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Sui mancati miti fondativi dell’Italia. Uno scambio di lettere su Porta Pia

28/09/2020

di Giovanni Levi

Qualche giorno fa abbiamo sentito il nostro amico Giovanni Levi, per felicitarci per la nuova edizione del suo L’eredità immateriale (presentata a Venezia, presso l’Ateneo Veneto, il 22 settembre scorso) e per chiedergli un commento alla notizia del ministro della Salute della Repubblica italiana Roberto Speranza che nomina un arcivescovo alla presidenza della “Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana”; per di più a ridosso del centocinquantesimo anniversario di Porta Pia che anche noi abbiamo ricordato. Ci ha risposto così.

(fb, pb)

Cari Piero e Filippo,

grazie per l’attenzione. Sul caso dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, non son troppo sconvolto dalla sciocca operazione di Speranza, che tuttavia ha dimenticato che son cose che non si devono fare in un Paese che fatica a diventare laico e per di più in occasione del centocinquantesimo anniversario della breccia di Porta Pia. Mi spiace e mi stupisce molto questa gaffe da un ministro che ho ammirato per il suo lavoro di ministro della Sanità. Su Porta Pia ci sarebbe molto da dire, ma non tanto di più di quel che si è detto nel 2011 in occasione dei vostri incontri “I tris-nipoti raccontano” in cui, quasi dieci anni fa, ero stato invitato a parlare sulla data del 20 settembre 1870.

In sintesi le mie idee sono queste.

Molti paesi hanno costituito il loro mito fondatore su una guerra civile: la guerra Nord-Sud degli Stati Uniti, la Rivoluzione francese, le Rivoluzioni inglesi. La guerra civile del bene contro il male interno e la vittoria del bene. L’Italia ha rinunciato ai suoi miti fondatori: ci ha messo quarant’anni ad accorgersi che la Resistenza era una guerra civile del bene contro il male. Ha prevalso l’idea della pacificazione e la negazione che ci fossero molti italiani fascisti, riducendo il fascismo a una banda di mascalzoni (pochi) e amnistiando gli altri. Lo stesso è avvenuto nell’altro mito non costruito: l’Unità d’Italia, che era impedita dal fatto che fra Nord e Sud c’era lo stato della Chiesa, da cancellare per unificare il paese. Tutto l’accento è stato messo sul Risorgimento come una lotta nazionale esterna, contro l’Austria. Ma parlare della breccia di Porta Pia in un paese cattolico era e in qualche modo è pericoloso, e si è scelto, sempre per la riconciliazione, di minimizzare la guerra interna del bene contro il male. Così la storia d’Italia ha disperso i miti fondanti. Del resto anche Mussolini, che cercava una mitologia fondante, ha proposto altro: siamo i discendenti dell’Impero romano. Ma non poteva attecchire una simile sciocchezza.

Parlare oggi della breccia di Porta Pia come mito fondante è tardi, come mostra Speranza e come è stato tardi e gravido di conseguenze accorgersi troppo tardi che la Resistenza è stata una guerra civile.

Un abbraccio

Giovanni

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Archiviato in:Giovanni Levi, La città invisibile Contrassegnato con: Italia, laicità, Porta Pia, storia, storiografia

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Commenti

  1. redazione sito sAm dice

    07/10/2020 alle 20:47

    A noi invece sembra del tutto fuori luogo la nomina, alla presidenza della “Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana” della Repubblica Italiana, di un arcivescovo Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, alto esponente di una Chiesa che da secoli si attribuisce la missione di dirigere e controllare il comportamento dei cittadini e cittadine, credenti e non credenti, contando sul potere e sulle leggi dello Stato. Il 150mo di Porta Pia dovrebbe invitare a riflettere su questa costante della storia italiana, ancora ben viva; così come a ricordare che la storia europea offre esempi di esiti nazionali molto diversi nella regolazione dei rapporti tra Stato e Chiesa, sia in Paesi cattolici (che però hanno conosciuto una rivoluzione) che in Paesi protestanti. Oltre alle considerazioni di Giovanni Levi, rinviamo a quelle espresse qualche settimana fa da Paolo Flores D'Arcais su "Micromega" (http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-nomina-di-vincenzo-paglia-da-parte-del-ministro-speranza-e-un-obbrobrio/). La redazione del sito

  2. mauro pitteri dice

    04/10/2020 alle 17:42

    Allora dissento da Levi su due cose. Proprio la nomina di un vescovo è la maggior prova che gli antichi steccati sono superati e da un bel po'. Nessuno scandalo, considero ottima la scelta di Speranza, il miglior ministro del Conte 2; dopo che un papa ha benedetto l'Italia in occasione del centenario dell'Unità e un altro ha benedetto come una liberazione la fine del potere temporale, non vedo proprio quale sia il pericolo di celebrare Porta Pia. Le motivazioni del mancato mito mi paiono sostanzialmente che al resto d'Italia Roma non sia mai stata simpatica, vedi le due capitali Milano quella morale, Torino che si è sentita usurpata, Firenze che lo è stata troppo poco, Napoli che si sente l'unica vera capitale italiana di un regno ecc.

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