di Sandra Savogin
In occasione del 25 aprile riceviamo e pubblichiamo il testo che ci ha inviato la nostra socia Sandra Savogin sulla resistenza della divisione Acqui a Cefalonia.
Un estratto delle interviste che Sandra Savogin ha fatto agli ultimi reduci della divisione Acqui – alcuni scampati miracolosamente al massacro – e ai loro familiari, è visibile nel documentario "Cefalonia e Corfù. Testimoni della Acqui 1943-2017", pubblicato da Associazione Nazionale Divisione Acqui – Sezione di Padova e Venezia insieme a Iveser.
Il processo "Cefalonia"
L’eccidio dei militari italiani della Divisione Acqui risulta essere, per dimensioni, il più grave crimine di guerra compiuto dai tedeschi nei confronti degli italiani ma paradossalmente, anche perché compiuto dalla Wehrmarcht, il crimine rimasto maggiormente impunito.
Il tema è trattato con rigore nel bellissimo saggio Cefalonia. Il processo, la storia e i documenti di Isabella Insolvibile e Marco De Paoli. Il “processo Cefalonia” è stato celebrato solamente nel 2013, grazie alla determinazione del procuratore militare di Roma De Paolis e delle figlie di due ufficiali fucilati che si sono costituite parte civile, e si è concluso il 18 ottobre dello stesso anno con la condanna del caporale Alfred Störk all’ergastolo. Questa condanna stabilisce definitivamente le responsabilità, ma non modifica dal punto di vista simbolico la percezione, presente nelle vittime e nei loro famigliari, di una sostanziale impunità di cui hanno goduto i colpevoli per questa e per altre stragi compiute dalla Wehrmacht nel periodo successivo all’armistizio nelle isole greche. Può tuttavia restituire pienamente alla resistenza della Acqui a Cefalonia e Corfù il valore di primo atto della Resistenza Italiana, come tale consegnandolo alla memoria pubblica, superando sull’episodio i dubbi posti da una “memoria divisa”.
Nel suo saggio Isabella Insolvibile dimostra la legittimità e doverosità della scelta operata da Gandin di non cedere le armi e di resistere ai tedeschi, fatta in ottemperanza ad un ordine emanato dall’unico potere legittimato a farlo, quello del re e Badoglio. La reazione tedesca fu non solo illegittima, perché attuata in spregio di tutte le leggi di guerra, ma anche criminale perché spropositata e brutale per le sue proporzioni.
Di seguito, sulla base della ricostruzione fatta nel saggio di Insolvibile e De Paolis, vengono brevemente presentate le tappe della vicenda della Acqui.
Caduta di Mussolini e armistizio
Dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, dovuta al pessimo andamento della guerra, il nuovo governo presieduto dal Maresciallo Pietro Badoglio attese fino al 3 settembre per firmare l’armistizio, che fu annunciato alla radio la sera dell’8 settembre. La notizia era stata tenuta segreta alle gerarchie militari, tranne che all’Alto Comando Militare, e nessun piano fu preordinato e trasmesso ai comandanti delle unità della Marina, dell’Aeronautica e dell’Esercito. Nemmeno al momento dell’annuncio Badoglio o l’Alto Comando impartirono direttive precise ai generali dei Corpi d’Armata, a parte l’indicazione di cessare le ostilità contro le forze angloamericane, ma di reagire ad “eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”. L’esercito italiano in patria e nelle zone occupate si sfasciò e per una gran parte gli ufficiali accettarono di consegnare le armi ai tedeschi; tra questi vi fu anche il Generale Vecchiarelli, comandante della XI Armata in Grecia a cui appartenevano le truppe stanziate nelle isole ioniche.
La situazione a Cefalonia
A Cefalonia il Generale Gandin si trovò di fronte alla stessa alternativa posta dai comandi tedeschi alle forze armate italiane: passare con i tedeschi, arrendersi e cedere le armi, resistere ai tedeschi, senza alcuna certezza di appoggi esterni. Il giorno 9 settembre iniziò a trattare con il tenente colonnello Barge, comandante delle forze tedesche, in quel momento minoritarie rispetto al contingente italiano. L’11 settembre arrivò un vero e proprio ultimatum tedesco, con l’intimazione di cedere le armi comprese quelle individuali, mentre nuove truppe tedesche sbarcavano nell’isola. Alcune batterie italiane aprirono il fuoco contro mezzi da sbarco tedeschi manifestando la volontà di non arrendersi. In modo informale venne svolta, su iniziativa di Gandin, una consultazione tra le truppe sulle tre alternative: alleanza con i tedeschi, cessione delle armi, resistenza. Era infine giunto anche un radiomessaggio dal governo italiano in cui si ordinava di considerare le truppe tedesche come nemiche: di conseguenza il 14 settembre Gandin comunicò ai tedeschi che “per ordine del comando supremo italiano” la Divisione Acqui non cedeva le armi.
La resistenza italiana e le stragi
Gli uomini della divisione Acqui combatterono contro le truppe tedesche dal 15 al 22 settembre. Di fronte agli iniziali successi italiani i tedeschi risposero intensificando i bombardamenti con i caccia Stukas, che agivano indisturbati poiché i soldati della Acqui non disponevano di appoggio aereo. Nuove truppe sbarcarono e, informato dell’accanita resistenza della Acqui, il Fürher impartì l’ordine che a Cefalonia non venissero fatti prigionieri “a causa del loro comportamenti insolente”. Già dal 20 e 21 i tedeschi iniziarono ad uccidere a sangue freddo i soldati italiani che si erano arresi, senza rispettare le convenzioni internazionali sui prigionieri di guerra.
Gli italiani non venivano considerati nemici catturati ma traditori, perciò i loro corpi furono abbandonati per giorni all’aperto. Il 22 settembre, dopo che Argostoli fu occupata dai tedeschi, Gandin chiese ai tedeschi la resa senza condizioni che fu accettata. Il generale fu fucilato il 24 mattina e tutti gli altri ufficiali furono condotti al capo San Teodoro e fucilati. Secondo le fonti italiane gli ufficiali e i sottoufficiali passati per le armi furono 136.
E’ tutt’ora molto complessa e lungamente discussa la stima esatta dei caduti o dispersi a Cefalonia e Corfù, per la disparità delle cifre presenti nelle numerose fonti e nelle diverse pubblicazioni. La lapide posta sul monumento ai caduti di Cefalonia e Corfù, inaugurata nel 1978 riporta, secondo stime del Ministero della Difesa, il numero complessivo di 9.970 di caduti tra soldati e ufficiali. Le pubblicazioni recenti Cefalonia di Elena Aga Rossi e Né eroi, né martiri solamente soldati di Camillo Brezzi propongono che gli italiani della Divisione Acqui morti in battaglia o fucilati dai tedeschi dopo la cattura siano stati 3.800 circa.
L'odissea dei superstiti
I prigionieri, secondo stime dello storico Giorgio Rochat, furono in totale 7.686, dei quali 1286 circa rimasero nell’isola e 6.400 inviati nel continente. Per raggiungere la terraferma ed essere inviati ai campi di prigionia gli italiani furono imbarcati su alcune navi. Due di esse, la Ardenia e la Margherita, rispettivamente il 28 settembre e il 13 ottobre, colarono a picco perché finirono su banchi di mine. I prigionieri italiani morti furono 1.350, da annoverare nel computo dei caduti. A questi caduti vanno aggiunti i numerosi morti in prigionia.
Bibliografia
Isabella Insolvibile e Marco De Paolis, Cefalonia. Il processo, la storia e i documenti, Viella 2018
Elena Aga Rossi, Cefalonia-La resistenza, l'eccidio, il mito, Il mulino 2021.
Camillo Brezzi ( a cura di), Né eroi, né martiri, soltanto soldati. La Divisione «Acqui» a Cefalonia e Corfù settembre 1943. Il Mulino 2014.
Giorgio Rochat, La dimensione della tragedia non è il computo dei morti, in Camillo Brezzi ( a cura di) “Né eroi , né martiri, solamente soldati” , cit. p.154.
Patrizia Gabrielli ( a cura di) , Prima della tragedia. Militari a Cefalonia e Corfù, Feltrinelli 2020.
Per chi fosse interessato ad approfondire l'argomento la redazione segnala il convegno "Cefalonia e Corfù 1943-2023. 80 anni dalla scelta della divisione Acqui", che si terrà a Mestre il 21 e il 22 aprile, nei tempi e modi delle locandine allegate.