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Una bambina veneziana in gita a Favaro nel 1925. Da un diario di scuola

09/04/2020

di Lucio Sponza

Il nostro amico e socio Lucio Sponza ha recuperato il diario scolastico che Giulia, sua mamma, tenne negli anni 1924-25 e 1925-26, quando, tra i 13 e i 14 anni, a Venezia frequentava la scuola Giustina Renier Michiel (a San Trovaso, dove tuttora si trova). Da questi quaderni, che cerca di leggere collocandoli nel clima cittadino e nazionale di quegli anni, quando il fascismo si stava affermando come regime, Lucio ha estratto un brano dell’aprile 1925. La classe di Giulia, con alcune altre scolaresche veneziane, partecipò a una gita a Favaro, allora in campagna: vaporetto da Rialto a San Giuliano, tram fino alla piazza di Mestre, poi a piedi passando per Carpenedo, merenda e rientro, per una strada più breve, e l’approdo dove la mamma la aspetta.

I nuovi programmi delle scuole “complementari”, avviate con la riforma Gentile, prevedevano che alunni e alunne tenessero un diario – da scrivere a casa, senza vincoli di consegna – esprimendosi liberamente, su qualunque argomento, anche se di solito le annotazioni riguardavano attività scolastiche: osservazioni su lezioni e letture svolte in classe; racconti di visite a musei e altre istituzioni; resoconti di gite collettive. Queste classi “complementari” erano una estensione di due anni delle scuole elementari, che allora consistevano di cinque oppure sei anni (dipendendo dalle circostanze locali) ed erano perciò chiamate classi di “settima” e di “ottava”. Non durarono a lungo, soprattutto perché miravano a una formazione senza precisi e immediati sbocchi pratici, come invece faceva la loro alternativa per le classi sociali inferiori: la “scuola integrativa di avviamento professionale”.

Giulia (che era mia madre e suo è il diario qui considerato) era la penultima di cinque sorelle e l’unica a proseguire la scuola oltre le classi elementari di grado inferiore; le condizioni della famiglia erano modeste, con il padre muratore e con la madre che andava talvolta dai vicini a fare lavori domestici. In casa si parlava solo il veneziano – e il trevisano, da parte del padre nato a Melma, che negli anni Trenta cambiò opportunamente nome in Silea.

Il diario di Giulia, in un unico quaderno, fu scritto quando frequentava la “settima” e l’‘ottava’ presso la scuola elementare “Giustina Renier Michiel”, a San Trovaso, negli anni scolastici 1924-25 e 1925-26. Quando iniziò il corso di “settima”, nell’ottobre del 1924, Giulia aveva da poco compiuto 13 anni. Fra le gite scolastiche a cui partecipò ce ne fu una a Favaro nell’aprile del 1925, che Giulia raccontò con molti particolari, e che trascrivo integralmente – con qualche precisazione.

Indico fra parentesi ad angolo le parole ed espressioni corrette dalla maestra, e inserisco fra parentesi quadre, in corsivo, le sue correzioni; non altero quelle che non furono corrette; ritocco la punteggiatura per rendere più scorrevoli le proposizioni (ma si tratta di casi rari). Il “professor Gallo”, che viene menzionato a un certo punto, era Mario Gallo, direttore della “palestra educativa” di San Provolo – e padre di Sandro, il partigiano ucciso a Lozzo di Cadore nel settembre del 1944 a cui è dedicata una delle principali vie del Lido. (l.s.)

«Come si passò bene questa giornata…»

Lunedì 20

Stamane si doveva trovarsi alla scuola alle sette e tre quarti.

Io giunsi un po’ in ritardo accompagnata dalla mia mamma, ma feci ora lo stesso. Montammo in un vaporino sulla Riva del Carbon, <e con esso andavamo> [il quale ci doveva condurre] fino a S Zuliano.

Io ed altre mie compagne andammo a poppa del vaporino e cercammo le più allegre e le più strane canzoni, cantando allegre e felici.

Non c’era una persona che al passaggio del nostro vaporino [non] si fermasse a guardarci e sorridesse.

Com’è lungo il ponte della laguna! Vedemmo anche una colonna, sullo stesso ponte, e la nostra Sig.na ci disse che è retta in segno di ricordo per una bomba caduta là nel 1848.

Smontammo dal vaporino, attraversammo la piccola stazione e montammo in un tram elettrico che già ci aspettava.

Mi dimenticavo quasi di dire che non eravamo solamente noi, ma molte e molte altre scolare delle diverse scuole della nostra città.

Anche in tram cantammo allegramente, ed io intanto ammiravo fuori del finestrino la campagna grigia che si estendeva a perdita d’occhio. Vidi pure il porto nuovo e il forte di Marghera. Passammo anche campi di frumento, esso è ancora molto basso ed ancora è tenero, però è bello, io non l’avevo mai visto.

Dopo una gran scossa il <treno> [tram] si ferma, siamo arrivate in piazza a Mestre; noi cessiamo di cantare entusiaste di scendere.

La giornata è proprio propizia, non l’aria troppo fredda, non il sole troppo scottante e che spesso faceva capolino fra i nuvoloni che lo trapassavano.

Ci mettemo in cammino. Si è trascorsa la città e da un gran pezzo siamo in piena campagna. Qualche rara casetta, qualche carro portante fieno, paglia e anche concime, qualche canto di gallo o gallina. Il tempo sembra prometter male. Camminiamo cantando, ma ci sentiamo stanche e ogni tanto si rivolge questa domanda alla Sig.na: “Manca ancora molta strada?” Finalmente vediamo un campanile, il quale ci rallegra un poco perché pensiamo di esser vicine alla nostra meta. Ma niente. Ci sentiamo ancora più stanche, però siamo in paese, non più in piena campagna.

Tutti si fermano, ci guardano con un sorriso che <li> sfiora <sulle> [le loro] labbra. Noi domandiamo a questo e a quello quanto ancora manca per arrivare a Favaro. Abbiamo delle risposte svariatissime che ci fanno in parte ridere, ma in parte mancar di forze e inquietarci.

Finalmente si arriva. Sarà quasi mezzogiorno. Si va a prendersi da bere e poi si va in un gran prato, chiuso dai reticolati.

Ci <sedi>[metti]amo a sedere e prima di mangiare guardiamo tutti quei fanciulli che dal di fuori ci guardano curiosi.

Il professor Gallo ci fece la fotografia mentre si faceva merenda; poi un’altra tutte in gruppo.

Si gioca a nostro piacere. Ma ecco il tempo di ricreazione già passato e ci mettiamo in cammino per la partenza. Tutti i fanciulli che ci guardavano ci vengono dietro e delle bimbe molto gentili fanno dei mazzetti di fiori da campo e ce li vengono a regalare; noi li accettiamo con vero piacere e riconoscenza. Però tutta la strada che abbiamo fatto il mattino, ossia sette Km, ora la facciamo in tre chilometri solamente.

Arrivate alla stazione di Mestre montiamo in trams e partiamo. Si canta come al mattino, come pure in vaporino però quì si ci diverte molto e spesse risate risuonano nell’aria cupa del[la] <mare> [laguna].

Io mi sento un po’ stanca ma contenta.

Siamo arrivate, vedo subito il caro volto della mia cara mamma e della mia sorellina che mi aspettano.

Oh, come si passò bene questa giornata!… 

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Archiviato in:La città invisibile, Lucio Sponza Contrassegnato con: diario, documenti, Favaro, pagine scelte, scuola, Venezia

Interazioni del lettore

Commenti

  1. mauro pitteri dice

    12/04/2020 alle 19:50

    Commuovente. Mi ha colpito la frase «Vidi pure il porto nuovo e il forte di Marghera». sembra che queste bambine o le loro maestre non avessero ancora individuato nel 1925 il porto come Porto Marghera.

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