di Alberto Cavaglion
Alla fine del 2020 il nostro amico Alberto Cavaglion ha pubblicato Primo Levi: guida a Se questo è un uomo (Carocci, Roma). Ne riprendiamo qui alcune pagine dove Cavaglion richiama la necessità di valutare eventi e contesti in prospettiva, ricordando: che per un lungo periodo del dopoguerra la Shoah non fu affatto “la misura del male assoluto”; che il libro di Levi ebbe difficoltà a trovare ascolto sia nel 1947 che nel 1958; che dagli anni Sessanta (e fino alla sua morte) Levi fu riconosciuto come testimone, ma non – a differenza di quanto accade oggi – come scrittore; che a una maggiore quantità di informazioni disponibili, non per forza corrisponde una maggiore curiosità e desiderio di informarsi. Con un suggerimento: tornare a leggere il testo della prima edizione del 1947.
Nel decennio che separa la prima edizione [di Se questo è un uomo, 1947] dalla seconda [1958], durante questa faticosa revisione, non solo per Levi, la testimonianza sul Lager continua a essere richiusa.
Se lo era posto il problema, a modo suo e con grande dottrina, un filologo come Giorgio Pasquali, che si era trovato ad affrontare la stessa situazione di Levi. Aveva infatti ricevuto infiniti dinieghi alla pubblicazione dei Ricordi di giovinezza di un professore tedesco di Mark Lidzbarski. Prima di arrendersi e pubblicare su rivista il suo magnifico saggio introduttivo (una pionieristica ricognizione nel mondo degli ebrei orientali) aveva bussato invano all’uscio di quattro o cinque editori1. Non aveva chiuso gli occhi davanti a quella dura realtà nemmeno Leo Valiani, che sempre nel fatidico 1947, in una bella pagina del suo Tutte le strade conducono a Roma, scrive: «Dai campi di concentramento sono stati rimossi i forni crematori e i seviziatori, ma son rimasti campi di concentramento per le nazioni vinte e per gli individui indifesi. Metà dell’Europa si è trasformata in una nuova razza ebraica, priva di diritti politici e spesso anche civili, che deve essere contenta, se le si concede il nutrimento»2.
Si può seguire questo processo attraverso una vicenda, nella quale Levi, come persona prima che come autore di Se questo è un uomo, fu coinvolto: la storia di una mostra di fotografie. L’8 dicembre 1955 venne inaugurata a Carpi (Modena) la prima mostra nazionale sulla deportazione. Quella esposizione segna l’avvio di un percorso, che avrà il suo culmine nel 1961, con il processo Eichmann, quando davvero, anche in Italia, si potrà iniziare a parlare di una più diffusa conoscenza dell’esperienza concentrazionaria. Nel momento in cui la mostra di Carpi si mette in mare aperto è come se la membrana del contenimento iniziasse lentamente a strapparsi.
Dopo il processo Eichmann nessuno potrà dirsi incolpevole. Capire come siano andate le cose prima del 1961 è più difficile. È commovente vedere in mostra, nelle fotografie di Carpi, un’Italia sobria, pre-televisiva, non ancora travolta dal boom economico: nonostante le condizioni di estrema arretratezza in cui versava il paese, è emozionante vedere, nelle foto scattate il giorno dell’inaugurazione, la gente di Carpi scendere dalla bicicletta e guardare quelle sconvolgenti immagini: gente comune, anziani, studenti, contadini, una madre che spinge una carrozzina; i vestiti sono quelli di un’Italia dimessa, una vecchia motocicletta appoggiata a un muro3.
Dopo il 1961 le informazioni si moltiplicheranno, ma la volontà di informarsi non è detto sia migliorata. […] Nel 1958 Se questo è un uomo troverà spazio nel catalogo Einaudi, ma in quello steso anno non si può ignorare il valoro simbolico di un’altra, liberatoria esplosione: il «Volare!» di Domenico Modugno, che al Festival di Sanremo annuncia un «sogno possibile, la fine dell’Italia povera e umiliata del dopoguerra»4. Le voci di Levi e della mostra di Carpi finiranno sommerse da un processo di rapida trasformazione, le voci dell’abominio perderanno la ruvida asprezza della prima emissione: da un lato crescono le informazioni, dall’altro si stempera la curiosità. Proprio Levi espresse nel 1955 il suo disappunto, con un articolo, uno dei suoi primi e più intensi, dove non potrà fare a meno di rammaricarsi: «Dei Lager, oggi, è indelicato parlare»5.
Molti anni più tardi, in alcune interviste, Levi incappa in un altro lapsus: confonde il 1955, data in cui firma con Einaudi il contratto per la riedizione di Se questo è un uomo, con il 1959, data in cui la mostra di Carpi arriva a Torino, un anno dopo l’uscita del libro6. Partita da Carpi, la mostra giunse nella città di Levi al termine di un periplo iniziato a Ferrara (22 gennaio-20 febbraio 1956), Bologna (17-31 marzo 1956), Verona (18 gennaio-2 febbraio 1958), Roma (26 giugno-15 luglio 1959). In ogni città dove getta la sua ancora, il vascello fantasma con le sue immagini raccapriccianti generava sgomento: per la crudezza delle immagini esposte, per l’indelicatezza con cui esibisce a un pubblico ignaro un argomento tanto nuovo quanto orribile a vedersi.
I ritagli di stampa che si sono conservati ci dicono che durante la navigazione non mancarono malumori. C’era chi non voleva che fossero rinfocolati rancori e temeva che immagini di così inaudita violenza ostacolassero i rapporti con la Germania, riconosciuta ormai come paese amico. Poiché si svolge fra decennale della Liberazione (1955) e centenario dell’Unità d’Italia (1961), il viaggio in Italia della mostra di Carpi e la riedizione di Se questo è un uomo agiscono come elemento perturbante. Fra due contendenti particolarmente agguerriti e influenti, Resistenza e Risorgimento, le foto orribili della mostra e le pagine di Levi tentano di dare voce a chi da nessuno fino ad allora era stato ascoltato: il Deportato.
Pensare che la Shoah sia sempre stata, com’è oggi, la misura del male assoluto significa cadere nel più clamoroso errore prospettico in cui possa incorrere chi s’occupa di storia: giudicare il passato con il metro adottato per giudicare il presente. Nella memorialistica degli anni che precedono la mostra, e in quelli che immediatamente seguono, così come nell’edizione 1947 di Se questo è un uomo colpiscono […] la ruvidezza, i purismi, il «quivi». La forza espressiva di memorie come queste andrebbe sempre riletta nelle prime edizioni, così come Se questo è un uomo va riesaminato a partire dalla stesura del 1947 e riletto come un universo autonomo, un mondo a parte.
Di silenzio colpevole si deve parlare, ma il dito non andrà puntato contro gli anni che seguono il 1961. In presenza di una società dei consumi protesa verso l’omologazione, attraversata da un’allegria smodata, non più giustificabile come quella del 1946, nell’Italia del grande balzo verso la società dei consumi, del trionfo dell’automobile e degli elettrodomestici, la storia di afflizione che Levi stava svelando ai lettori ritornerà a essere «richiusa». Negli anni Sessanta, negli anni Settanta e in una parte degli anni Ottanta, mostre coraggiose e pionieristiche come quella di Carpi finiranno in uno scantinato nel Polesine, come le copie invendute [della prima edizione] di Se questo è un uomo finiranno in un altro magazzino a Firenze, dove saranno sommerse dall’alluvione del 1966. Il cambiamento coinvolgerà lo stesso Levi, che, dopo aver scritto La tregua (1963), si autoconvinse di aver esaurito il suo compito. Volendo farsi scrittore, prese atto che la narrazione afflittiva non aveva diritto di cittadinanza nella Repubblica delle Lettere. Divenne così Damiano Malabaila e provò a pubblicare racconti di fantascienza.
Nota. Alberto Cavaglion, Primo Levi: guida a Se questo è un uomo, Carocci, Roma 2020, pp. 51-54 (con minimi tagli e l’adattamento delle note alle norme redazionali di storiamestre.it); è il paragrafo 2.5 intitolato «Dei Lager, oggi, è indelicato parlare».
La prima edizione di Se questo è un uomo uscì nel 1947 a Torino, presso l’editore De Silva di Franco Antonicelli. Nel 1949 la De Silva fu rilevata dalla casa editrice fiorentina Nuova Italia, di Tristano Codignola: ecco perché – secondo quanto si tramanda senza peraltro una specifica documentazione in merito – le copie invendute della prima edizione finirono alluvionate dall’Arno. Per una breve storia di questa edizione, si rimanda alla scheda offerta dal sito del Centro internazionale di studi Primo Levi. Il testo del primo Se questo è un uomo non è più stato ristampato in volume autonomo o in edizioni facilmente accessibili; si trova riprodotto ora in Primo Levi, Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, I, Einaudi, Torino 2016, pp. 5-133, seguito dal testo del 1958.
Le nostre lettrici e i nostri lettori ritroveranno in alcune parti del libro temi e riflessioni che, nel corso degli anni, Alberto Cavaglion aveva già presentato su storiamestre.it; ci riferiamo in particolare al rapporto tra letteratura e testimonianza, nel confronto tra Levi, Umberto Saba, Giacomo Debenedetti e Elsa Morante, nel saggio Il grembo della Shoah. Il 16 ottobre 1943 di Umberto Saba, Giacomo Debenedetti, Elsa Morante (con una postilla su Enzo Forcella), pubblicato nel febbraio 2013; e alla questione della parodia in Primo Levi, con un saggio che è stato la nostra strenna per Sannicolò nel 2016: Il sistema parodico. Parodie sacre in «Se questo è un uomo».
Ringraziamo Alberto Cavaglion per la sua amicizia e disponibilità. (fb)
- Si veda ora Mark Lidzbarski, Ricordi di giovinezza di un professore tedesco, prefazione di Giorgio Pasquali, postfazione di Marino Raicich, Passigli, Firenze 1988; Giorgio Pasquali, Autobiografia anonima di un Giudeo polacco, “La Rassegna d’Italia”, IV (1949), 10, pp. 981-992, poi in Id., Pagine stravaganti, introduzione di Giovanni Pugliese Caratelli, Sansoni, Firenze 1968, II, pp. 397-408. [↩]
- Leo Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, La Nuova Italia, Firenze 1947, p. 357. [↩]
- Immagini dal silenzio. La prima mostra nazionale dei Lager nazisti attraverso l’Italia 1955-1960, a cura di Marzia Luppi, Elisabetta Ruffini, Comune di Carpi-Istituto storico della Resistenza di Modena, Carpi 2006, pp. 36-38. [↩]
- Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Donzelli, Roma 2003, p. 591. [↩]
- Primo Levi, Anniversario, «Torino. Rivista mensile della città», XXXI (1955), 4, numero speciale dedicato al decennale della Liberazione, pp. 53-54; ora in Id., Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, II, Einaudi, Torino 2016, pp. 1291-1293. [↩]
- Cfr. Primo Levi, Opere complete, III, Conversazioni, interviste, dichiarazioni, a cura di Marco Belpoliti, con Bibliografia e indici, a cura del Centro Internazionale di Studi Primo Levi, Einaudi, Torino 2018, pp. 433, 670, 1150. [↩]