di Maria Giovanna Lazzarin
Pubblichiamo l’intervento che la nostra amica e socia Giovanna Lazzarin ha tenuto durante l’incontro Quel vento soffia ancora? Cinquant’anni di cambiamenti nella scuola organizzato da storiAmestre, Movimento di Cooperazione Educativa e Gruppo di lavoro Via Piave 67 l’8 ottobre 2019.
1. Comincerò il mio intervento raccontando un mistero che mi portavo insoluto da quasi sessant’anni. Allora frequentavo la prima media (anno scolastico 1961-62) e verso la fine dell’anno l’insegnante di lettere ci presenta una signorina che doveva farci dei quiz: si trattava di rispondere a delle domande, ricordo anche delle figure geometriche che dovevamo confrontare. Volevo fare bella figura e mi impegnai molto. Mi aspettavo che questa signorina ci portasse i risultati e rimasi molto delusa quando capii che l’attesa era vana. Ma l’anno successivo tre ragazzi della nostra classe, quelli più divertenti e simpatici che mi aiutavano a sopportare la noia della scuola, scomparvero dalla classe. Sentii dire che erano stati spostati in un’altra.
Solo ora, leggendo il libro Il Sessantotto nella scuola elementare1 mi è tornato in mente questo episodio e ho elementi per risolvere il mistero e collegare i due fatti: quel quiz serviva a misurare il quoziente d’intelligenza e su quella base gli alunni scomparsi probabilmente erano finiti in una classe differenziale; questo allora sembrava normale e giusto, non occorreva spiegare niente a nessuno e forse l’insegnante, che diversamente da noi mal sopportava la loro vivacità, ne fu sollevata.
Le autobiografie di maestri e maestre presenti in questo stesso libro descrivono una scuola che nel ’68 era assolutamente antica nei testi, nei contenuti, nei metodi, in cui a un alunno o a un’alunna poteva capitare di finire in una classe speciale, differenziale o di aggiornamento a seconda dei problemi. E raccontano l’azione di rottura nell’area genovese di piccoli gruppi di insegnanti, spesso molto giovani, inesperti, concentrati in due-tre scuole con dirigenti illuminati, inseriti in una rete di amicizie, in collegamento con maestre-i che da tempo sperimentavano queste innovazioni e con genitori che li sostenevano. Scorrendo le pagine ci si inoltra nella lotta per passare dai doposcuola al tempo pieno, dalla lezione frontale ai gruppi di lavoro e di ricerca d’ambiente, dal sussidiario unico alla biblioteca di classe, dalle classi differenziali all’inserimento handicappati, dai voti ai giudizi articolati. Così almeno i testimoni si rappresentano.
Però quello che era sperimentazione di pochi nel giro di dieci anni diventa una prassi legislativa. Le cui tappe sono:
– 1971, la legge 820 introduce la sperimentazione del tempo pieno;
– 1973, i Decreti delegati portano all’ingresso dei genitori nella scuola;
– 1977, la legge n. 517 avvia l’inserimento degli alunni con handicap, l’uso di materiale diverso dai libri di testo, la sostituzione del giudizio al voto.
Come è avvenuto tutto questo?
Tra le tante spiegazioni che si potrebbero dare ne tento due, legate l’una all’altra: allora, settori non estesi, ma significativi della popolazione non ritennero più normali tante cose sbagliate e si rifiutarono di tacere.
Alcuni degli insegnanti di questo libro raccontano di aver cominciato la loro carriera lavorando nei doposcuola dove ritenevano normale trovare solo figli di operai, contadini o poveri qualunque. Nessuno si chiedeva come mai solo loro avevano difficoltà di apprendimento. È dovuta arrivare la Lettera a una professoressa2 promossa da don Milani per ribaltare il modo di vedere la selezione, farla uscire dal silenzio e spingere al cambiamento.
La mia amica Silvia Cassano, che nel ’68 era maestra in quel di Trieste e non se lo vuole scordare, mi scrive che “è stata come un’onda, come quando c’è una turbolenza in mezzo a un golfo, le onde ci mettono un po’ ad arrivare sulla spiaggia, ma ci arrivano”. E così continua:
Ho visualizzato nella mente una carta geografica d’Italia, di quelle che a quel tempo sostavano infilate nei portaombrelli nello sgabuzzino della mia scuola. Ho fantasticato di usarla per infilarci degli spilli con bandierina, come usano fare i generaloni che preparano battaglie o campagne. Uno spillo a Barbiana, uno a Vho, uno a Pietralata, mi vengono in mente questi. Paesucoli e una periferia. Avamposti. Manca qualcosa? probabilmente sì. 3 posti, 3 persone, 3 libri3 senza i quali la diffusione delle idee sarebbe stata impensabile. È un pensiero che mi dà consolazione, è l’idea che da qualcosa di piccolo possa venire una sorta di “scintilla”.
Che la scintilla venga spesso dalle periferie è documentato anche da un numero della rivista Venetica che ha analizzato le esperienze realizzate allora nel Veneto: quasi tutti i casi di studio riportati nella ricerca – i tempi pieni, i doposcuola, le scuole popolari – sorgono in aree marginali, in zone di campagna o di montagna, nelle periferie e mostrano come per cambiare il clima di una scuola possono bastare due o tre insegnanti o un dirigente con le idee chiare4.
2. Cos’è rimasto di tutto questo?
La prima impressione che si ha parlando con insegnanti, ma anche con genitori e nonni è che molte di quelle conquiste siano state fortemente depauperate; per esempio:
– aumento del numero di alunni per classe e diminuzione delle ore degli insegnanti di sostegno;
– diminuzione delle compresenze;
– ritorno ai voti;
– genitori all’attacco in difesa dei figli;
– non più classi differenziali nel nome, ma classi ghetto, se non scuole ghetto per la fuga degli alunni bianchi e dei figli di famiglie di buona estrazione socio-culturale.
Dopo le ultime prove INVALSI da cui è emerso come il 35% degli adolescenti che hanno affrontato la maturità non riesce a comprendere un testo di media complessità, c’è stato un dibattito sui giornali e Silvia Ronchey lo ha utilizzato per accusare il Sessantotto di aver creato un nuovo genere di analfabetismo in cui – per aggiunta – ci si illude di essere in possesso della cultura. Peggio dell’analfabetismo vero!5
Eppure ci sono delle sorprese: leggendo il resoconto dell’assemblea nazionale fatta a Napoli dai ragazzi dei fridays for future dopo lo sciopero globale di venerdì 20 settembre 20196 scopro che tra le loro proposte per dare continuità politica e base culturale al movimento c’è quella di studiare i movimenti del Sessantotto per capire dove hanno sbagliato e non ripetere quegli sbagli. Come dar loro torto: è dagli sbagli che si impara!
Il Sessantotto può diventare quindi un trampolino di lancio come ci insegna Edoardo de Filippo: se si resta ancorati al passato – ci dice – la vita che continua diventa vita che si ferma, ma se ci serviamo della tradizione come un trampolino di tuffo, più affondi bene nelle radici del passato tanto più salterai in avanti per inventare il futuro.
E di punti di appoggio per saltare ce ne possono essere anche di positivi. Pensiamo alla scrittura collettiva che trova il suo modello in Lettera a una professoressa.
Quando ci lavoravamo nei lontani anni Ottanta era un procedimento lungo, con frasi ritagliate e reincollate. Venerdì 13 settembre 2019 Franco Lorenzoni la ripropone come strumento per affrontare il disagio crescente delle giovani generazioni, dando loro voce, ma anche aiutandoli a sostare attorno alle domande, ad argomentare e a mediare tra il proprio punto di vista e quello degli altri a non restare bloccati su twitter di autoaffermazione7.
3. Leggendo l’articolo di Lorenzoni mi sono venute in mente tre scintille.
La prima è contenuta in una delle autobiografie del libro in cui l’autrice parla del laboratorio – I bambini fanno libri – attivato in una terza elementare nel 2003, trasmettendoci la passione e la forza di quell’esperienza: “Partendo dal libro base di fogli bianchi ottenuto con piegatura e strappo, piegatura e ritaglio, piegatura a fisarmonica si costruiva il libro animato, pieghevole, materico: il libro stenditoio… il libro caverna… il libro casa… con pop-up… il libro dei vuoti e dei pieni… il libro transformer”. Andare al testo, per capire come si fa8.
Ma i bambini d’oggi e persino i genitori non sono da meno se trovano maestre con passione, preparazione, capacità di coinvolgerli.
Come storiAmestre abbiamo un interesse particolare verso l’“andare a vedere” e, tra le altre cose, ci siamo appassionati ad andare a vedere il Marzenego, un fiume – questo sconosciuto – che ha bisogno di recuperare storia, cura, rinascita. Per diffonderne la conoscenza abbiamo preparato, insieme al MCE, un gioco dell’oca lungo il Marzenego.
Un gruppo di tessere del gioco dell’oca lungo il Marzenego costruito dalle quarte della scuola primaria Munaretto Cipressina-Mestre
Maria Marchegiani e io l’abbiamo giocato in alcune scuole del territorio e voglio brevemente concludere parlando di due di queste scuole, cioè le altre due scintille.
Nel pomeriggio del giorno prima delle vacanze di Natale 2018 siamo andate a giocarlo in una quarta elementare di Noale con i bambini e le loro maestre, poi i bambini stessi l’hanno riproposto ai genitori e nonni arrivati per l’occasione. È stata un’esperienza intensa, emozionante in cui i piccoli seguivano una trentina di grandi, che si sono pure molto divertiti. Ma in precedenza le maestre avevano condotto gli alunni in esplorazioni lungo il Marzenego e il Draganziolo, chiamato esperti per sottoporli alle loro domande, intervistato i nonni sui vecchi mestieri, visitato aziende un tempo legate alle cave di argilla; nella seconda parte dell’anno scolastico gli stessi hanno preparato delle richieste da portare all’assessora all’ambiente del comune. Hanno poi steso tutto il loro percorso in una scrittura collettiva on-line che si può vedere nel sito ilfiumemarzenego.it.
Dietro c’è il lavoro e la grande passione di maestre come Cristina Bertoldo, coordinate da Marialina Bellato e inserite nella rete dei laboratori di geostoria formata dall’associazione CLIO ’92, che si scambiano on-line esperienze didattiche su queste tematiche.
Il 15 febbraio 2019 siamo invece andate a giocare nella IV B della scuola elementare Munaretto-Cipressina-Mestre. Anche in questo caso il gioco faceva parte di un percorso didattico con uscite, incontri con esperti, interviste, quello che nel 68 si sarebbe chiamato ricerca d’ambiente. A questo percorso sul Marzenego stavano collaborando tutte le classi quarte del plesso e hanno deciso di costruire insieme un loro gioco dell’oca che è stato poi giocato a fine anno coi genitori al parco Hayez.
Il 29 settembre 2019 Maria Marchegiani, che insieme a me e a Mario Tonello aveva preparato il gioco originario, va a passeggiare con la nipotina di quattro anni in via Palazzo a Mestre e cosa vede?
C’era una manifestazione e sotto i portici i bambini della Munaretto facevano giocare il loro gioco dell’oca lungo il Marzenego. Così la nonna che aveva dato l’avvio a questo gioco ha potuto farlo giocare, attraverso la reinvenzione dei piccoli, alla nipotina.
Mi sembra una simbologia beneaugurante, nonostante tutto.
- Il Sessantotto nella scuola elementare, a cura di Marcella Bacigalupi, Piero Fossati, Marina Martignone, Unicopli, Milano 2018. [↩]
- Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1967. [↩]
- Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa cit.; Mario Lodi, C’è speranza se questo accade a Vho, Einaudi, Torino 1972; Albino Bernardini, Un anno a Pietralata, La Nuova Italia, Firenze 1968. [↩]
- Si veda Quando la scuola si accende: innovazione didattica e trasformazione sociale negli anni Sessanta-Settanta, a cura di Luisa Bellina, Alfiero Boschiero, Alessandro Casellato, numero monografico “Venetica”, 26 (2012). [↩]
- Silvia Ronchey, Perché siamo tornati analfabeti, “La Repubblica”, 12 luglio 2019. [↩]
- Corrado Zunino, I ragazzi di Greta “sarà il 68 dell’ambiente”. Trecento studenti di 53 città italiane discutono i prossimi passi del movimento per il clima, “La Repubblica”, 6 ottobre 2019. [↩]
- Franco Lorenzoni, Lasciamo che i ragazzi scrivano tutti insieme, “La Repubblica”, 13 settembre 2019. [↩]
- Giannarosa Vivian, Da un’enciclopedia fatta da adulti a libri fatti da bambini, in Il Sessantotto della scuola elementare, cit. p.229. [↩]