di Walter Cocco
A sinistra, caffettiera moka express Bialetti modello “classico” (ca. 2015)
A destra, caffettiera moka Alessi modello Cupola (1991)
La moka di sinistra è entrata in casa intorno al 2015; disegno e forma sono analoghi a quello classico della moka Bialetti. Queste caffettiere resistono decenni, basta usarle costantemente e ogni tanto sostituire i filtri o le guarnizioni; tuttavia a volte si dimenticano sul fuoco e si rovinano irrimediabilmente. Quella della foto ha sostituito una sorella anziana abbrustolita.
La moka di destra è un regalo ricevuto per il matrimonio, da parte dei colleghi con cui allora lavoravo a Montecchio Maggiore. È il celebre modello Cupola, disegnato da Aldo Rossi nel 1988, prodotto dalla ditta Alessi.
La caffettiera moka è stata ed è ancora uno degli oggetti più comuni e presenti nelle cucine in Italia: molti ne hanno più di una, magari quella di uso familiare corrente e quella più grande per quando ci sono anche ospiti da servire. Allo stesso tempo è già e sta diventando sempre più un pezzo da museo. Per il loro design sono entrate nelle collezioni di un museo come il Museum of Modern Art di New York, dove si trovano ormai da anni un esemplare della moka express Bialetti e uno della “9090” di Alessi. Ma c’è anche il tempo che passa e l’incombere di trasformazioni: il recente successo delle macchine espresso a capsule, a oggi, sembra destinato a soppiantare la moka (una curiosità: Bialetti non ha rinunciato a mettere in vendita una macchina a capsule che richiama le forme della vecchia moka; il risultato però – a mio parere – è di dubbio gusto estetico (cfr. https://www.bialetti.com/).
L’ingresso di un oggetto in un museo indica cambiamenti tecnologici, di pratiche e di abitudini che hanno conseguenze su diversi piani. Mettendo nel museo virtuale di storiAmestre le mie due caffettiere, non posso evitare di pensare a fabbriche, operai e crisi.
La caffettiera moka ha caratterizzato tutto il secondo Novecento italiano: la sua invenzione risale al 1933, nelle officine di Alfonso Bialetti (1888-1970) a Omegna, nell’alto novarese. È a partire dal dopoguerra che “la macchinetta” entra in tutte le case, in concomitanza con il miracolo economico e il miglioramento delle condizioni materiali e dei consumi degli italiani. Si abbandonavano la “napoletana” e le miscele di orzo e succedanei a favore del caffè macinato e della moka Bialetti. Con il suo caratteristico omino coi baffi, la Bialetti diventava un cult dello stile di vita italiano esportabile in tutto il mondo.
A Omegna e nel territorio circostante crebbe il distretto industriale del casalingo attorno ai grandi nomi di Bialetti, Alessi e Lagostina (quest’ultima l’officina più antica, fondata nel 1901, mentre la storia delle altre due comincia poco dopo la Prima guerra mondiale).
La crisi industriale dell’«omino coi baffi» ebbe inizio negli anni Settanta quando la concorrenza di Paesi produttori a basso costo cominciò a erodere le vendite; nel 1986 la famiglia Bialetti ne cedette la proprietà a Faema. Seguirono poi altri cambi di proprietà, il marchio è ancor oggi ben presente sul mercato, ma la fabbrica ha subito il processo di deindustrializzazione comune a molte altre realtà, la produzione è stata delocalizzata e a Omegna è rimasto uno scheletro industriale coi vetri rotti (cfr. C’era una volta Omegna la capitale del casalingo, “La Stampa”, 5 maggio 2016), proprio come quello della Marzotto che ho descritto nel 2013-14 per storiamestre.it.
La storia della Alessi è stata un po’ diversa. Già a partire dagli anni Cinquanta, ma soprattutto nelle decadi successive, ha puntato alla collaborazione con i grandi nomi del design e dell’architettura per i suoi prodotti. Ha dato vita così a una produzione di nicchia fondata sullo stretto rapporto fra design e industria che ha permesso di superare le crisi sopraggiunte nel corso del tempo, divenendo uno dei simboli del Made in Italy.
La nuova crisi aperta nel 2019, tuttavia, sembra non risparmiare nemmeno Alessi: sono stati licenziati 85 addetti su trecento, ma la famiglia, che ancora detiene la proprietà, ha ribadito che intende superare questa congiuntura difficile senza delocalizzare (cfr. Crisi del casalingo: 85 esuberi alla Alessi, “La Stampa”, 1 febbraio 2019). La più recente notizia d’agenzia che ho trovato sull’argomento è del 13 settembre 2019 e porta il seguente titolo: Conclusa crisi Alessi: firmata la chiusura della Cigs, a dicembre il piano industriale, 80 esuberi tutti gestiti (Cigs significa “Cassa integrazione guadagni straordinaria”). Speriamo sia andata così.
Maurizio Angelini dice
Molto interessante, ma le macchinette arrivano nelle nostre case con i primi anni 60.Prima c'erano le cogome, le napoletane, quelle che si rovesciavano a fine ebollizione.Sai dove le facevano?Grazie.
Pascali Antonella dice
Ho letto volentieri di queste fabbriche italiane, non ho ancora dismesso l’uso delle caffettiere e resto dell’idea! Sono anche contrariata da tutto quello spreco di materiali che comporta l’uso del caffè in capsule, nonché del fatto che due grosse fabbriche, non abbiano saputo o potuto, diversificare la produzione e salvare i propri lavoratori.