembre, sulla rivoluzione dei garofani dello scorso 25 aprile e con il recente articolo di Alessandro Voltolina su Giacomo Matteotti.

Ora, per ricordare gli ottanta anni dall’assassinio di Marc Bloch, uno dei più grandi storici del Novecento e resistente antifascista ripropongo il suo testamento scritto a Clermond-Ferrand il 18 marzo 1941 e reso pubblico nel 1946.

Dovunque io muoia, in Francia o in terra straniera, e in qualsiasi momento ciò accada, lascio alla mia cara moglie o in sua mancanza ai miei figli la cura di provvedere ai miei funerali, come riterranno opportuno. Saranno funerali puramente civili: i miei cari sanno che non ne avrei voluti di diversi. Ma spero che quel giorno – nella camera ardente o al cimitero – un amico voglia dar lettura di queste poche parole:

Non ho chiesto che sulla mia tomba si recitassero le preghiere ebraiche la cui cadenza, purtuttavia, accompagnò all’ultimo riposo tanti dei miei antenati e il mio stesso padre. Per tutta la vita, come meglio ho potuto, ho teso a una totale sincerità d’espressione e di spirito. Ritengo la compiacenza alla menzogna, qualunque sia il pretesto che essa accampi, la peggior lebbra dell’animo. Come qualcuno tanto più grande di me, desidererei che la mia tomba, quale unico motto, portasse incise queste semplici parole: Dilexit veritatem. Per questo non potevo accettare che in quest’ora di supremi addii, quando ogni uomo ha il dovere di riassumere se stesso, si invocasse in mio nome l’ardore di una ortodossia di cui non riconosco il credo.

Ma ancora più odioso sarebbe per me se vi fosse chi, in questo atto di onestà, ravvisasse qualcosa di simile a un vile rinnegamento. Affermo dunque se è necessario di fronte alla morte di essere nato ebreo; che mai ho pensato di negarlo, ne mai ho avuto motivo di essere tentato a farlo. In un mondo assalito dalla più atroce barbarie, la generosa tradizione dei profeti ebrei, che il cristianesimo, in ciò che ebbe di più puro, riprese e diffuse, non resta forse una delle nostre migliori ragioni per vivere, credere, lottare?

Estraneo a ogni formalismo confessionale come a ogni presunta solidarietà razziale, per tutta la vita mi sono sentito anzitutto e semplicemente francese. Legato alla mia patria da una già lunga tradizione famigliare, nutrito della sua eredità spirituale e della sua storia, incapace, in verità, di concepirne un’altra in cui respirare a pieni polmoni, l’ho amata molto e servita con tutte le mie forze. Mai, il mio essere ebreo mi è parso di ostacolo a questi sentimenti. Nel corso di due guerre non mi è stato dato di morire per la Francia. Almeno, che io possa rendere a me stesso questa testimonianza: muoio, come ho vissuto, da buon francese2.

Marc Bloch è uno dei grandi storici del Novecento. Fondatore con Lucien Febvre degli Annales d’histoire économique et sociale, rivista attorno alla quale si forgerà una delle più importanti scuole di storici nel corso del ventesimo secolo. I suoi studi di medievista ci hanno lasciato opere fondamentali ancor oggi come Re e servi. Un capitolo di storia capetingia, I re taumaturghi, La società feudale, I caratteri originali della storia rurale francese, (solo per citarne alcuni) ma anche un’opera che per la mia formazione è stata fondamentale: Apologia della storia o il mestiere di storico3, uscita postuma a cura dell’amico e collega Lucien Febvre.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale Bloch si arruolò volontario, iniziò con il grado di sergente e alla fine del conflitto venne congedato col grado di capitano dei servizi d’informazione. Ebbe quattro citazioni all’ordine del giorno, fu decorato con la Legion d’onore per fatti militari ed ebbe la Croce di guerra. Un uomo del suo tempo, per certi versi mi ricorda Emilio Lussu.

Quando inizia il secondo conflitto mondiale, Bloch aveva cinquantatre anni, era padre di famiglia ed era un affermato professore universitario. Poteva essere esonerato ma egli si rimise volontariamente l’uniforme e assistette a quella strana disfatta dell’esercito francese, come lui stesso la definì4, e all’occupazione tedesca in Francia. La smobilitazione dell’esercito e l’occupazione nazista lo spinsero ad entrare nella Resistenza nel 1943, egli entrò in clandestinità a Lione nel movimento Franc-Tireur. Venne catturato e consegnato alla Gestapo l’8 marzo 1944. Arrestato e torturato rimase nel carcere di Montluc a Lione fino al 16 giugno 1944, quando venne assassinato dai nazisti assieme ad altri ventisei compagni nella località “Les Rousilles”, presso Saint Didier de Formans, a nord di Lione.

La nostra associazione ha dedicato alla memoria di Bloch il Quaderno di storiAmestre n. 3 dal titolo Bloch Notes. Domande e riflessioni nell’anniversario della morte di Marc Bloch (1944-2004) a cura di Elena Iorio e Filippo Benfante, pubblicato nell’autunno 2005. Il Quaderno raccoglie alcuni interventi tenuti nel corso di un incontro del 19 maggio 2004 presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Venezia dal titolo “L’importanza di essere storici. L’eredità di Marc Bloch nella storiografia contemporanea”. Come è stato scritto nella prefazione, l’incontro fu un’occasione per riflettere sul «mestiere di storico», sul valore civile della storiografia e più in generale della scrittura, su genealogie culturali, sul rapporto tra vita, professione, ruolo pubblico e militanza politica, sulla guerra, sul pacifismo, sul rapporto tra stato e individuo, su resistenza e disobbedienza, sulle scelte e sulle responsabilità individuali, sulla libertà, sulla morte.

Le riflessioni contenute nel volume sono ancora di grande attualità e ne raccomandiamo la lettura a chi non l’avesse ancora fatto richiedendo una copia del Quaderno alla nostra associazione.

NOTE

1. Cfr. A cinquant’anni dalla Rivoluzione dei garofani, pubblicato in questo sito il 3 maggio 2024.

2. La traduzione del testamento di Marc Bloch qui riproposta è tratta dal testo dell’intervento di Alessandro Casellato, A proposito del testamento di Marc Bloch, in Quaderno di storiAmestre 3, Bloch Notes. Domande e riflessioni nell’anniversario della morte di Marc Bloch (1944-2004), a cura di Elena Iorio e Filippo Benfante, 2005, pp. 25-32. L’importanza della traduzione proposta da Casellato è indicata nella nota dell’autore che qui riproponiamo integralmente: Il testamento, datato «Clermont-Ferrand, 18 marzo 1941», fu reso pubblico nel primo fascicolo delle Annales del dopoguerra, Hommages à Marc Bloch (“Annales d’histoire sociale”, 7, 1945 [ma febbraio 1946]); la prima traduzione italiana è del 1970, qui si riprende quella più recente, in M. Bloch, La strana disfatta. Testimonianza del 1940. Introduzione di S. Lanaro, Einaudi, Torino, 1995, pp. 163-164 (dove un grave refuso cambia il senso a una delle frasi decisive del testo: «Mai il mio essere ebreo mi è parso di ostacolo a questi sentimenti» diventa a pag. 164 «Ma il mio essere ebreo…»). Il testamento di Bloch si concludeva con la richiesta di leggere le sue cinque citazioni al valor militare, conseguite nella prima e nella seconda guerra mondiale.

3. M. Bloch, Apologia della storia o il mestiere di storico, Feltrinelli 2024.

4. M. Bloch, La strana disfatta. Testimonianza del 1940, Einaudi, Torino, 1995.

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Archiviato in:Quaderni, Walter Cocco Contrassegnato con: anniversari, antifascismo, storiografia

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