di Andrea Lanza
Il nostro Andrea Lanza ci ha mandato un breve aggiornamento sulle vicende della statua di Egerton Ryerson, collocata nel centro di Toronto, da cui era partito nel febbraio scorso per riflettere su memoria e storiografia, uso e ruolo sociale della storiografia, rapporti tra forme diverse di confronto con il passato. Cose scritte durante una quarantena prevista per chi rientra dal Canada in Europa.
Appena arrivato da questa parte dell’Oceano, leggo una notizia che in fondo non mi sorprende: la statua di Egerton Ryerson di cui vi avevo scritto in febbraio è stata abbattuta. Quattro mesi fa era già stata colorata di verde. Le mani imbrattate di rosso e diverse scritte ricordavano il ruolo svolto da Ryerson nell’istituzione delle scuole residenziali dove, in nome del diritto universale allo studio e dell’assimilazione, migliaia di bambine e bambini Inuit e delle Prime Nazioni furono inseriti a forza, sottratti alle famiglie, fra gli anni Venti dell’Ottocento e gli anni Novanta del Novecento.
Una decina di giorni fa, poco prima di partire, ero passato a rivedere la statua di Ryerson: erano state da poco scoperte le ossa di oltre duecento bambini e bambine ritrovate nei pressi della scuola di Kamloops, gestita dalla chiesa cattolica su mandato del governo federale, nella provincia della Colombia Britannica, a quasi quattromila chilometri da Toronto e dal monumento di cui sto raccontando. La notizia, che è circolata anche in Italia, aveva avuto in Canada un forte impatto emotivo. Il giorno precedente alla mia visita c’era stato un presidio, che aveva lasciato segni: nuove scritte coloravano il basamento della statua, il muro vicino e il marciapiede; diverse decine di scarpe, molte da bambino, erano state allineate nell’aiuola in ricordo delle vittime del sistema delle scuole residenziali.
La maggior parte delle scritte faceva riferimento alle vittime i cui resti erano stati appena scoperti. Altre attaccavano direttamente il governo federale e le chiese che hanno gestito le scuole per l’assimilazione forzata. Altre ancora andavano al cuore della questione: l’origine coloniale del Canada e le contraddizioni che questa, oggi, pone in evidenza nella società multiculturale. Una scritta mi ha colpito particolarmente, e non solo per la sua visibilità: “Tornatevene a casa! Tornatevene da dove siete venuti, io e le mie ragazze odiamo i colonizzatori”. Questo “io e le mie ragazze” (un gruppo di attiviste? le figlie?) rende il proposito estremamente personale e sentito, ma evidenza anche il suo carattere astratto e problematico: chi sono oggi i colonizzatori o i coloni che dovrebbero tornare da dove sono venuti? Quale sarebbe la loro casa o la terra d’origine?
A un paio di metri dalla statua, il cartello fatto affiggere dall’Università Ryerson a “testimonianza dell’impegno nel voler avanzare nel segno della verità e della riconciliazione” era stato parzialmente sovrascritto evidenziandone le ipocrisie.
La statua è stata abbattuta al termine di una manifestazione organizzata una settimana dopo la diffusione della notizia e che, dopo aver attraversato il centro, si è conclusa proprio di fronte al monumento. Un cavo legato al collo e tirato da un camioncino l’ha fatta cadere sulla strada. L’Università Ryerson, la terza per importanza nella città di Toronto nonché proprietaria della statua, ha dichiarato che non sarà rinnalzata nessun’altra statua. Secondo alcune voci, anche il cambio di nome dell’università sarebbe prossimo. Si vedrà se questi atti costituiranno effettivamente delle tappe di un percorso “nel segno della verità e della riconciliazione”.
La notizia nel sito in versione anglofona della CBC, la televisione pubblica canadese.