di Valter Deon
Domenica 18 ottobre 2020 a Feltre, nel Parco “Terra di Mezzo” in via Mezzaterra, si è tenuta una lettura pubblica di brani dal libro Francesca Canton di Gigi Corazzol. L’incontro si è svolto nel giardino del palazzo in cui Francesca Canton venne interrogata nel gennaio 1544, poche settimane prima della sentenza che avrebbe annullato il suo matrimonio con Zuane Romagno al termine di un processo cominciato nel 1542. Dopo la presentazione di Daniela Perco, che ha promosso l’iniziativa all’interno del programma “Geografie della Memoria. Voci dal Manicomio”, le letture sono state introdotte da Valter Deon. Questo il suo discorso (il titolo è redazionale).
Sarò breve e comincio con una nota sulle ragioni di questo incontro. Anche nell’edizione della Francesca Canton che buona parte di voi conosce, chiudendo i ringraziamenti, Gigi Corazzol scriveva di “offrire questo libro […] a tutti gli amici, per segno e augurio di affetto compatibilmente costante”. Oggi gli amici riconoscenti hanno voluto ricambiare a Gigi auguri e affetti. Ed esprimergli gratitudine.
Vinte le resistenze, acquisito il fatto che questo incontro voleva essere di scambio di amicizia e conferma di stima, Gigi si era subito mostrato preoccupato dei giovani e di quanto ai giovani la conoscenza di Francesca Canton potesse interessare. In fondo – diceva – il libro, stampato la prima volta nel 1987, ha più di 30 anni ed è lontano da chi ai tempi di quella scrittura ancora non c’era. Lontano e forse anche estraneo.
Abbiamo ribattuto che anche a noi, avanti con gli anni, rileggere la Francesca aveva fatto e continua a far bene: salutare, potrebbe dire Gigi. Quanto ai giovani abbiamo detto che alla fine ricordare e far sapere che a Murle abita uno storico troppo discreto, insegnante per tanti anni all’Università di Venezia, persona nascosta ma studioso conosciuto e apprezzato da colleghi francesi e americani, italiani e non, sarebbe stata cosa giusta. E che far conoscere la Francesca e invitarli a leggerla non avrebbe fatto gran male.
Vengo al libro. È nato nell’archivio della Curia Vescovile di via Mezzaterra dal lavoro, dalla passione, dall’entusiasmo di un ricercatore che per una vita ha battuto archivi, e che gli archivi ha amato. In tempi in cui si arriva a tutto e a tutti in un momento e con facilità, l’archivio per tanti può essere un luogo poco conosciuto e senza senso; eppure, è negli archivi veri e reali, dove le carte si toccano, che è raccolta tanta storia di noi comunità e tante storie di uomini e donne che non è giusto dimenticare con leggerezza e noncuranza.
A chi lo abbia preso in mano per la prima volta il libro è sicuramente risultato spiazzante e può aver suscitato riserve e perplessità. Lo dice lo stesso Gigi, sempre nella parte dei ringraziamenti, scrivendo dei tempi dell’apparizione del libro: “Ho avuto dissensi così seri, trepidanti, partecipi da lasciarmi emozionato come e più fossero stati degli incoraggiamenti”.
Del libro colpisce innanzitutto la scrittura, originale, spregiudicata e sapiente, sempre raffinatissima; una scrittura che pare nata da cancellazione, lontana dalle seriose pagine di scrittori e storici esperti. Ed estranea alle scritture delle storie scolastiche che tutti noi abbiamo conosciuto nelle nostre scuole. Scrittura che stabilisce con il lettore un rapporto dialettico e teso, mai distensivo. In altre parole, una scrittura essenziale, evocativa, che invita a tornare sul testo, inquieta e mai tranquilla.
Per entrare nel libro basta leggere l’avvertenza; lì c’è tutto. Occorre sapere:
“1) Che Feltre nel 1510 fu incendiata da un reparto di soldati dell’imperatore Massimiliano I, allora in guerra con Venezia.
2) Che a Feltre essere nobili significava avere per nascita il diritto di diventare prima o poi, per successione o per ballottaggio, uno dei settanta consiglieri della città.
3) Che i nobili a Feltre erano parecchi. A metà secolo XVI erano almeno trecento; circa l’otto-dieci per cento della popolazione. Naturalmente alcune famiglie erano ricche ed altre no.
Dico queste cose perché mi piacerebbe che vi avvicinaste a queste pagine sgombri per il possibile da quel che ci par di sapere in generale su i “nobili”, su come “vivessero”, sulla loro “cultura”, eccetera.
4) Che giudice di questa causa sarà il Vicario del vescovo. Si chiamava Giovanni Battista Romagno, è dottore e, quel che più importa, zio di Zuanne, il marito impugnato”.
Sul piano della forma e del contenuto si può aggiungere che il libro è la raccolta ordinata delle testimonianze rese nella causa intentata da Francesco Canton, nel 1542, con la quale voleva dalla curia vescovile una sentenza in cui si dicesse che tra sua sorella Francesca e Zuagne Romagno, nobile di Feltre, non c’era stato matrimonio. Lei, Francesca Canton era stata rapita sposa con una spedizione esemplare e furba dei fratelli Romagno nel 1514. Raminga per le campagne di Menin, era stata accasata per 28 anni menando vita grama tra chiese e fienili, finché, forse la pietà, forse gli anni, forse la saggezza, forse un pensiero sulle convenienze sociali e familiari avevano deciso il fratello a chiudere netto quella vita.
Da qui il processo che doveva acclarare la verità. Se Francesca fosse stata moglie accertata di Zuanne Romagno; se il matrimonio fosse stato consumato, se per le sue condizioni di testa Francesca fosse stata in grado di essere o meno moglie di un marito. Sullo sfondo, una dote da non sottovalutare.
Sulla “follia” di Francesca qualche parola in più. Necessaria, essendo uno dei temi, forse il tema, del libro. Le testimonianze che sentirete leggere lo diranno: sicuramente “giusta” non era: scentrata un poco, certamente “diversa” come si dice oggi, “deragliata” in testa. Eppure tutti a dire che matta non era perché non tirava sassi. Gigi prova a chiedere a un medico una opinione:
“Lo psichiatra – che è un amico, e malinconico, – cerca di farmi capire dolcemente che, postuma, una diagnosi, a parte che si va male, manca del minimo per cui ci si adatta a farne sui vivi, ossia la speranza, compatibilmente, di aiutarli a stare meglio. – Così? – Così. – Sicuro? – Sicuro”.
È una storia dunque quella di Francesca che accende “la pena, la pietà, il senso di oppressione”; una storia squallida e triste, sottile e scarna, che fa venire diecimila riguardi a toccarla, la Francesca. Una storia che tocca i sentimenti, ma nel modo giusto, che richiede grande rispetto e piètas. Se la storia agita, non deve meravigliare. Una lezione che viene dal libro è che dei sentimenti non ci si deve vergognare, che non è necessario tenerli lontano.
“Questa storia, che – prego vivamente di credere – è solo una storia, una storia e basta, non ha secondi fini; se m’è venuto di affidarla al sentimento dei miei compaesani è solo nella speranza che qualcuno tra loro se ne vorrà riempire una qualche sera fredda delle nostre, di quelle negre che, fatalità, neanche per televisione non c’è niente”.
Altre lezioni dal libro non ne devono venire: non ci insegna ad aggiustare l’oggi. Come d’altra parte la storia tutta.
Come finisce il processo? Cito anche qui: “Matrimonio nullo; mai esistito. Assenza dei minimi requisiti. Spese a carico dei Canton. Zuane Romagno, a trent’anni dalla posta sul Col Miàs, niente più moglie; e niente spese”.
Prima di dare la parola ai lettori: una avvertenza. Il dialetto italo-venetico e burocratico è una lingua difficile da dire, specie per chi col dialetto in generale ha poca familiarità. Non siamo qui a impalcarci filologi e linguisti. Quel che ci preme è che la storia abbia un filo e sia compresa. L’unica avvertenza: lo scrivano che trascrive le testimonianze interviene, si arrangia, fa quello che può. Trascrive quel che dice chi parla, e chi parla, parla pur sempre una lingua diversa, la sua propria lingua. Per questo salti, incongruenze, refusi, sono normalità.
Alla fine, quel che personalmente vorrei è che i giovani presenti non rimanessero delusi. Una volta tanto Gigi si sarebbe sbagliato.
Nota. Le citazioni sono tratte da Francesca Canton. Feltre 1510-1544, testimonianze raccolte ed annotate da Gigi Corazzol, Terra ferma, Vicenza 2006, rispettivamente dai ringraziamenti (le prime due), dall’avvertenza, dal par. 4 della “Nota illustrativa” che segue le testimonianze, dalla prima pagina della “Nota illustrativa”, di nuovo dall’avvertenza e infine e dall’ultima pagina, dedicata alla sentenza del processo.
La prima edizione era uscita quasi vent’anni prima: Francesca Canton. Feltre 1510-1544, testimonianze raccolte ed annotate da Gigi Corazzol, Pilotto, Feltre 1987.
Tra le due edizioni ci sono alcune “modifiche formali (refusi, punteggiatura, parole superflue o non a fuoco)”, mentre “testimonianze e commento sono quelli del 1987”: così Corazzol nella “Notizia del 2006” aggiunta alla seconda edizione, insieme a una dedica a Renata e Marino Berengo.