di Piero Brunello
Mentre è in corso il referendum consultivo per la divisione del territorio comunale di Venezia, Piero Brunello ha messo in ordine alcune delle note utilizzate per la discussione di martedì 26 novembre, in occasione del secondo seminario permanente Atlante delle trasformazioni.
Come sono cambiate le mappe mentali del territorio del Comune di Venezia nel corso dei cinque referendum per la separazione del Comune (1979-2019)? Per queste note non prendo in esame i contenuti del quesito, e cioè le ragioni del Sì e del No. Scrivo quando non si conoscono ancora i risultati della consultazione. Mi chiedo invece se e in che modo i referendum abbiano modificato la percezione dei luoghi (confini, dentro-fuori, noi-loro).
1. Nel 1979
Il referendum del 1979 proponeva di suddividere il comune in due: Venezia ed Estuario da una parte, Mestre e terraferma, Marghera compresa, dall’altra (Sartori 1990). Niente a che vedere con il ripristino dei vecchi confini comunali modificati tra il 1917 e il 1926 (Barizza 1990). La suddivisione proposta non rispettava nemmeno le ripartizioni in cui sia l’Ufficio Statistica del Comune sia gli urbanisti suddividevano il territorio comunale, e che erano tre: Venezia, Estuario, Terraferma (Pes 2002).
Dietro la visione bipartita c’era la rinascita di una «nuova “ideologia veneziana”» (ivi, p. 2401). Dopo l’acqua alta del 1966 infatti Marghera, e per estensione la terraferma, diventava una minaccia all’equilibrio della laguna e quindi all’esistenza di Venezia (Mencini 1995), un po’ come per secoli erano stati sentiti i fiumi. Emblema della “riscoperta della dimensione acquea” della città fu l’invenzione della Vogalonga, che si tenne per la prima volta nel 1975 il giorno della Sensa, data simbolica perché in quel giorno un tempo si festeggiava lo sposalizio di Venezia col mare (Pes 2002, p. 2402).
La suddivisione territoriale restava ancora in secondo piano rispetto all’appartenenza politica, basata su partiti nazionali: che il sindaco di Venezia Mario Rigo (Psi) fosse di Noale non fu considerato rilevante ai fini della discussione. Allo stesso modo l’accusa dei partiti di Sinistra ai fautori della divisione del Comune di voler “estromettere la classe operaia alla guida della città” (Sartori 1990, p. 92) dimostra come un’appartenenza territoriale potesse essere ancora tradotta in un linguaggio di classe.
Entrambi gli schieramenti – per il Sì e per il No – condividevano l’immagine bipartita del territorio comunale, cosa che però non sembrava affatto ovvia al Cavallino, dove i Sì alla separazione ebbero una buona percentuale, e che vent’anni dopo promosse uno specifico referendum dopo il quale divenne comune autonomo (1999).
Ecco i dati. A Venezia Centro Storico risultavano 97mila residenti, 50mila circa nell’Estuario e poco meno di 210 mila in Terraferma. Il 72% degli elettori circa (155mila voti) si espresse per il No, il 27% circa (59mila voti) per il Sì. Percentuale elevata di No a Marghera-Catene (76%), a Malcontenta (84%) e a Favaro (76%). Su 59mila voti per il Sì, 37mila furono espressi nei seggi del vecchio Comune di Mestre (quartiere Piave, San Lorenzo e Carpenedo). L’immagine bipartita del territorio comunale fu rifiutata in larga maggioranza nei luoghi che facevano parte della Grande Venezia immaginata da Volpi, e/o dove si era avuto una consistente immigrazione da Venezia. D’altro canto i voti per il Sì in Terraferma riflettevano la mappa mentale del vecchio Comune di Mestre assorbito da Venezia nel 1926.
2. Nel 1989
Il referendum del 1989 ribadì la visione bipartita del territorio comunale proposta nella consultazione di dieci anni prima: Mestre e terraferma da una parte, Venezia ed Estuario dall’altra. Benché si potesse già prevedere che lo sviluppo del turismo a Venezia avrebbe riversato a Mestre “una parte crescente delle strutture ricettive” (Zanetto 1980, p. 51), Venezia (con isole ed Estuario) e Mestre (intesa come Terraferma) sembravano a entrambi i fronti – per il Sì e per il No – due realtà distinte (da amministrare in modo unitario o no).
Il No prevalse, ma la percentuale scese al 57%, mentre il Sì salì al 42%. Di molto superiore a tutto il resto del territorio comunale il Sì a Cavallino Treporti, con il 74%. Il No si ebbe maggiormente ancora una volta a Marghera-Catene e Malcontenta, e a Favaro: ma anche in questi quartieri la percentuale scese rispettivamente al 64% (Marghera-Catene, Malcontenta) e attorno al 60% (Favaro).
Nel dibattito comparve l’immagine della futura città metropolitana (in Italia ancora non ne esistevano), di cui avrebbe fatto parte, in un contesto più ampio, sia Venezia sia Mestre (unite o divise che fossero). La bipartizione territoriale rimaneva ma veniva compresa in un territorio più vasto, che si andava allargando verso l’interno della terraferma e che però non aveva ancora una raffigurazione (né un simbolo).
3. Tra gli anni Novanta e Duemila: l’area metropolitana
Grazie a Luca Pes, la rivista “Altrochemestre. Storia e documentazione del tempo presente” (1994-1998) mise a fuoco un territorio metropolitano in cui la cintura di forti militari che costituivano il vecchio campo trincerato attorno a Mestre aveva lasciato il posto a una catena di centri commerciali entro una città diffusa fatta di vecchi centri storici, villette e capannoni. Negli stessi anni un gruppo musicale emergente sulla scena locale, i Lagunablè, si definiva “mestrepolitano”, mentre i testi dei Pitura Freska attraversavano il territorio comunale da Marghera al Lido.
Sempre su “Altrochemestre”, un dizionarietto per analizzare le trasformazioni delle mappe mentali fu suggerito da Filippo Benfante il quale, ripercorrendo le vicende delle tifoserie calcistiche a Venezia e a Mestre, distingueva tra Mestrini (fedeli al Mestre e all’arancione), Veneziani (attaccati ai colori neroverdi) e Metropolitani, seguaci del VeneziaMestre o Unione costituitosi nel 1987 (colori arancioneroverde, con prevalenza dell’arancioverde). I successi calcistici del VeneziaMestre (o Unione) tra il 1998 e il 2000 diffusero un senso di appartenenza metropolitano che accomunava luoghi, segnava confini territoriali e forniva una serie di simbologie attorno a cui riconoscersi, ben al di là dei confini amministrativi ufficiali (Benfante, Brunello 2001).
Tre anni dopo il clima metropolitano doveva essere ancora molto presente, se il quarto referendum, che si tenne nel 2003, non raggiunse il quorum. (Nel terzo referendum, tenutosi nel 1998, si era votato solo a Cavallino e Treporti.)
4. Nel 2019
L’immagine bipartita del territorio tra una città d’acqua, come è invalso l’uso di dire, e una città di terraferma, viene ora riproposta nel quinto referendum, che si tiene oggi 1 dicembre 2019. Rispetto al referendum del 1989 rimane esclusa da questa mappa mentale l’Estuario, e continua a non farne parte Chioggia, che pure condivide con Venezia e le isole i problemi di difesa della laguna.
A essere cambiati sono i numeri relativi alla popolazione. La Terraferma conta più o meno lo stesso numero di residenti del 2000 (cioè un po’ meno di 180mila), ma questo dato nasconde una migrazione verso i comuni della cintura e una contemporanea immigrazione di stranieri: dei 180mila residenti infatti, 31mila sono stranieri, circa 1 su 6, che però non votano, e di cui non conosciamo le mappe mentali. Com’è noto, Venezia si spopola: 97mila residenti all’epoca del primo referendum, 79mila nel secondo, 66mila nel 2000, 52mila oggi. I residenti sentono di essere residuali ed espropriati della propria città. Ma anche qui i dati non tengono conto di chi ci abita o ci lavora (studenti, addetti alle attività turistiche) e che, al pari degli stranieri, non ha voce (o non è previsto che ce l’abbia).
L’orizzonte metropolitano, presente nel referendum del 1989 quando la città metropolitana non c’era ancora, è praticamente scomparso. Non è mai stata un’immagine forte: manca una rappresentazione visiva, manca una partecipazione politica, mancano simboli. Inoltre l’attuale amministrazione comunale di Venezia ha esautorato le municipalità. Il fatto che il decentramento garantito dalla città metropolitana possa essere cancellato dal primo sindaco che passa ha rotto il patto che, per una parte almeno dei cittadini, legittimava l’unità del Comune.
Se l’immagine bipartita del territorio è quella proposta fin dal 1979, i significati che vi sono attribuiti e il contesto in cui avviene la consultazione referendaria sono molto diversi.
La sequenza di acque alte che dal 12 novembre colpisce Venezia e le isole, senza accompagnarsi a eventi simili in terraferma, ha mostrato che la laguna più che unire divide le esperienze urbane. Il grande impegno dei cittadini per risollevarsi dopo le grandi mareggiate a Venezia non ha per forza di cose oltrepassato il Ponte della Libertà, così com’era avvenuto, dall’altra parte del Ponte, per le iniziative dei Comitati degli allagati in Terraferma negli anni 2006-2007 e successivi (Acque alte a Mestre e dintorni 2013).
Ma è sul piano simbolico che sono avvenute le trasformazioni più rilevanti. L’affetto della terraferma per Venezia è sempre stato di natura filiale. Venezia ha risposto in molti modi, ma riconoscendosi comunque in un ruolo materno. Ora non più. Le catastrofe naturali (a volte basta una nevicata) mettono in moto rapporti di vicinato e gesti di muto aiuto, e così è avvenuto e sta avvenendo a Venezia, dove è già in atto da tempo un attivismo civico più vivace di quello di Mestre. L’acqua alta del 12 novembre ha accelerato processi di mobilitazione cittadina, che per la prima volta, mi pare, immaginano i rapporti tra Venezia e Mestre come rapporti tra moglie e marito o comunque in termini di coppia. C’è un video che coglie bene questo cambiamento, il titolo è Se Mestre e Venezia si lasciano (prodotto da “Frullatorio”); lo si vede online. Nel video è Venezia a voler lasciare Mestre, per pensare alla propria vita, senza calcoli di costi e benefici, ai quali invece l’uomo è attaccato. Rimanendo in questa simbologia, a Venezia il voto per il Sì appare così l’ultima possibilità per prendersi cura di una città sottratta agli abitanti (che il sindaco adesso non sia veneziano diventa un argomento) in una fase di impossibilità di altre forme di partecipazione democratica. Vista da Mestre o a Marghera, la conseguenza è paradossale. Se i tuoi amici o le tue amiche veneziane votano per la separazione, chi vive a Mestre, per sentirsi veneziano e non abbandonare gli amici, dovrebbe votare sì; e se vota no il suo sentimento viene sentito da Venezia come un peso. Non sarà che una parte di chi si astiene in Terraferma lo fa perché coinvolto in un conflitto di lealtà? Certo, fin qui ho esaminato solo un aspetto. Ce ne sono altri, per esempio i piani simbolici implicati nel voto per il No sia a Venezia sia a Mestre: ma mi pare che la novità a cui stiamo assistendo sia un’altra.
Nel 1979 l’appartenenza territoriale si esprimeva in termini di classe secondo un linguaggio politico, oggi invece usa il linguaggio del genere e dei ruoli famigliari. In ogni caso le motivazioni con cui viene espresso un voto vanno al di là del quesito referendario, e implicano piani simbolici che non possono essere ricondotti alle sole argomentazioni politico-amministrative.
Letture
Acque alte a Mestre e dintorni 2013: Acque alte a Mestre e dintorni. Storie, luoghi, persone (2006-2011), a cura di Maria Luciana Granzotto e Maria Giovanna Lazzarin, storiAmestre, Mestre 2013.
Barizza 1990: Sergio Barizza, Come si arrivò all’annessione a Venezia della zona di Malcontenta e dei comuni di Chirignago, Favaro, Mestre e Zelarino (1806-1926), in Associazione storiAmestre, Mestre infedele. Confini comunali in terraferma e rapporti tra Mestre e Venezia, a cura di Piero Brunello, Nuova Dimensione, Portogruaro 1990, pp. 12-26.
Benfante 1997: Filippo Benfante, Tifosi, “Altrochemestre. Documentazione e storia del tempo presente”, 5 (primavera 1997), pp. 43-46.
Benfante, Brunello 2001: Filippo Benfante, Piero Brunello, Lettere dalla curva sud: Venezia 1998-2000, Odradek, Roma 2001.
Mencini 1995: Giannandrea Mencini, Il Fronte per la difesa di Venezia 1967-1973, “Altrochemestre. Documentazione e storia del tempo presente”, 3 (estate 1995) pp. 4-5.
Pes 2002: Luca Pes, Gli ultimi quarant’anni, in Storia di Venezia. L’Ottocento e il Novecento, II, a cura di Mario Isnenghi, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2002, pp. 2393-2435.
Sartori 1990: Paola Sartori, Il referendum del 1979, in Associazione storiAmestre, Mestre infedele. Confini comunali in terraferma e rapporti tra Mestre e Venezia, a cura di Piero Brunello, Nuova Dimensione, Portogruaro 1990, pp. 86-94.
Zanetto 1990: Gabriele Zanetto, Le funzioni di Mestre in un contesto metropolitano, in Associazione storiAmestre, Mestre infedele. Confini comunali in terraferma e rapporti tra Mestre e Venezia, a cura di Piero Brunello, Nuova Dimensione, Portogruaro 1990, pp. 44-51.
manlio calegari dice
Grazie, grazie davvero. mc