di Gigi Cameroni
Il nostro amico Gigi Cameroni torna a scriverci dopo tanto tempo, per raccontarci alcune pagine che ha letto, tra la “fase 1.1” e la “fase 2” delle misure contro la diffusione dell’epidemia di coronavirus.
cari di storiAmestre,
vi ho seguito molto nella “fase 1” del contenimento dell’epidemia e, tra le altre cose, ho apprezzato le “letture dell’epidemia” di Lucio Sponza e di Giannarosa Vivian. Ed è per una mia lettura, tra fase 1 e fase 2, che vi scrivo ora.
Quando il 14 aprile le librerie hanno avuto il permesso di riaprire, ho deciso che al più presto avrei fatto una visita a quella piccola del quartiere in cui vivo. No sacro fuoco retorico del libro “bene di prima necessità”, tra l’altro condivido lo scetticismo del vostro amico libraio Davide Zotto. Il fatto è che ho in casa due figli piccoli da intrattenere, per posta in quei giorni libri per bambini non ne arrivavano, e soprattutto avevo un pretesto per spingermi il più lontano possibile entro i termini prescritti dalla legge.
Ci sono andato il sabato seguente. Libreria piccola, dentro due alla volta al massimo, naturalmente con mascherina, alla porta il gel da mettere sulle mani. Dopo qualche minuto di coda – attesa minima rispetto a quella per fare la spesa di alimentari negli stessi giorni –, al mio turno vado a colpo sicuro all’angolo ragazzi per soddisfare i figlioli. Ma vuoi non dare un’occhiata anche al resto? I titoli a disposizione non sono tantissimi, ma la selezione è interessante, abbastanza varia anche nella saggistica.
Sono momenti imbarazzanti, fuori la gente che aspetta mugugna in ogni caso, i librai sono sulle spine, malgrado continuino a ripetere che è pur sempre una libreria, dove non si prende un tanto al chilo. Insomma, rassegna rapidissima, esco con altri due libri economici estratti a occhio dagli scaffali che ospitano le collane di narrativa e di saggi.
Di Oliver Sacks (1933-2015) so quel poco o nulla che si può sapere seguendo distrattamente la stampa: medico, neurologo, scrittore di casi clinici celebre in tutto il mondo. Come per molti della mia età, ha la faccia di Robin Williams, che lo interpretò nel film Risvegli. Qualche tempo fa (ma potrebbe essere qualche anno fa) avevo letto qualcosa intorno alla sua autobiografia, e quella pensavo di essermi portato a casa sotto il titolo di Zio tungsteno (trad. di Isabella Blum, Adelphi, Milano 2006). Quando, arrivato a casa, ho tolto il cellophane, mi sono reso conto che era sì autobiografia, ma solo “Part I”, come suggeriva il bel sottotitolo stampato sul frontespizio ma non sulla copertina: Ricordi di un’infanzia chimica. Volume ben fatto, con un gruppetto di immagini fuori testo (foto di famiglia, non memorabili per un estraneo) e un indice analitico, nomi e argomenti. Primo Levi vi compare due volte, con un rimando proprio alla fine del libro, in una nota che rivela Sacks lettore de Il sistema periodico. Insomma, alla fin fine mi sono consolato dei 15 euro lasciati al libraio di quartiere, anche se non ho ancora deciso se lo leggerò per intero.
Gli incontri casuali sono continuati mentre saltavo da un capitolo all’altro. Nel IX, che si intitola «Visite a domicilio», Sacks racconta di quando da ragazzino (doveva avere circa 13 anni), la domenica mattina, accompagnava il padre medico nelle sue visite a domicilio.
“Era la cosa che gli piaceva di più, perché – a parte l’aspetto medico – erano anche occasioni sociali e amichevoli; gli consentivano di entrare in una famiglia, in una casa, di conoscere tutti con le loro vicende, di vedere insomma il quadro complessivo e il contesto della condizione del malato. La medicina, per mio padre, non si ridusse mai a un puro fatto diagnostico: la malattia andava vista e compresa nel contesto della vita del paziente, della sua peculiare personalità, dei suoi sentimenti, delle sue reazioni” (p. 114).
Sono scene da interni di Londra, 1946: allora “girare in auto nella City deserta della domenica mattina incuteva tristezza, perché le devastazioni dei bombardamenti erano ovunque e l’opera di ricostruzione era appena agli inizi” (p. 115).
L’auto era “una Wolseley lenta e contegnosa, adatta a quei tempi di austerity – il razionamento della benzina era ancora in vigore”. Nei ricordi del figlio, è un papà che ama guidare, le macchine svelte – prima della guerra aveva “una Crysler, dotata di una potenza e un’accelerazione assolutamente inconsuete negli anni Trenta” – e anche le moto: “una Scott Flying Squirrel, con motore a due tempo da 600 cc raffreddato ad acqua, e uno scappamento acuto come un urlo. Sviluppava circa trenta cavalli, e più che a una motocicletta – amava sottolineare mio padre – assomigliava a un cavallo alato” (p. 117). Il piccolo Sacks decide allora che da grande si sarebbe comprato una moto anche lui (negli anni Cinquanta in effetti guidava una Norton).
“In un primo tempo, mio padre era stato in forse se fare una carriera accademica nel campo della neurologia”, ma poi decise di esercitare la medicina generale, perché pensava che “fosse più reale, più «viva»” (p. 118).
“Probabilmente lo fu ben oltre le sue aspettative, giacché quando, nel settembre del 1918, aprì l’ambulatorio nell’East End, era appena esplosa la grande epidemia di spagnola. In ospedale mio padre aveva visto feriti di guerra, ma ciò a cui aveva assistito allora non era nulla di fronte allo spettacolo orrendo di individui in preda a tosse parossistica, boccheggianti, soffocati dal muco nei polmoni, che diventano cianotici e cadevano morti stecchiti per strada. Si raccontava che una persona – uomo o donna – giovane e sana potesse morire di influenza nell’arco di tre ore dal contagio. In quei tre mesi di passione verso la fine del 1918, l’influenza fece più vittime della stessa guerra, e mio padre – ma non solo lui, ogni medico di allora – fu travolto dagli eventi, finendo col lavorare fino a quarantotto ore di fila”.
Ho pensato di entrare così – se lo vorrete – nella vostra breve serie di “letture dell’epidemia”.
Cordiali saluti dal vostro
Gigi Cameroni
aprile-maggio 2020