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L’importanza delle mappe mentali. A proposito del Quaderno 17

15/12/2019

di Piero Brunello

A fine novembre è uscito il Quaderno di storiAmestre 17, Mestre è un goniometro, raccolta di scritti di Piero Brunello. Alla trentina di pezzi pubblicati, mancava ancora una introduzione; l’opportunità è venuta dalla prima presentazione pubblica del Quaderno, durante l’incontro del 12 dicembre 2019: pubblichiamo qui il testo dell’intervento. 

1. Questo Quaderno raccoglie una trentina di scritti di occasione dal 1986 a oggi. Sono di diverso genere (dall’intervista al discorso in pubblico) e di diverso argomento (dalla difesa degli spazi pubblici al ricordo di un disertore), ma mi sembra che uno dei temi più presenti sia una riflessione attorno alle mappe mentali.

Mi sono accorto dell’importanza delle mappe mentali al primo convegno di storiAmestre nel 1988, perché in un laboratorio i partecipanti erano invitati a disegnare lo spazio urbano conosciuto e frequentato, segnando punti di riferimento, confini, luoghi che comunicavano sensi di insicurezza, di protezione, di famigliarità eccetera. Così ho scoperto il libro di Kevin Lynch, L’immagine della città1.

La descrizione delle mappe mentali, il cui modello inimitabile è il libro di Italo Calvino, Le città invisibili, è un esercizio politico. Mi limito, per i luoghi in cui viviamo, a un paio di esempi.

Quando è andato a fuoco il teatro La Fenice, le istituzioni coinvolte hanno pensato a costruire un tendone provvisorio al Tronchetto pur di non passare il ponte della Libertà. Attorno a questa scelta ci fu un consenso diffuso se non unanime e trasversale, anche da parte di chi pensava che Venezia e Mestre costituissero in realtà una sola città (centro storico + normale espansione urbana). 

Il secondo esempio che prendo è recente e viene da un commento scritto mentre ancora si stava votando il referendum per la separazione amministrativa (Alberto Ferrigolo, A chi conviene (e a chi no) che Venezia e Mestre si dividano, online, datato 1 dicembre 2019, ore 16,02), in cui l’autore (anche qui non mi interessa l’opinione personale ma il genere di discorso), definisce il sindaco di Venezia “forzista e uomo di centrodestra […] nato a Mirano nel profondo entroterra mestrino e residente a Mogliano, lungo la via del Terraglio, antiche ville Venete con Villa Furstenberg, la strada che conduce a Treviso”. Si potrebbe osservare che la rappresentazione di Mogliano è un po’ datata, diciamo, ma non voglio discutere l’affermazione. Il passaggio sulle ville venete mi pare invece interessante per la mappa mentale che rivela, in altre parole perché ci dice che, visto da Venezia, l’attuale sindaco viene classificato nei termini della storica contrapposizione Città-Campagna, Dominante-Terraferma.

2. Nel referendum di pochi giorni fa per la separazione amministrativa tra Venezia e Mestre, uno degli argomenti a favore del mantenimento di un Comune unico è stato che “Mestre e Marghera sono figlie di Venezia”. Lo ha sostenuto per esempio Mario Isnenghi, in un intervento poi ripreso da vari giornali. Anche qui non sto a discutere se l’affermazione sia vera o in che misura. M’interessa la simbologia. 

Nel secondo incontro dell’Atlante delle trasformazioni, Luca Pes ha spiegato che “la più grande Venezia” pensata da Volpi considerava Marghera (e non Mestre) come luogo di espansione di Venezia, e ha mostrato la foto di una lapide collocata nella facciata del municipio di Pellestrina in cui nel 1923 Pellestrina chiede e ottiene di far parte di Venezia, definita “madre” di una famiglia lagunare, nell’ambito di “una più grande Venezia”. 

L’ideologia della “più grande Venezia” concepita da Volpi e dagli ambienti industriali che promossero Porto Marghera immaginavano cioè il rapporto nei confronti di Venezia in termini del rapporto filiale che si deve alla madre. 

Ancora oggi si può cogliere questo sentimento a Marghera e in Terraferma, e non è solo il risultato di ideologie o politiche pubbliche, ma un prodotto della mobilità delle famiglie nel corso di un secolo, e può assumere altri linguaggi, secondo i periodi storici. 

Nei primi due referendum per esempio, del 1979 e del 1989, in anni cioè di lotte operaie a Porto Marghera, i partiti di sinistra accusavano i fautori della separazione di voler “estromettere la classe operaia alla guida della città”2. Anche in questo caso non cerco la corrispondenza o meno dell’affermazione con la realtà, bensì la simbologia che rivela. Che i lavoratori della terraferma possano difendere Venezia dal Capitale (e dal Turismo) a me sembra cioè una variante, consona al linguaggio dell’epoca, del vecchio appello al sentimento di amore filiale verso la madre.

Sentimento filiale in Terraferma: ma che cosa dire del sentimento materno a Venezia? Ho già avuto modo di osservare che i processi di mobilitazione cittadina accelerati a Venezia dall’acqua alta del 12 novembre hanno immaginato, forse per la prima volta, i rapporti tra Venezia e Mestre in termini di coppia, per una parte dei cittadini giunta all’esaurimento della convivenza. Un risultato si è già visto in Terraferma nelle persone che, per non abbandonare gli amici e le amiche che a Venezia votavano per il Sì al referendum, non sono andate a votare. Conseguenza paradossale, davvero. 

Altre conseguenze sul piano simbolico potranno mettersi in moto nel futuro, quando a Venezia i legami con Mestre e la Terraferma potrebbero essere sentiti (e abbiamo visto che già lo sono) come un peso, se non un fastidio. A questo sentimento contribuisce il fatto che ora la città affida la propria salvezza (e l’attesa di finanziamenti) non ai propri cittadini, né a quelli della Terraferma, ma al fatto di essere unica, patrimonio dell’Umanità, non unita a Mestre da un ponte ma collocata in una dimensione dello Spirito tra Oriente e Occidente e così via.

3. Nel Comune di Venezia alla fine del 2018 erano residenti più di 37mila persone con cittadinanza straniera, di cui oltre 31mila in Terraferma, cioè 1 ogni 6 residenti. Sono persone invisibili, almeno finché si adattano a un mercato del lavoro segmentato per nazionalità e per genere com’è quello attuale, o finché rimangono dentro lo spazio del folclore loro assegnato (musica, cibi, riti). Ma quali sono le loro mappe mentali? Non so dire: tra le altre cose non votano.

Mestre, intendendo con questo nome l’immediata Terraferma a ridosso della Laguna, conferma quel che scrive Italo Calvino in un celebre passo de Le città invisibili3: divinità di due specie proteggono la città. Ci sono gli dei che seguono le famiglie nei traslochi e si stabiliscono nei nuovi alloggi, questi sono i Penati. Ci sono poi gli dei che fanno parte della casa e delle loro pertinenze, e quando la famiglia che ci abitava se ne va, loro restano coi nuovi inquilini, questi sono i Lari. I Lari considerano i Penati degli ospiti provvisori, il più delle volte importuni e invadenti: e poi non li conoscono, perché i Penati si nascondono nella cucina di casa o attorno al televisore, spingendosi tutt’al più nei pianerottoli dell’entrata o vicino al campanello della porta d’ingresso.

Che cosa può fare un’associazione di storia come la nostra? Prendere per buono (come scrivo anche in un pezzo pubblicato in Mestre è un goniometro) quello che osserva Hans Magnus Enzensberger, La breve estate dell’anarchia. Vita e morte di Buenaventura Durruti, a proposito del fatto che la città è una catena di liberi narratori e di libere narratrici, e che chiunque racconti una storia s’inserisce a un certo punto delle narrazioni e le influenzerà, senza avere l’ultima parola.

4. Prima della Città metropolitana nel Comune di Venezia c’erano 13 quartieri, con i rispettivi consigli di quartiere: ma c’è stato un tempo, come ci ha mostrato Luca Pes nel secondo incontro dell’Atlante delle trasformazioni, in cui erano il doppio. Poi sono state istituite le Municipalità – per la precisione quattro in tutto per la Terraferma, a cui mi limito. Ora le Municipalità sono esautorate, di fatto cancellate. Ricordo quello che ho già avuto modo di dire, cioè che per una parte di cittadini il Comune unito (Venezia e Terraferma) era legittimato dall’esistenza delle municipalità.

Eppure le attività sportive continuano a svolgersi entro gli ambiti dei vecchi quartieri, e quelle assistenziali e ricreative entro i confini delle parrocchie, che grosso modo ricalcano i confini dei quartieri secondo fisionomie che Domenico Canciani aveva illustrato in un numero della rivista Altrochemestre. Voglio dire che le mappe mentali che suddividono la città in quartieri e/o in municipalità strutturano ancora in larga parte le reti di relazione e le attività pubbliche basate sull’associazionismo. Riusciamo a pensare ai Celestini fuori di Chirignago? O a lecalamite fuori di Marghera? O a I Sette Nani fuori della Cipressina? Del resto basta vedere come Un’altra città possibile – lo si è notato chiaramente nell’assemblea al Vega a cui anche sAm ha preso parte – sia composta in grande maggioranza da residenti a Venezia (senza qui considerare l’estrazione sociale). 

Questo per dire che c’è uno scollamento completo tra il modo in cui si attiva la società civile e le attuali ripartizioni amministrative, sia quelle che rendono possibile la partecipazione dei cittadini sia quelle che decentrano i servizi comunali. Risultato? I rapporti tra cittadini e associazionismo da un lato, e amministrazione comunale dall’altro, si vanno strutturando per vie clientelari: possibilità di rapporto diretto con il sindaco o con un suo delegato, avere in rubrica il numero di telefono giusto, sapere a chi rivolgersi personalmente in un ufficio, scoprire se è possibile pagare meno la tariffa per l’uso del Candiani e così via. Senza ricordare quello che ho già osservato (anche questo in un pezzo raccolto in Mestre è un goniometro) che non ci sono spazi per iniziative pubbliche, e che quelli che ci sono passano sotto il vaglio di un ufficio di censura, non fosse altro perché ogni iniziativa (“evento”) per essere approvata deve accettare di far parte di una “città in festa”.

5. Infine i ringraziamenti. Come per ogni Quaderno uscito dal 2015 – questo è il numero 17 della serie, il primo risale al 2005 –, il merito va alla redazione, e cioè a Filippo Benfante e Giannarosa Vivian, per la cura e l’attenzione che ci mettono ogni volta per far uscire una pubblicazione in una forma impeccabile. 

Sono grato a Lanfranco Lanza per l’acquerello in copertina e per il disegno a matita che ha fatto rivivere una fotografia pubblicata nel sito di storiAmestre.

Per i pezzi ripresi da Altrochemestre voglio ringraziare Luca Pes (autore delle pagine di storiAmestre per questo Quaderno), a cui devo il gusto per uno sguardo estraniato che aiuta a non farsi condizionare dalle persone che contano. 

Dal momento che molti dei pezzi del libro sono usciti per la prima volta nel sito di storiAmestre, mi fa piacere ringraziare Filippo, che discute e collabora alla scrittura di tutte le versioni che precedono quella definitiva: il suo ruolo spesso non è solo di editor ma di coautore.

Altri debiti contratti nel corso degli anni sono riconosciuti nel libro.

  1. Prima edizione italiana Marsilio, Padova 1964. [↩]
  2. Paola Sartori, Il referendum del 1979, in Associazione storiAmestre, Mestre infedele. Confini comunali in terraferma e rapporti tra Mestre e Venezia, a cura di Piero Brunello, Nuova Dimensione, Portogruaro 1990, pp. 86-94, la cit. a p. 92. [↩]
  3. Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 1997, pp. 78-79. [↩]

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