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“Bella come la libertà sognata”. Una lettera del 26 luglio 1943, con una nota

24/07/2021

di Adolfo Vacchi

Per ricordare l’anniversario del 25 luglio 1943, quest’anno ripubblichiamo la lettera che Adolfo Vacchi (1887-1944) scrisse a sua figlia Urania il pomeriggio seguente alle dimissioni di Mussolini. Sperava di farle avere “la lettera più bella che io abbia mai scritto”, che fosse in grado di restituire l’euforia e le speranze esplose a Milano in quelle ore. Vacchi fu tra quelli che non videro la Liberazione: fu ucciso dai fascisti il 5 settembre 1944. Con una nota che presenta alcune notizie biografiche tratte dal fascicolo al Casellario politico centrale: un socialista insegnante di matematica (precario?) sorvegliato dalla polizia.

[Milano] Ore 15 del 26 luglio 1943, Anno I, dell’Era Nuova

Mia cara figlia,

Oggi è giorno di libertà, di redenzione, di ebbrezza: qui a Milano sembriamo tutti ubriachi ed i più assennati sembrano pazzi… gli altri non ci sono più, tutti sfasciati, non più ritrattoni gorilleschi e grotteschi. Esultate, esultate!!

Oggi il popolo esplode dopo 249 mesi di oppressione e di compressione: per me è il giorno più bello della vita, così lungamente, tormentosamente ma fiduciosamente atteso! Esultate!

Vorrei scrivere la lettera più bella che io abbia mai scritto, bella come la libertà sognata e di cui spunta l’alba, (scriverò con più calma) ma sono stanco, sfinito, tu mi conosci e mi capisci! «Viva la libertà!».

Non posso dire altro, non posso scrivere né descrivere le 16 ore di tripudio personale e collettivo. Il fascismo è stato travolto, finito in un attimo, per sempre!

W la libertà

Tuo Adolfo

Tuo padre

credere obbedire combattere

capire sapere pensare

Nota. Tratto da Generazione ribelle. Diari e lettere dal 1943 al 1945, a cura di Mario Avagliano, introduzione di Alessandro Portelli, Einaudi, Torino 2006, p. 21. Pubblicata per la prima volta in Adolfo Vacchi. Un matematico per la libertà, a cura di Giusto Peretta, Istituto comasco per la Storia del Movimento di Liberazione, Como 1986, p. 10 (a p. 9 la riproduzione della lettera manoscritta); di questo libro esiste una seconda edizione ampliata (Nodo Libri-Istituto di storia contemporanea “Pier Amato Perretta”, Como 2015) che non ho potuto consultare.

Vacchi, nato a Bologna nel 1887, era un insegnante di matematica e fisica alle scuole superiori, autore di un Corso elementare di algebra uscito in cinque opuscoli pubblicati dall’editore Sonzogno (nella collana “Biblioteca del popolo”) tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta. Nella Prefazione alla prima uscita Vacchi specificava che si trattava della “pubblicazione quasi fedele” degli appunti delle sue lezioni, raccolti “da alcuni fra i miei alunni più volonterosi ed intelligenti”. “L’Algebra – proseguiva – è un linguaggio speciale, è una specie di stenografia del pensiero; io tento nel mio insegnamento e nelle mie pubblicazioni, di farne intendere il sillabario e la scrittura, la grammatica e la sintassi, perché lo studioso si avvii ad intenderne la retorica e la letteratura. Dedico queste modeste opere ai miei allievi, che mi insegnarono a insegnare”.

Ho potuto consultare il fascicolo a lui intestato nel Casellario Politico Centrale (Archivio Centrale dello Stato, CPC, b. 5278, fasc. 14521) grazie alla gentilezza di Giovanni Focardi, che si è preso la briga di fotografarne il contenuto.

Da queste carte risulta che Vacchi fu militante socialista sin da giovane. La polizia cominciò a controllarlo almeno dal 1914, per aver tenuto un comizio nel pieno della “settimana rossa”; ma una nota suggerisce che fosse tenuto d’occhio già da prima: segnala infatti che il 3 novembre 1911 fu accusato di apologia di reato, avendo pronunciato un discorso per Augusto Masetti, il giovane anarchico che, soldato in una caserma di Bologna, aveva sparato a un ufficiale per non partire per la guerra di Libia. Il “cenno biografico”, datato 25 giugno 1914, segnala che Vacchi era sposato con Augusta Fontana e aveva una figlia di 4 anni, di nome Algebra. Dalla descrizione della polizia appare un uomo minuto, basso e snello, che porta gli occhiali; di “buona fama”, “vivace ed impulsivo”, “intelligente”, è anche “colto”: ha fatto le scuole medie tecniche, quindi si è laureato in scienze matematiche. “È però lavoratore piuttosto fiacco”, sempre secondo la prosa moraleggiante dell’autore del rapporto: guadagna da vivere per sé e per la sua famiglia dando ripetizioni private, viene poi in soccorso il reddito prodotto dalla dote della moglie (in altre carte si legge anche di “sussidi” ricevuti dal padre); verso la famiglia “si comporta […] abbastanza bene”. 

Non è chiaro se nel 1911 ebbe un procedimento penale, in ogni modo il “cenno” si conclude precisando che non era mai stato proposto né per l’ammonizione né per il domicilio coatto. Il formale proscioglimento dall’accusa di “incitamento all’odio di classe” per il comizio tenuto nel giugno 1914 giunse nel 1915, in seguito all’amnistia concessa a fine 1914. 

Tra il 1915 e il 1916 si trasferì a Venezia, dove raggiunse il padre che era controllore dell’amministrazione delle Ferrovie. Cominciò a insegnare matematica presso l’istituto Livio Sanudo, dava anche ripetizioni private.

Le notizie seguenti risalgono all’estate del 1922: Vacchi si era segnalato per la sua attività sindacale e per questo la sorveglianza nei suoi confronti riprende a lasciare tracce nel fascicolo del CPC. Ormai dal 1921 non era più al Sanudo, viveva solo di lezioni private, guadagnando qualche altra cosa con il lavoro svolto per il sindacato. (Stando a quanto riferito in Adolfo Vacchi cit., nel settembre 1922 avrebbe subito un’aggressione squadrista.)

Nel 1923 lasciò Venezia; a un certo punto dovette ricevere una diffida che gli vietava la presenza in città, ma non ci sono notizie più precise. Tra maggio e giugno la polizia perse le sue tracce per alcuni giorni, finché non lo ritrovò a Milano. Riprese quindi la sorveglianza, che produsse unicamente una lunga serie di note a cadenza trimestrale che specificavano “non c’è nulla da segnalare”. Al massimo un cambio di indirizzo, o l’indicazione che conservava le sue idee, ma la condotta non destava alcuna preoccupazione. 

Fino all’anno scolastico 1940-41 insegnò per lo più all’istituto “Cavalli e Conti” in via Santa Valeria, talvolta indicata come scuola privata, mentre in un caso era Vacchi a essere indicato come “insegnante privato”. Ci sono ragioni per pensare che rimase fuori dai ruoli dell’impiego pubblico. Nel maggio 1941 finì sotto inchiesta, su iniziativa della Federazione dei Fasci di combattimento di Milano, accusato di tenere discorsi sovversivi e disfattisti ai suoi studenti. Ne furono interrogati alcuni, che riferirono considerazioni e battute irriverenti che il professore avrebbe fatto a proposito della conduzione della guerra, dell’autarchia, del governo, dei tedeschi… Vacchi negò ogni addebito, ma non riuscì a evitare l’ammonizione, inflittagli formalmente nel dicembre 1941. Le notizie del fascicolo si interrompono all’inizio del 1942 (l’ultimo rapporto è datato 14 febbraio di quell’anno), ma è difficile pensare che abbia potuto riprendere l’anno scolastico 1941-42. 

Qui subentrano le notizie che ricavo dal volume a lui dedicato citato all’inizio di questa nota.

Dopo l’8 settembre entrò nella Resistenza nel comasco, dove era sfollato. Si occupò di una stazione radio dell’Organizzazione Resistenza Italiana (ORI), creata a Napoli nell’ottobre 1943 da un gruppo di antifascisti in contatto con il Servizio segreto americano e poi sviluppata nel centro-nord, integrata nel Corpo volontari della libertà e in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.

La notte tra il 18 e il 19 agosto 1944 fu arrestato nella casa dove abitava a Veniano Inferiore da una squadra della Questura di Como. La notte tra il 5 e il 6 settembre fu ucciso con il pretesto di un “tentativo di fuga”. Il 21-22 maggio 1945 cinque funzionari della Questura identificati come responsabili dell’omicidio di Vacchi e di altri crimini furono processati dal tribunale militare straordinario di guerra di Como; quattro furono condannati a morte – la sentenza fu eseguita il 23 – e il quinto condannato a 21 anni di carcere. 

Rimando alla scheda compilata da Roberta Cairoli nell’ambito del progetto “Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia”, consultabile online.

Il volumetto Adolfo Vacchi cit., oltre ad alcune lettere di Vacchi e al testo di un discorso che pronunciò, nel 1944, alla radio clandestina a cui collaborava, in occasione del primo anniversario del 25 luglio, contiene una relazione sulle circostanze dell’arresto, sulla detenzione e sull’uccisione di Vacchi compilata da suo cognato Enrico Mariani (settembre 1944) e alcuni documenti relativi al processo ai funzionari della Questura di Como (maggio 1945). È la relazione di Mariani a dirci che Vacchi, al momento dell’arresto, abitava con la moglie Clelia Dario e la figlia Urania; non mi è possibile stabilire se si tratti delle stesse persone che la polizia registrò con altro nome nel “cenno biografico” del giugno 1914, o se le circostanze della vita (e della morte) portarono Vacchi a farsi due famiglie, a distanza di tempo. 

In rete si trovano facilmente schede biografiche a lui dedicate, non sempre del tutto coerenti tra loro. 

Il database dei laureati dell’Università di Bologna segnala che il 7 dicembre 1946 Adolfo Vacchi fu insignito di una laurea in matematica honoris causa alla memoria. Nel 1909/10 aveva frequantato il quarto anno; dagli annuari della Regia Università di Bologna, consultabili in rete (ringrazio per la segnalazione la dott.ssa Antonella Parmeggiani della Biblioteca Universitaria di Bologna – Sezione Archivio Storico), risulta tra gli studenti laureandi fuori corso fino al 1914/15. Come abbiamo visto, stando al “cenno biografico” della polizia una figlia gli nacque proprio tra il 1909 e il 1910, e poi c’era la militanza.

Non capita sempre la fortuna di avere un amico che frequenta l’archivio che ti serve e ti spedisce le riproduzioni a casa nel momento del bisogno. Mi auguro, prima o poi, di avere la possibilità di consultare il fascicolo dello studente Adolfo Vacchi, e altri documenti ancora per far quadrare le mie note su un compagno ammazzato dalla polizia repubblichina 77 anni fa. Intanto, spero che si trovi a suo agio e in buona compagnia, oggi, tra noi redattori, collaboratrici e collaboratori del sito di storiAmestre. (f.b.)

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Archiviato in:Adolfo Vacchi, Filippo Benfante, La città invisibile Contrassegnato con: 25 luglio, anniversari, antifascismo, Giovanni Focardi

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