di Elvio Bissoli
Da alcuni anni storiAmestre organizza un brindisi per la Liberazione, preceduto dalla visione di alcuni spezzoni di film sulla Resistenza, e la guerra e il fascismo, introdotti brevemente dal nostro socio Elvio Bissoli. La quarantena non ci fa rinunciare a questa recente tradizione, ma dobbiamo trasferirla sul nostro sito. Elvio ci parla del film Il Terrorista, di Gianni De Bosio, uscito nel 1963. Buon 25 aprile, e salute.
Nel vasto panorama dei film dedicati alla Resistenza Il Terrorista è stata un’opera anomala e scomoda per il tempo in cui è stata realizzata.
È un film anomalo, come anomala è stata la Resistenza a Venezia rispetto alle caratteristiche e alle forme della lotta di Liberazione condotta nelle aree rurali e montane del Veneto.
Non fu amato dalla sinistra, quando uscì nel 1963, perché, per la prima volta al cinema, metteva in luce le divisioni, a volte aspre, tra le forze politiche che dirigevano la Resistenza. Era scomodo perché strideva con l’immagine epica ed eroica della Resistenza, ancora prevalente negli anni Sessanta del Novecento per la tenacia con la quale i partiti della sinistra rispondevano alla controffensiva moderata e reazionaria, amplificata dalla collocazione internazionale dell’Italia negli anni della Guerra Fredda.
Il cinema degli anni Sessanta riprendeva con vigore il tema resistenziale dopo il precedente periodo censorio e oscurantista, ma lo faceva abbandonando la visione celebrativa e cristallizzata della lotta contro il nazifascismo, anticipando quello che le ricerche storiografiche avrebbero fatto solo dal decennio successivo. La letteratura aveva cominciano anche prima, ma proprio a ridosso del Terrorista uscirono libri fondamentali di Cassola, Fenoglio e Meneghello, mentre Calvino ripubblicava Il sentiero dei nidi di ragno (1947) con una celebre prefazione in cui parlava di Fenoglio.
La narrazione della Resistenza nel film di Gianfranco De Bosio (regista veronese, uno dei grandi maestri del teatro italiano) è ben lontana dall’agiografia edificante costruita immediatamente dopo la Liberazione, dove a imporsi era stato il mito dell’unità patriottica che guidava un vasto movimento di un “popolo in armi”, della corale e diffusa rivolta morale e armata contro il fascismo e l’occupazione nazista, saldamente unita in tutte le sue componenti politiche. Difficile, pertanto, che questa rappresentazione potesse essere condivisa da chi, nel dopoguerra, si ergeva a custode della memoria resistenziale e ancora restio a misurarsi con lo scomodo fenomeno dell’esteso consenso raggiunto dal fascismo prima del conflitto mondiale.
Il Terrorista si misura costantemente con il dilemma che il timore della rappresaglia nazifascista, soprattutto quella contro la popolazione civile, giustificasse l’inazione da un lato e, dall’altro, la volontà di non piegarsi o intimidirsi di fronte alla barbara pratica di vendetta, legittimando implicitamente il diritto a esercitare la pratica del terrore.
Nodo etico e politico tanto più divaricante e angosciante di fronte alla particolare natura della Resistenza all’interno delle città condotta dai Gruppi di Azione Patriottica (GAP), così diversa dall’esperienza collettiva ed esaltante – pur tra mille difficoltà e sofferenze – della lotta partigiana in montagna e del confronto in campo aperto con il nemico.
L’azione gappista, infatti, il più delle volte imponeva l’uccisione a sangue freddo e il terrorismo (come l’attentato di Ca’ Giustinian ricostruito nel film) e costringeva i militanti alla solitudine, al rispetto delle ferree regole della clandestinità e a un isolamento talvolta angosciante, stante la maggior capacità di controllo delle forze poliziesche, le difficoltà di movimento e il proliferare di spie e delatori.
Il Terrorista è la messa in scena, senza remore e dalla forte drammaturgia, delle discussioni e delle contrapposizioni tra i partiti componenti il CLN veneziano, delle diverse strategie di lotta da adottare o da rifiutare, ma ancor più dell’attendismo e prudenza inerte della componente liberale e democristiana e il pragmatismo comunista tra rispetto formale dell’unità del CLN e salvaguardia della propria libertà d’azione.
Il ruolo stesso della Chiesa nei confronti del fascismo di Salò è un altro aspetto affrontato dal film, con un clero nella sua maggioranza non ostile al movimento partigiano e una gerarchia ecclesiastica quanto mai spaventata dal possibile sbocco rivoluzionario e comunista della lotta di Liberazione.
In qualche modo l’opera di De Bosio è anche la rivendicazione del ruolo delle formazioni Gielliste e del Partito d’Azione nella Resistenza, sicuramente il più importante dopo quello dei comunisti, ma presto ridimensionato e oscurato dall’aspro scontro politico, nei primissimi anni della Repubblica, tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista dopo la fine dell’unità antifascista.
La militanza di Gianfranco De Bosio nelle fila della brigata guastatori azionista “Silvio Trentin” ha motivato non poco il regista all’esigenza di rendere omaggio al suo comandante Otello Pighin.
Pighin, ingegnere e assistente all’Università di Padova, è stato tra i primi organizzatori della Resistenza nel Veneto con il nome di battaglia di “Renato”, ideatore e autore di attentati contro i nazifascisti e di importanti atti di sabotaggio a vie di comunicazione e depositi militari (il cui valore e importanza furono riconosciuti dalle stesse forze Alleate).
De Bosio trasporta la vicenda di Otello Pighin da Padova a Venezia (il protagonista del film, magistralmente interpretato da Gian Maria Volontè, è indicato con l’appellativo di Ingegnere), collocando il centro dell’organizzazione politica della Resistenza veneta non più al Palazzo del Bo’ a Padova, ma presso l’Università Ca’ Foscari.
L’altra grande protagonista del film è Venezia, fotografata e percorsa nei suoi spazi più nascosti, vuoti e spettrali, nei luoghi di lavoro (come l’Arsenale, cuore produttivo pulsante della città), negli insediamenti popolari.
Una Venezia avvolta in un’atmosfera opprimente e livida, così come lugubri e feroci sono stati i seicento giorni della repubblica di Salò, sfigurati da un fascismo morente, rancoroso e vendicativo, ossessionato dal tradimento. Un fascismo consapevole della sua sconfitta e di essere, nei fatti, un protettorato tedesco, privo di autonomia e indipendenza, se non per il sostegno alle operazioni naziste contro le bande partigiane e le rappresaglie sulla popolazione civile.
Scheda del film
Il Terrorista, di Gianfranco De Bosio, Italia/Francia (1963)
Durata: 105 minuti
Con: Gian Maria Volonté, Tino Carraro, Philippe Leroy, José Quaglio, Giulio Bosetti, Carlo Bagno, Roberto Seveso, Anouk Aimée, Raffaella Carrà, Carlo Cabrini, Franco Graziosi, Mario Valgoi, Neri Pozza
Soggetto e Sceneggiatura: Gianfranco De Bosio, Luigi Squarzina
Fotografia: Alfio Contini
Musica: Piero Piccioni
Montaggio: Carlo Colombo
Alcuni brevi spezzoni si possono vedere su youtube, per esempio qui e qui, nonché le scene finali.
La sceneggiatura del film fu pubblicata nello stesso 1963 dall’editore Neri Pozza (che fu nel cast, interpretava l’avvocato antifascista Pucci, membro del CLN di Venezia, nome di battaglia “Alfonso”): Gianfranco De Bosio, Luigi Squarzina, Il terrorista, con una prefazione di Ferruccio Parri, un saggio di Tino Ranieri e una rassegna della critica, Neri Pozza, Vicenza 1963.
Letture
Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991.
Santo Peli, Storia della Resistenza in Italia, Einaudi, Torino 2006.
Id., Storie di GAP. Terrorismo urbano e Resistenza, Einaudi, Torino 2014.
Fabio Brusò dice
Cari amici e care amiche, tutti gli anni ci riprovano. Non ci riescono proprio ad accettare sta festa. Vengono fuori così a freddo, in gamba tesa, tu sei lì tranquillo, dai scontata sta cosa, ti viene ancora il groppo, pensi ai tuoi Meneghello, Fenoglio, a tuo papà che odiava la guerra, le divise, i fassisti. Pensi al bene al male, ben distinti. Senza retorica s'intende, ben presente le porcherie, le contraddizioni, le convenienze. Ma ben convinto di stare dalla parte del bene e di vivere in mezzo a tanta gente che la pensa come te, e dare per scontata sta cosa. E invece no, escono allo scoperto e sono tanti. Contrappongono la Costituzione al Leon de San Marco, il bocolo alla Resistenza (cosiddetta tradizione veneziana in cui l'omo, che xè omo, regala la rosa alla sua donna), l'inno di Mameli a Bella ciao. Alcuni proprio per fascismo altri per superficiale conformismo. Ma noi ostinati, continuano a parlare ai nostri figli di Liberazione grazie anche a storiAmestre. Grazie per queste perle di Elvio che volentieri condivido come regalo per miei amici. Lunga vita a storiAmestre!!
Carlo Cappellari dice
Bellissima la proposta dei curatori del sito e la presentazione di Elvio ricca e stimolante. Approfitto per ricordare una vicenda legata a Otello Pighin "Renato" impersonato da Volontè. "Renato" venne ferito e catturato il 7 gennaio 1945 a Padova in via Rogati,e portato a villa Giusti in via S. Francesco a Padova quasi di fronteal convento di S. Francesco dove morì tre giorni dopo. In villa Giusti operava la banda Carità, capeggiata da Mario Carità e composta da un a ventina di soggetti, tutti fiorentini, a parte un sottufficiale delle SS. La banda si dedicava agli interrogatori dei partigiani catturati per arrivare a catturare il vertice del CLN Veneto. L'operazione riuscì ma non attraverso le confessioni estorte ai quasi 130 partigiani e partigiane torturat* ma a causa delle delazioni dei collaborazionisti. Il processo alla banda Carità, tenutosi frettolosamente nell'inverno del 1945, non aprì alcuna finestra sulla zona grigia della delazione senza la quale non sarebbe stato possibile decapitare il vertice del CLN veneto. Del resto a metà degli anni '80 ho avuto l'occasione di conoscere il Cancelliere che firmò la sentenza di Padova il quale ancora rivendicava, a distanza di quarat'anni, la sua fede e militanza fascista. Grazie ai curatori del sito e a Elvio cultore della settima arte. Carletto