di Gigio Brunello
Riprendiamo i brani iniziali di Vite senza fine, uno dei testi teatrali della “Trilogia su Mestre” di Gigio Brunello, composto e rappresentato la prima volta al Centro Candiani di Mestre nel 2007 e ora pubblicato nel volume Tragedie e commedie per tavoli e baracche (2017). Ricordi di persone e di luoghi, fatti di cronaca sono trasfigurati e messi in scena in un racconto visionario, in cui riprende vita un vecchio quartiere operaio.
Vite senza fine
Egidio era nato nel 1921 e a dodici anni fu messo sotto padrone alle Officine Darin di San Polo di Piave dove aggiustavano trattori e macchinari agricoli. Divenne un grande meccanico, di quelli che nel novecento ancora riparavano le ali alle mosche. Col tempo imparò a far bene tutto: il fabbro, il calzolaio, il falegname, l’orologiaio, l’elettricista, il muratore. Avevo sempre sognato di raccontare a teatro il suo universo della Meccanica e aspettavo solo l’idea buona. In quel periodo stavo costruendo una grande ruota di mulino per pescare l’acqua dal fiume che passa sotto casa mia. Volevo realizzare una coclea. Avevo tutto in mente ben chiaro: ci voleva una copia conica che moltiplicasse il numero di giri per azionare una pompa di sollevamento e ci volevano buone saldature, cosa non da me. Qualcuno mi suggerì di portare la ruota nei sotterranei della chiesa del Villaggio San Marco, un vecchio quartiere operaio di Mestre, lì avrei trovato quello che cercavo. Mi presentai in chiesa incredulo con la ruota a seguito e si affacciò Sergio in tuta blu. Mi accompagnò in visita alla grande officina allestita nei sotterranei. Una fabbrica sotto la chiesa: era quella l’idea buona per uno spettacolo su mio padre.
Due tavoli da sagra più una panca rovesciata formano un piano di appoggio lungo sette metri e posto frontalmente al pubblico. Sopra, da sinistra a destra per chi vede, c’è un gruppo di quattro casette di ferro, una zona vuota, una chiesa e un campanile. Sulla panca quattro pioppi in fila. Fissata all’estremità della panca una ruota da mulino in legno. Sopra la ruota dall’alto pende una canna da giardinaggio. La statuetta di Armando per tutto lo spettacolo ferma a fissare la ruota. Sul fondo, dietro al tavolo, nascosta da una nicchia di stoffa blu stellata, c’è una statua lignea di grandi dimensioni che rappresenta san Giuseppe. Il piano dell’azione è coperto da una tovaglia bianca di carta. Tutti i personaggi sono statuette lignee della grandezza di circa trenta centimetri.
Nel corso del prologo dalla luce notturna dei controluce lentamente si arriva a giorno.
Prologo
NARRATORE (tono da conferenziere) Il grande Stevanato disse: Il valore di una cosa è direttamente proporzionale alla capacità di smontarla… (Contrito) La nostra storia ha inizio proprio il giorno del funerale del grande Stevanato.
CANE RIKI (dietro le case) Bau bau bau!
NARRATORE Buono Riki che svegli tutti… Avrà scovato un gatto… Vieni via che rischi di prenderle… Dove va a rovistare adesso… in ognuna di queste aiuole c’è un osso che lui ha sotterrato… cosa avevo detto, eccolo qua il suo tesoro nascosto… (Il narratore fa vedere al pubblico un grande osso, il cane Riki lo reclama e lui glielo restituisce) Lo so, è tuo, nessuno te lo ruba… Lui tutte le mattine, se non fa il giretto d’ispezione non è soddisfatto, vero Riki! (Esce da dietro le case il cane Riki che zampetta in su e giù) Adesso va alla fermata dell’autobus… fa quello che deve fare… (Riki si ferma a far la pipì a un angolo della chiesa) Questo è il mio quartiere… cioè era… ma è cambiato poco: qui al posto della fontana, c’era un’edicola, la scuola elementare è stata spostata. Questo è il piazzale della chiesa… e qui sotto scorre il fiume, sempre lo stesso… hanno solo rialzato gli argini di due metri e mezzo, poi c’è la chiesa, il campanile… C’è montato uno schermo, forse faranno il cinema all’aperto.
CANE RIKI Bau bau bau!
NARRATORE Oh hai finito… Non sei ancora stanco? … Un po’ fuori città, quasi in campagna, l’acqua che scorre… i mulinelli tra le canne e i copagatti… qui fanno il nido le gallinelle d’acqua… le rane. (Il cane termina il suo percorso, dopo varie fermate e pisciatine, di fronte alla statuetta di Armando) E questo sono io… mi chiamo Armando e ho un problema: questa ruota qui. (Indica la ruota da mulino) Non so voi, ma io, se sento parlare di ruote azionate dal vento o dall’acqua, soprattutto dall’acqua, non resisto. Per non fare confusione d’ora in avanti parlerò di Armando in terza persona. Armando… cioè io, vuole pescare l’acqua dal fiume con la ruota e con la sola forza della corrente pomparla al livello del giardino, cioè sopra di due metri e mezzo, per annaffiare i cavoli, e sulla ruota ci scriverà:
SÌ COME ROTA CH’IGUALMENTE È MOSSA,
L’AMOR CHE MOVE IL SOLE E L’ALTRE STELLE.
perché… questo non l’ha detto a nessuno, il suo vero desiderio è insegnare al fiume il poema di Dante. Proprio così, vuole che il fiume ripeta all’infinito la preghiera del padre Dante: L’amor che move il sole e l’altre stelle… (Guarda se l’acqua esce dal tubo che pende dall’alto) Solo che qui di acqua non ne arriva. (Al pubblico, armeggiando sulla ruota) Il progetto c’è, ce l’ha chiaro in testa, ha calcolato tutto, la flangia in immersione, la coppia conica, i deviatori… è tutto al suo posto, c’è solo un particolare, un dettaglio, c’è che l’acqua non sale, non arriva… o lui non ci arriva! Ma ci siamo quasi… (Sottovoce al pubblico) Armando non sa che la risposta al suo problema arriverà da qui sotto… (Indica la chiesa) Proprio così, a nessuno potrebbe mai venire in mente che qui sotto… (Fa l’atto di sollevare la chiesa ma viene interrotto dalla sveglia).
Suona la sveglia.
[…]
2.
NARRATORE Questa invece è la Norma. (Fa intravvedere la statuina per un momento da dietro le case) Ogni mattina alle otto esce di casa, saluta sulla soglia il marito in sedia a rotelle e comincia il giro delle punture. Ogni sosta: 12 minuti. (Col palmo della mano dà una pacca in successione sui tetti delle case. Norma esce da dietro le case e trotterella verso il narratore) Le punture adesso sono niente: siringa usa e getta, ago indolore e alla prossima. Sì, una volta ti volevo, con tutto quel rito che precedeva il supplizio, l’acqua sul fornello doveva essere già in ebollizione, lei metteva la scatola della siringa avvolta in un panno a bagnomaria… Adesso è tutto così meccanico, sembra che la cosa, la puntura, non riguardi nessuno. Vietato addirittura nominarla. (Il narratore mette a nudo il fianco) L’importante è non irrigidirsi! (Usando Norma come siringa si punge il fondo schiena) AU! (Fa il gesto di massaggiarsi, si ricopre) Visto? È questione di un attimo. È più il tempo di scambiare due parole con quelli di casa e togliersi e mettersi il soprabito. La Norma appena sposata faceva l’operaia, ma poi, dopo la disgrazia di suo marito ha dovuto licenziarsi per stargli dietro. Sollevarlo dal letto, vestirlo, portarlo fuori, una vita la sua… L’ultimo del giro è il maestro vedovo, con la pipa, che abita lassù, all’ultimo piano.
Dall’alto scende un gancetto appeso ad un filo. Ascensione della statuina di Norma che scompare in alto dietro una tendina su cui è disegnata una pipa e le lettere P maiuscola e p minuscola. Sottofondo musica del refrain introduttivo di Torna a Surriento.
NARRATORE Qui la tabella di marcia va a farsi benedire: dodici minuti, 24… mezz’ora, 45 minuti. È per via delle tante scale.
3.
NARRATORE Nel frattempo la nonna è uscita con la radio sottobraccio. (Poggia la radio sopra il tavolo e sopra ci colloca la nonna) È entrata in chiesa e sta aspettando di parlare con: (fa vedere la statuina) l’elettricista. Ma l’elettricista è troppo preso con: (fa vedere la statuina) Don Cristiano. C’è un guasto all’aureola di (Gira la statua del santo verso il pubblico) San Giuseppe. Dovrebbe accendersi ogni volta che ci si inginocchia. (Con l’elettricista in mano il narratore si inginocchia più volte) L’elettricista non si è mai inginocchiato così tanto in vita sua, niente da fare, non si accende… La nonna ha fretta, lascia la radio ai piedi della statua e torna a casa.
Il narratore torna a osservare le due statuine e la statua. Poi azzarda un suo parere tecnico.
NARRATORE Per me si tratta di un contatto… (Nasconde la statua nella nicchia dietro il telo blu, toglie alla vista anche Don Cristiano e rivolge la sua attenzione all’elettricista) L’elettricista è pensionato, faceva il turnista alla Sava. Si chiama Nino Cestèr, Cèster per gli amici o anche Cèsterfield per via delle trenta sigarette a turno. A Nino Cestèr gli mancano il medio e l’anulare della mano destra. Per cercare la fase usa il mignolo e l’indice a mo’ di tester sul polo negativo e quello positivo: se i moncherini centrali tremano qui c’è corrente. Quando lavorava in fabbrica ogni volta che l’ingegnere attraversava il piazzale, Cèsterfield era lì in agguato, sollevava la mano destra per salutare: – Ingegneree! (Sventola festoso le corna) Cester comunque è un artista, un poeta, alle manifestazioni lui inventava sempre gli slogan migliori. È suo il filone sui topi: (La statuina si incammina oltre le case scandendo gli slogan).
Padrone pifferaio non siamo pantegane!
Nuovo contratto: trappola per topi!
Patti! Fatti! Non siamo né topi né ratti!
Adesso che è in pensione si dedica di più ai brindisi nelle cene degli ex. In due secondi butta giù una filastrocca sulla tovaglia (Il narratore legge dalla tovaglia):
Brindiamo alla pensione
Diciamo addio alle presse
D’ora in avanti solo
Malbech e polenta e pesse.
E queste scritte? … Ah già, ha il pallino degli epitaffi sui grandi uomini della storia. (Legge arrampicandosi a gattomiao sopra la tavola)
Qui la sua vita ebbe fine
non prima di aver inventato
per l’anima sua
la vite senza fine… sarebbe anche un buon titolo… Archimede di Siracusa.
O questa:
O viandante che leggi queste righe
non credere ai libri di scuola
fui io, Antonio il mugnaio, e non mio cugino Artemio
a inventare la carriola
piangeva la sua ruota nell’ultimo mio viaggio.
Ma dove le va a pescare… e tutto da solo, perché è autodidatta. E scrive anche indovinelli. Non è mica così semplice… qui ce n’è uno che ancora non ho risolto. Anche questo è un gioco che si era inventato per tener svegli i colleghi del turno di notte… (Si sdraia sul tavolo per leggere con comodo le scritte sui bordi dalla parte del pubblico) Passò il suo tempo cercando di misurarlo, sette lettere… Orologio? O r o l o g i o, no, sono otto… passò il tempo cercando di misurarlo… sette lettere … mi verrà in mente. Comunque a Cèster puoi chiedergli di tutto, è uno spirito enciclopedico, sempre per via dei turni di notte. La gente si portava i libri in fabbrica. Ognuno aveva il suo pallino e nei turni di notte non c’era il capo officina a farti la guardia. C’era uno che leggeva e rileggeva Dante. Diceva: So smontare i motori, vorrei imparare a smontare i libri. Un altro era appassionato di cinema (Guarda verso il fiume immaginario che costeggia il tavolo) sapeva a memoria i dialoghi della “La Regina d’Africa” con Catrine Hepburn e Hunfry Bogart.
Si stende di pancia sul tavolo, immerge il braccio a metà dentro il fiume immaginario, poi lo scuote per scrollarsi l’acqua di dosso, si arrotola la manica di camicia e si piega a raccogliere dal pavimento, ops, dal fondo del fiume una grossa chiave inglese, ripete il gesto di togliersi l’acqua e dice a memoria le battute del film.
“Cosa è successo signor Oolnert?
“La pompa d’alimentazione è sporca, si incanta spesso… ma con i calci funziona… uno dei miei ragazzi ha fatto cadere un cacciavite dentro la valvola di sicurezza.”
“Cosa accadrebbe se non desse dei calci signor Oolnert?!”
“Ah ah ah ah, scoppierebbe tutto quanto, miss.”
…E questo?
C’è una pagina di giornale ripiegata appesa con una puntina sul bordo esterno del tavolo, si vede l’illustrazione di una chiave inglese. Il narratore dispiega il foglio.
NARRATORE È un ritaglio di giornale. (Legge) “Sabato 24 dicembre. Sparatoria in fabbrica, portinaio in fin di vita. Tutto è accaduto all’improvviso al cambio turno del mattino davanti ai cancelli della Breda quando Ivan Zennaro, anni 42, operaio alle presse, fermato per un controllo dal guardiano Gennaro Esposito, ha estratto la pistola…” (Al pubblico) È il caso Zennaro detto il Rosso. Ve la racconto io come è andata: Il rosso ruba dieci metri di cavo elettrico dal reparto, se li avvolge dalle ascelle in giù sotto l’impermeabile e va verso l’uscita. Lo ferma il guardiano Esposito detto Napoli, lo perquisisce e trova il cavo. – Volevi far il furbo col sottoscritto, il maresciallo sarebbe un fessacchiotto! un minchione! – Aveva fatto il carabiniere di firma prima della Breda. Da quel giorno il maresciallo lo fermava ogni volta e gli faceva aprire l’impermeabile: – Alt, tu, Rosso, cos’hai li sotto? Vedere. – Alt, tu Rosso, cos’hai li sotto? – Alt, tu Rosso, cos’hai lì sotto? – Tutti i giorni. Un’ossessione… La vigilia di Natale, finito il turno, il Rosso, va verso l’uscita. Arrivato davanti al guardiano grida: – Su Napoli, chiedimi cosa ho qui sotto! – Apre l’impermeabile, estrae una pistola e pum pum… Esposito non è morto ma resterà in carrozzella per il resto della vita e il Rosso è ancora dentro. Tentato omicidio premeditato, non si scherza. (Parte una musica da funerale. Il Narratore si guarda intorno per capire cosa stia succedendo, poi si ricorda che c’è un funerale in corso) Devo parlar sottovoce… stamattina c’è il funerale di Stevanato.
Nota. Il libro di Gigio Brunello, che raccoglie alcuni testi teatrali scritti con la collaborazione di Giulio Molnár, regista e spesso coautore, è Tragedie e commedie per tavoli e baracche, a cura dell’autore con la collaborazione di Giulio Molnár, disegni di Giulio Molnár e Olivia Molnár, De Bastiani, Vittorio Veneto 2017. I brani qui presentati sono alle pp. 195-203. Di Gigio Brunello ricordiamo inoltre Mestre finestre e controfinestre, canzoni scritte e cantate da Gigio Brunello, parole di Gigio Brunello, Piero Brunello, Bepi Molin; musica di Gigio Brunello, arrangiamenti di Gabriele Florettini, con una sua canzone; illustrazioni di Gyula Molnar; e in appendice: Dubbi sull’esistenza di Mestre e prove della sua inesistenza, Stamperia Cetid, Mestre 1993 (con audiocassetta, poi CD).