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Il Primo maggio a Toronto si lavora. Cronaca di una manifestazione

06/05/2019

di Andrea Lanza

Il nostro Andrea Lanza ha seguito le manifestazioni del Primo maggio a Toronto, in Canada, dove vive, prendendo qualche appunto e scattando alcune foto. 

Il Primo Maggio a Toronto si lavora: in tutto il Canada è un giorno feriale come gli altri. C’è un Labour Day, il primo lunedì di settembre, ma già dal nome si capisce che non è il Workers’ Day. Anche a Toronto ci sono però delle manifestazioni, che cominciano alla fine dell’orario di lavoro.

Mi avvio verso la piazza del municipio, il cielo è grigio e la pioggia incomincia a farsi noiosa. Arrivo nella grande spianata che si apre davanti al palazzo nuovo del comune che sono le cinque, l’ora di inizio delle dimostrazioni. Nonostante, in questa città, la manifestazione del Primo Maggio non richiami mai grandi folle, ci sono diversi preconcentramenti nella gigantesca piazza.

Il lato Nord della piazza, dominato dalla coppia di palazzi degli uffici comunali,
il disco della sala consiliare, e la struttura di base con diversi servizi per i cittadini. 

Ne individuo tre, che resteranno a lungo separati, cercando di proteggersi dalla pioggia sfruttando al meglio i portici in cemento che girano intorno alla piazza pedonale realizzata negli anni Sessanta.

     

Mi avvicino al primo preconcentramento, ai piedi del municipio, richiamato da ciclisti che convergono sventolando le loro bandiere. Sono i fattorini di Foodora. Proprio oggi, con lo slogan "Giustizia per i fattorini Foodora”, hanno lanciato una campagna di sindacalizzazione per ottenere degli indennizzi per il lavoro rischioso e il diritto di essere pagati in malattia e, in caso d’incidente, durante la convalescenza. Si tratta dell’unico gruppo di lavoratori che rivendicava un’appartenenza esplicita a un’azienda. Fra i maggiori organizzatori della manifestazione della manifestazione, sebbene senza striscione, c’è invece il sindacato del sistema scolastico della città (Toronto Education Workers – sezione del Canadian Union of Public Employees, il sindacato del pubblico impiego, unico per legge).

Attraverso la piazza e raggiungo il secondo preconcentramento, caratterizzato da alcuni striscioni internazionalisti e da diversi militanti «chavisti» (sostenitori di Hugo Chavez e quindi di Nicolas Maduro nella attuale crisi politica che attraversa il Venezuela). Nonostante la comunità latinoamericana non sia fra le più numerose della città (intorno al 2,5% della popolazione), lo spagnolo è la lingua che si sente di più oggi in piazza dopo l’inglese.

Fra i gruppetti che chiacchierano aspettando l’inizio del corteo, sotto lo sguardo incuriosito dei passanti, noto una ghigliottina in legno con delle inquietanti macchie rosse. Sul fianco si legge: “Cuts are political violence” “I tagli [ai budget] sono la violenza politica”, mentre in alto si legge in francese “Vive la Révolution”.

Nuovi gruppetti convergono ai bordi della piazza. Fra loro alcuni maoisti con un grande striscione “È giusto ribellarsi, ancora meglio è fare la Rivoluzione” con il viso di un presidente Mao relativamente giovane. Non sono cinesi però. Nell’area metropolitana di Toronto vivono circa 700mila cino-canadesi (intorno all’11% della popolazione). La “comunità” cinese è politicamente divisa: ho spesso visto dimostrazioni contro il PCC, ma certamente una parte si sente fedele alla Cina “comunista”. Alla manifestazione di oggi, nessun manifesto o striscione mostra elementi cinesi.

Arriva anche un gruppetto di anarchici con la A cerchiata.

Le dimostrazioni quasi individuali sono abbastanza comuni in questa città. Nella piazza del municipio, come agli angoli fra strade particolarmente frequentate, non è raro vedere persone sole o piccoli gruppi con manifesti di denuncia e di solidarietà. Senza pensare che fosse il Primo Maggio (una di loro mi ha proprio chiesto chi fossero gli altri manifestanti), una piccola delegazione venezuelana anti-chavista è venuta oggi a dimostrare per la libertà e a ringraziare il Canada per il supporto a Guaidó (il politico venezuelano diventato leader dell’opposizione al presidente in carica Maduro, erede di Chavez), scoprendo tardi della presenza dei chavisti nella stessa piazza. Nessuna tensione, però. Mentre la pioggia aumenta d’intensità, si posizionano sotto un altro portico brandendo cartelli e bandiere.

La pioggia continua a cadere. Alcuni manifestanti si spostano da un lato all’altro della piazza costeggiando la pista di pattinaggio interamente transennata nella fase di trasformazione in fontana estiva. Dagli altoparlanti del presidio a bordo della piazza proviene la melodia dell’Internazionale.

Sullo sfondo il palazzo del comune storico (1899).

Alle 5 e 30 precise, nonostante la pioggia torrenziale, il terzo preconcentramento converge verso i primi due con lo striscione d’apertura “May Day 2019”.

La componente anarco-queer si affretta a raggiungere il corteo che sta prendendo corpo.

Le parole d’ordine universali e internazionaliste s’intrecciano alle lotte locali e in particolare alla lotta contro il primo ministro provinciale dell’Ontario, Doug Ford, che ha posizioni neoliberali. Ford è considerato un Trump locale, sebbene per fortuna toni e linguaggi siano meno apertamente razzisti. Come Trump, il suo consenso ha una geografia precisa: ha vinto ovunque tranne nell’area metropolitana di Toronto. I due ragazzi nella foto esibiscono i cartelli stampati in occasione di una precedente manifestazione a cui avevano partecipato diverse centinaia di persone davanti al parlamento provinciale.

Il corteo si è ormai compattato. Una folla che stimo essere nell’ordine delle sei o settecento persone si dirige verso l’angolo della piazza da cui partirà il corteo per attraversare la strada al semaforo e disporsi nella giusta carreggiata. La polizia ha un momento di esitazione, converge per meglio organizzarsi per poi prendere immediatamente posizione.

Nella foto: l’intero contingente dispiegato, ovvero quattro poliziotti in bicicletta. Il volto coperto di poliziotti e di parte di manifestanti (come si vede dalle foto precedenti) si deve alle condizioni climatiche, oltre che a esigenze meramente scenografiche.

Il corteo si infila nel traffico congestionato del centro. In apertura un biker di Foodora che assicurerà la coordinazione con le forze dell’ordine. Davanti al primo striscione, un pickup bianco con degli altoparlanti dietro.

  

“Siamo il Popolo”. Uno degli slogan che più si urla è The People united will never be defeated, alternato talvolta con l’originale spagnolo El pueblo unido jamás será vencido.

La pioggia non accenna a diminuire, ma il corteo avanza deciso e vociante. Una parte dei piccoli spezzoni è caratterizzata dalle lotte di militanti in esilio. Nello striscione bianco si ricorda uno sciopero della fame lanciato a Toronto da Yusuf Iba per spingere la comunità internazionale a esigere la fine della tortura dell’isolamento assoluto per il leader curdo Abdullah Öcalan, detenuto in Turchia (arrestato nel 1999, con gravi responsabilità italiane).

Con musiche e slogan continuamente urlati dalla folla, il corteo percorre alcune delle vie più centrali della città per arrivare in Dundas Square, con i suoi molteplici megaschermi pubblicitari che la illuminano giorno e notte. Qui si ferma brevemente a bloccare Yonge Street, l’asse Nord-Sud più importante della città. Alle spalle dei manifestanti, nella foto, si vede l’ingresso principale dell’Eaton Centre, il centro commerciale più frequentato del Nord America, con una media di un milione di visitatori alla settimana. I passanti guardano il corteo con incuriosita distanza.

    

La pioggia imperversa e i ranghi del corteo si assottigliano, ma prosegue la sua rumorosa marcia. La gente li guarda passare. Lunghe file si formano sulle strade perpendicolari, dove il traffico dell’ora di punta è fermato dai poliziotti in bicicletta. Una volta che il corteo è passato, le file si rimettono pazientemente in movimento. Qualcuno si allontana dalle fermate del tram, pensando percorsi alternativi per tornare a casa. Si torna ai normali rumori di una città in grado di accogliere ogni diversità e neutralizzare ogni antagonismo.

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