di Maria Giovanna Lazzarin
Il 5 luglio la nostra amica e socia Giovanna Lazzarin ha intervistato quattro attivisti del movimento Extinction Rebellion che promuove azioni non violente per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema del cambiamento climatico e costringere i governi a farvi fronte. Incontro, in un luogo simbolico per Mestre, tra un gruppo che si autorappresenta (anche confrontandosi con altri movimenti) attraverso le voci di Giulia, Jacopo, Lorenzo e Michele, e una mamma, nel frattempo diventata nonna, che ripensa a suo figlio partito per le giornate di Genova di vent’anni fa (19-21 luglio 2001) con un entusiasmo analogo a quello di chi oggi milita in Extinction Rebellion. Le immagini che illustrano l’intervista sono di Extinction Rebel, che ringraziamo per la disponibilità.
Domenica 4 luglio, 10.30, messa alla parrocchia della Cita-Marghera: nella prima lettura Dio manda il profeta Ezechiele ai figli di Israele, razza di ribelli… ascoltino o non ascoltino; nella terza Gesù constata che nessuno è profeta in patria. All’omelia don Nandino, il parroco, fa intervenire quelli che secondo lui sono due “profeti del tempo presente”, Jacopo e Tommaso di Extinction Rebellion.
Non conosco questa sigla, sono incuriosita, capisco che insieme ad altri dello stesso movimento sono arrivati a Venezia in occasione del summit internazionale G20 che si terrà all’Arsenale il prossimo fine settimana e sono ospiti della parrocchia. Nel pomeriggio hanno organizzato laboratori sull’innalzamento dei mari per adulti e bambini al parco del Piraghetto, a Mestre, sotto lo slogan “gventuro”.
Quel parco è per me un luogo simbolico: nel 1974 la zona era ancora campagna, ma il Comune aveva deliberato di costruirvi alcuni edifici residenziali; contro questo progetto era sorto un movimento popolare che è riuscito a fermare i lavori. Ricordo di aver partecipato anch’io a una manifestazione. Poi nel 1975 è cambiato lo schieramento politico in Comune e la nuova giunta di Venezia, formata da PCI-PSI- PDUP-DP, ha bloccato il progetto, vincolato l’area a verde e costruito il parco.
Penso sia un posto adatto per pensare al cambiamento. Così alla fine della messa chiedo a Jacopo se posso intervistarlo. Ci accordiamo per l’indomani mattina.
Nel frattempo mi informo in internet su Extinction Rebellion. È un movimento non violento nato a maggio del 2018 nel Regno Unito con l’obiettivo di compiere azioni per sensibilizzare l’opinione pubblica e costringere i governi a dire la “verità sull’emergenza climatica” e ad affrontare i cambiamenti climatici, fermare la perdita di biodiversità e minimizzare il rischio di estinzione umana a causa del collasso ecologico e sociale. Leggendo mi torna in mente che avevano attirato la mia attenzione a fine ottobre del 2018, quando i telegiornali avevano riferito la loro azione a Londra: erano riusciti a bloccare il centro della città incatenandosi e stendendosi per terra. Ma pensavo a un movimento tutto inglese e l’avevo velocemente dimenticato. Invece dal loro sito si capisce che sono diffusi in molti Stati compresa l’Italia e compiono azioni locali e internazionali.
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Il 5 mattina incontro Jacopo davanti alla chiesa della Cita. Viene da Bolzano, ha studiato psicologia a Firenze, ora frequenta sociologia a Trento, si definisce un cittadino molto attivo, specializzato in “innovazione e progettazione sociale”.
Mi ero fatta l’idea che Bolzano fosse attenta all’ambiente, avevo letto di una legge rigorosa per impedire il consumo del suolo, ma Jacopo mi contraddice:
«Bolzano è una struttura urbana particolare, si potrebbe pensare privilegiata, più vicina alla Germania. Ma è una vallata chiusa con uno spazio molto limitato e c’è la lobby e la monocultura dei vigneti, la legislazione è una facciata, perché continuano tranquillamente a costruire».
Mentre attraversiamo l’orto per dirigerci al patronato gli chiedo come mai hanno scelto il parco del Piraghetto.
«È stato il gruppo mestrino che l’ha pensato, in collaborazione con un’associazione di genitori: Viva Piraghetto, che organizza le lotte della popolazione contro lo spaccio».
In patronato mi aspettano altri tre “ribelli”: Giulia, Michele, Lorenzo. Jacopo poco dopo ci saluta perché deve partecipare a un incontro a Mestre. Chiedo anche a loro dell’iniziativa al parco del Piraghetto e del suo significato.
Si dicono soddisfatti dei laboratori organizzati. È andata bene anche il flash mob “Con l’acqua alla gola” in piazza Ferretto con pinne, boccaglio e occhiali. La pioggia violenta sembrava fatta apposta per ricordare i danni da riscaldamento planetario.
Michele spiega perché per loro è importante organizzare assemblee e laboratori con la cittadinanza.
«È un lavoro di divulgazione, visto che i media e la politica non parlano o sminuiscono il problema del cambiamento climatico. Un altro valore è che ci sono stati dei tavoli di lavoro con esperti messi a disposizione della popolazione locale per parlare di queste tematiche. Quando mai lo facciamo? Parliamo di democrazia, ma poi, quando uno ha votato, i rappresentanti si chiudono nelle stanze e fanno quello che vogliono. Uno dei punti per cui diciamo che il sistema è tossico è che molto spesso decisioni impattanti vengono prese nelle stanze del potere e poi, quando ci sono dei problemi a livello ecologico, le élite politiche scaricano la responsabilità sui cittadini: devi impegnarti di più, con comportamenti individuali, consumi più attenti, cose che nemmeno tutti possono permettersi. Noi pensiamo che la transizione ecologica passi dal coinvolgimento della popolazione, correttamente informata, nella decisione politica».
Giulia si sente molto vicina ai “valori” del movimento: ce ne sono dieci su cui si stanno impegnando, mi invita a entrare nel sito per leggere il loro contenuto.
Lei è feltrina, ma studia lingue e conservatorio a Trento. È stata la mamma a parlarle di Extinction Rebellion, perché aveva letto un articolo, poi a Trento ha visto dei volantini ed è riuscita ad avere il contatto di qualche “ribelle”, così a febbraio di quest’anno si è aggregata. Sente molto il problema del cambiamento climatico, lo vive con una certa ansia e il fatto di aver trovato il movimento le dà anche la forza per affrontare queste sue paure.
«Questo movimento mi piace tantissimo perché è molto inclusivo, raccoglie trasversalmente fasce d’età, professioni, provenienze. Nel nostro gruppo puoi trovare la ragazzina delle superiori, l’insegnante, intere famiglie. E poi parte dal presupposto che ciascuno ha capacità, creazioni, interessi diversi. In ogni realtà locale puoi trovare, se c’è il numero: il gruppo scientifico per raccogliere dati, visionare articoli; il gruppo media, che si occupa di dare visibilità agli eventi; il gruppo azioni, che organizza le iniziative; il gruppo arte che si dedica alla parte più scenica; il gruppo culture rigenerative».
Mi incuriosisce il gruppo “culture rigenerative”. Di cosa si occupa?
Michele, laureato in filosofia e cuoco di professione, prova a spiegare: «Diciamo che viviamo in un sistema globale non sostenibile e quello che non è sostenibile a un certo punto collassa. Noi stiamo andando verso questo tipo di futuro. Qualcosa che è rigenerativo è qualcosa che può dare del tempo. Il sistema che sta portando alla distruzione del mondo naturale – questo pensiamo – è lo stesso basato su disuguaglianze, sul fatto che non ci ascoltiamo, che viene favorito un ampio grado di individualismo, c’è una violenza strutturale a tutti i livelli e un certo grado di autoritarismo nel nostro vivere quotidiano. Noi pensiamo che queste strutture autoritarie del sociale portino a un danno ecologico e all’incapacità di trovare una qualità sostenibile nel pianeta. Che significa per noi nella pratica cultura rigenerativa? Facciamo ascolto attivo per ascoltare non solo i nostri pensieri ma le nostre emozioni, utilizziamo pratiche di presa di decisione democratiche, in cui tutti e tutte hanno una voce. Per fare questo introduciamo anche figure di facilitazione, persone che gestiscono i turni, fanno sì che vengano rispettati i valori del movimento, che non ci si urli addosso, non ci si incolpi a vicenda. E questo concorre a creare quel clima di cooperazione, quella cultura che ancora non c’è e che pensiamo come cultura rigenerativa».
Michele vive a Firenze, lì al movimento aderiscono più di 30 persone e ci sono anche simpatizzanti che vengono a dar manforte alle manifestazioni. Lorenzo invece viene da Genova, la pandemia ha diradato il gruppo, ora sono rimasti in cinque.
«Extinction Rebellion ha un sistema organizzativo particolare, non c’è una gerarchia di potere personale, non c’è una persona che decide quali sono gli obbiettivi, c’è una gerarchia di scopi: i gruppi locali, i gruppi regionali hanno per mandato uno scopo che è quello di ottenere le nostre tre richieste e di farlo nel rispetto dei nostri dieci valori. A Genova abbiamo fatto delle semplici performance, ma se i numeri a livello locale non sono sufficienti per fare disobbedienza civile, è possibile collaborare con altre persone a livello italiano per condividere nel territorio un progetto».
«Il 1 aprile per esempio c’è stata una mobilitazione nazionale contro la “finanza fossile” – spiega Giulia – in tutte le città Extinction Rebellion ha portato il tema della “finanza fossile”. L’idea era di sensibilizzare i cittadini sul fatto che le principali banche e assicurazioni finanziano il settore fossile. Questa mobilitazione ha portato a una campagna di disinvestimento in cui si chiedeva di disinvestire dalle banche che finanziavano maggiormente i produttori di petrolio».
«Se apre il nostro sito alla voce campagna di disinvestimento – continua Lorenzo – c’è una mail, a quella mail le rispondo io perché ho partecipato alla realizzazione di questa campagna e trovo assolutamente convincente la dichiarazione di Gutierrez delle Nazioni Unite secondo cui, finanziando l’estrazione di combustibili fossili, alimentiamo gli uragani, perché l’impatto non è solo locale sulla qualità dell’aria, dell’acqua, del suolo, ma i combustibili fossili aumentano l’effetto serra, l’effetto serra aumenta le temperature e quando il mare è più caldo e l’aria è più calda, le mareggiate, le tempeste, i venti aumentano di intensità. Anche gli episodi sempre più numerosi e intensi di acqua alta a Venezia ne sono una conseguenza».
Mentre ascolto questi “ribelli” mi viene alla mente l’immagine di mio figlio e dei suoi amici che partivano per il G8 il 19 luglio 2001: stesso entusiasmo, stessa spinta a fare qualcosa per cambiare il mondo. La delusione e la ferita alla scoperta che la democrazia è un campo di battaglia bloccò allora quelle energie e quella pubblica partecipazione e spinse molti a ritirarsi nel privato. Ma anche in momenti di crisi della sfera pubblica come questi la volontà di manifestare insieme il proprio dissenso e le proprie idee trova modo di esprimersi. Chiedo loro come si è originata l’adesione a Extinction Rebellion.
Lorenzo è stato testimone dell’alluvione di Genova del 2009, che ha spazzato via la vita di sei persone. Andando in montagna tutti gli anni, ha assistito alla regressione dei ghiacciai. Ma, dice, non riusciva a ottenere informazioni sul motivo per cui anno dopo anno li vedeva cambiare; poi documentandosi ha scoperto come questi fenomeni siano legati a doppio filo con il nostro benessere.
Anche Michele ha sempre avuto una coscienza ecologica, ma il momento del “grande risveglio” è stato nel 2015.
«Ero a Firenze, a casa mia, è venuta una bomba d’acqua che non si era mai vista prima, è durata solo un’ora ma fuori si sentivano botti: bang bang. Quando sono uscito ho visto che erano volate via le tegole dei palazzi e avevano sfondato il parabrezza delle macchine. In un giardinetto vicino a casa mia due cipressi erano stati divelti, avevano abbattuto un muretto e si erano infilati nella pancia dell’edificio di fronte. Nemmeno un chilometro più avanti c’è l’orto botanico di Firenze, uno dei più antichi d’Europa: alberi centenari erano stati spezzati a metà. Eventi che la città non aveva mai vissuto prima. Lì mi sono messo a capire meglio la questione del cambiamento climatico, perché non ne parlano o ne parlano come uno dei tanti problemi che il mondo ha, mentre è il più grave e non si sta dando una risposta».
Gli chiedo come pensano di muoversi per sensibilizzare su questo problema.
«C’è un’azione molto semplice, che si può fare anche in un piccolo gruppo: la “ribellione di uno”. Si tratta di andare da soli con un cartello che dice: “sono terrorizzato per…” e si scrive un danno grande che farà o sta già facendo la crisi climatica. A Firenze ci siamo messi in supermercati, piazze pubbliche, zone pedonali. Io ho scritto di fine delle risorse alimentari, perché l’Italia è un Paese che vedrà le città costiere sparire sott’acqua mentre da sud verso nord si prevede una desertificazione. La sorpresa è stata la repressione di un’azione così pacifica e così semplice: per esempio Aldo, uno del gruppo, si è messo all’interno del mercato centrale di Firenze, seduto con un cartello, non dava noia a nessuno e la sicurezza l’ha preso e l’ha sbattuto fuori subito. Non possono farlo, perché non sono polizia. Credo dia fastidio il messaggio. Tutto il sistema si basa sul non dire la verità, perché dire la verità significa mettere a repentaglio quello che è l’attuale assetto politico-economico. Quindi non si vuole nemmeno che una verità sia detta, nemmeno che un’emozione di paura verso una cosa che può succedere venga espressa».
Domando se chi passava e osservava mostrava interesse.
«La cosa che ci ha colpito quando ci siamo seduti con i cartelli per la “ribellione di uno” è che le persone ci guardavano con gli occhi sgranati, ma solo in rari casi si sono avvicinate. Però quando sono intervenute le forze dell’ordine, in un paio di casi le persone sono venute a schierarsi dalla parte di chi manifestava. Penso che siamo in un momento di grande disillusione e c’è molta paura di uscire dalla propria sfera individuale. Ma quando si vede che anche un messaggio pacifico viene represso dalle autorità, allora capita che le persone dicano: no, è giusto quello che stanno facendo e mi sbilancio, esco dalla mia zona di comfort, dico la mia e mi avvicino».
Penso a Friday for Future, il movimento di Greta Thunberg, alla popolarità che ha acquisito anche nei media. Vorrei capire come mai questi “ribelli” hanno scelto di impegnarsi in Extinction Rebellion, quali differenze notano.
«Un movimento come Friday for Future non ha una richiesta precisa – così Michele –, ma si rivolge semplicemente alle autorità e dice: è insufficiente quello che state facendo, fate di più. È riassumibile nell’idea: che bello, questi ragazzi ci chiedono qualcosa per piacere e noi politici ci penseremo. Quindi è più accettabile a livello di sistema rispetto a quello che diciamo noi, cioè che questo tipo di istituzioni sostanzialmente ha fallito. Noi vogliamo un coinvolgimento diretto dei cittadini nella decisionalità politica. E poi diciamo: se non ce lo date, iniziamo anche a violare le leggi con la disobbedienza civile perché crediamo che sia così importante che siamo disposti a prenderci dei rischi. Questo dà molto più fastidio a livello di sistema, per questo se ne vuole parlare di meno».
Giulia è convinta che la loro comunicazione con chi è esterno al movimento sia più problematica perché passa il racconto che i governi si stiano muovendo abbastanza per risolvere la situazione: «I media sono molto bravi a farci credere che si stanno prendendo le giuste decisioni, che siamo nella transizione ecologica, che si sta facendo tutto il possibile. Molte persone ci credono».
Extinction Rebellion quindi non pretende di imporre le proprie posizioni, ma vuole che i cittadini partecipino alle decisioni. Questo piace a Lorenzo che ha in mente anche una proposta di democrazia partecipativa.
«Altri movimenti hanno come scopo presentare alle autorità la richiesta di risolvere i problemi e le proposte di soluzione elaborate dentro il movimento, non confrontandosi necessariamente con le persone esterne. Per questo è successo in alcuni casi che le proposte fatte da questi movimenti venissero magari accolte dallo Stato ma rifiutate dal resto della collettività. Questo è successo con i gilet gialli, per esempio. Macron ha ascoltato la richiesta di aumentare le tasse sui combustibili, ma le persone avevano un bilancio familiare da mantenere: quanto per andare e tornare dal lavoro, quanto per portare i bambini a tennis, a musica. Se lo Stato cambia le regole in questo modo non è sempre detto che i cittadini comprendano lo spirito della riforma. Per questo Extinction Rebellion chiede allo Stato che non ascolti solo le aziende, ma ascolti anche i cittadini, li sorteggi, faccia un campione di popolazione rappresentativo di studenti, lavoratori, pensionati, artigiani, liberi professionisti, uomini, donne. Dopo che i gilet gialli hanno fatto la loro protesta, Macron ha organizzato la convenzione dei cittadini per il clima, ha sorteggiato un’assemblea che ha offerto la possibilità di convocare degli esperti che spiegassero a questi cittadini sorteggiati i termini del problema in modo che potessero dare delle indicazioni al governo. Che poi il governo le abbia più o meno edulcorate e diluite è una questione tutta francese. Ma è un problema da porre anche in Italia».
Con la speranza che possa crescere la partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche e che tutto il possibile venga fatto per questo obiettivo, ci salutiamo.
domenico canciani dice
grazie per questa intervista. non sapevo nulla di tutto quello che hai raccontato.