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In città. Nei giorni della quarantena. 2

02/04/2020

di Claudio Pasqual

Secondo appuntamento con le cose viste a Mestre (zona centro) nel periodo di quarantena.

In questi giorni di discussioni sulle passeggiate permesse intorno a casa, con i bambini e con i cani, ho notato una crescita esponenziale nel numero di cacche di cane lasciate sui marciapiedi. Restando in tema di deiezioni, nelle mie sgranchite di gambe, sotto i portici e la casetta al centro di piazzetta Coin ho avvertito un forte odore di orina. Umana, questa. Non dimentichiamoci che c’è in giro chi una casa non ce l’ha, e con  i locali pubblici e il bagno del Centro Le Barche chiusi non ci sono molti modi per sgravarsi.

In un punto vendita mestrino di una catena nazionale di prodotti biologici si sono organizzati in maniera “scientifica”. All’ingresso ti accoglie uno del personale in mascherina che ti invita a disinfettare le mani con un prodotto messo a disposizione della clientela. Il liquido è contenuto a un contenitore fissato a mezza altezza a una piantana. Si deve poggiare il piede sul piedistallo (c’è il disegno dell’impronta di una scarpa),  così la piantana, che ha una base ristretta, non cade e basta dunque la pressione di un dito sul pulsante del dispenser per erogare il prodotto. Anche qui alle casse sono state aggiunge delle lastre di plexiglas paragocce in corrispondenza della postazione del cassiere.

Davanti al supermercato Alì di piazzale Candiani si formano lunghe code di compratori in attesa di entrare, perché per ragioni di sicurezza l’accesso è contingentato, c’è una guardia giurata che regola gli ingressi. È una fila lunga ma non perché le persone siano tante; il fatto è che mantengono l’una dall’altra una distanza ben maggiore del canonico metro. C’è un silenzio di tomba, assolutamente insolito per una coda italiana, ma non dipende solo dall’atmosfera plumbea di questi giorni; è che ognuno è solo, perché non è ammessa la spesa in compagnia. È una fila lentissima, perché una volta dentro serve tempo, meglio non andare troppo spesso al supermercato e mescolarsi agli altri, non è prudente, quindi le spese sono lunghe. Eppure è una fila disciplinata e paziente, solo a un certo punto smette di andare dritta e continuare in linea retta in via Antonio da Mestre, piega ad arco sul marciapiede di piazzale Candiani.

Il vetro del portone d’ingresso del mio palazzo è andato in frantumi. I condomini dicono che hanno sentito un forte rumore verso le otto della sera prima. Forse qualcuno l’ha rotto o forse è successo accidentalmente, tirava un vento fortissimo e il portone magari si è chiuso con troppa violenza. Sono venuti i vetrai a sostituirlo. Alla lastra caduta era appeso con lo scotch un disegno con l’arcobaleno e la scritta “andrà tutto bene”. Gli operai lo hanno riappiccicato dov’era.

Pochi giorni prima che scattasse ufficialmente l’allarme coronavirus, ma  la malattia già allignava tra noi, il mio orologio da polso si è fermato. Si era scaricata la batteria. Una semplice coincidenza, ovviamente, ma evocativa. In questo tempo senza tempo, sempre uguale, circolare, la misura del tempo è superflua; il sonno e la veglia, il momento dei pasti scandiscono le giornate, le lancette possono restare immobili. E poi i negozi dove cambiare la pila sono chiusi.

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