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“Alzati che è ora di andare a lavorare”. Una figlia intervista sua madre

29/08/2018

di Mirella Vedovetto

La nostra amica Mirella Vedovetto intervista sua madre sul lavoro che aveva fatto da giovane. Aveva cominciato quattordicenne, alla fine degli anni Cinquanta, presso una sarta di Mogliano Veneto dove già lavorava una sorella: le mansioni, le condizioni di lavoro, la paga, i vestiti, la clientela, un regalo di nozze, i vestiti fatti per i familiari… Smise dopo essersi sposata. La conversazione risale all’aprile 2006.

Introduzione. “Alsate, Gianna, alsate che xe ora de andar a lavorar… alsate!”. Così la zia Lina (Evelina) cercava di svegliare mia mamma, quando era ragazza. Lei però aveva ancora sonno e si girava dall’altra parte.

Lina era la maggiore di sei, tra fratelli e sorelle. Mia mamma era la quinta. Erano figlie di contadini mezzadri. Per un periodo lavorarono insieme dalla sarta S., a Mogliano Veneto: mia mamma iniziò a 14 anni, nel 1957, mentre mia zia, di 16 anni più grande, era lì da tempo. La casa della sarta, in cui un’ampia stanza era dedicata al laboratorio, distava un paio di chilometri da dove abitavano e la raggiungevano a piedi. L’orario di lavoro era dalle 8 a mezzogiorno e dalle 2 alle 7.30 del pomeriggio.

Mia mamma ci lavorò per una decina d’anni, fino a quando, nel 1967, si sposò e smise di lavorare. La zia Lina invece non si sposò, e lavorò fino alla pensione. Dalla sarta rimase per circa vent’anni poi cambiò. La zia Anna, sorella di mio papà, lavorava per delle suore in una casa dove tenevano bambini orfani e chiese a Lina se volesse andare a lavorare per le stesse suore, in una loro pensione a Venezia. Lei accettò: era stanca di lavorare dalla S., pagava troppo poco.

Ascolto una registrazione di quando chiesi a mia mamma di raccontarmi di quel periodo. Eccoci in cucina io e mia mamma, a fare colazione. Parliamo per un’oretta: è un susseguirsi di domande e risposte. Mia mamma non era una dai lunghi racconti e io non ero abituata a chiederle del passato. Comunque, con pazienza, risponde a tutto. Solo in un’occasione mostra un po’ di stanchezza: “eh ma quante cose mi chiedi! Non mi ricordo!” È vero, facevo troppe domande e cercavo i dettagli.

(m.v.)

***

Prima di iniziare a lavorare, finite le elementari, sono andata dalle suore. Andavo a ricamare, a fare dei lavoretti per imparare un po’ a cucire. Avevo 10, 12 anni. Ci andava anche la mia amica, sai, quella che abita nella casa verde. Anche lei poi ha lavorato da una sarta, sempre a Mogliano e sempre in via XXVIII aprile, la stessa via dove c’era la S., ma più in fondo. Quella sarta però lavorava da sola: erano lei, la mia amica e basta…

Facevano di quei ricami le suore! Anche adesso se vai in chiesa li vedi. C’erano di quei paramenti, di quelle stole, di quelle cose! Erano di una perfezione!

Andavo nel chiosco della chiesa “grande” a Mogliano [chiamavamo così la chiesa in centro]. Lì ti insegnavano a ricamare, a cucire. C’era anche la ricreazione e si andava giù a giocare.

Ti facevano fare centrini, ricami… ho fatto delle belle cose, mi ricordo di aver fatto un bel ricamo su una camicetta che mi aveva cucito la zia.

Se c’era un funerale ci portavano a cantare, a me dicevano di far finta perché ero stonata.

Ci mandavano là, almeno sapevano che eravamo in un posto tranquillo, che eravamo seguite da qualcuno. Io ci andavo volentieri, piuttosto di stare a casa. Non mi piaceva stare a casa. Mi ricordo che quando la nonna usciva, a fare la spesa per esempio, se ero a casa dovevo mettere la legna sulla stufa altrimenti si spegneva il fuoco. E non mi piaceva! Io volevo andare a giocare fuori, non volevo stare attenta alla stufa.

Sono andata dalle suore per un paio d’anni. Poi per altri due anni sono stata a casa e dopo la zia mi ha detto di andare a lavorare con lei.

Non so quando la zia Lina abbia cominciato a lavorare dalla S. In tempo di guerra, lavorava in una fabbrica di scarpe a Mogliano. Dopo, finita la guerra, aveva finito anche di fare scarpe… e così, non so come… c’era questa sarta, e ha iniziato a lavorare da lei.

*

La S. aveva qualcosa che non andava alle gambe, camminava un po’ male, forse è per questo che era diventata sarta, perché era un lavoro tranquillo. Chi aveva qualche problema fisico di solito faceva questo tipo di lavori.

Abitava con la sua famiglia in via Roma e aveva cominciato a lavorare lì. Poi, quando ha iniziato a guadagnare si è comprata la casa in via XXVIII Aprile. Ci andò a vivere con i suoi fratelli, non era sposata. Adesso hanno buttato giù tutto e ricostruito altre abitazioni.

All’inizio stavamo in una stanzetta, poi si è ingrandita.

La sartoria era una stanza grande, tutta aperta, c’erano macchine da cucire, 2 o 3 tavoli… e dopo c’era un’altra stanza con la porta, era la stanza delle prove, dove le signore provavano i vestiti.

La sarta tagliava gli abiti, li provava, faceva le cose più importanti e dopo li dava da cucire alle altre. Diceva: fai così e così…

Lei era sarta solo per donna. Non era l’unica a Mogliano ma lei era molto nota, era precisa, pignola.

Per uomo c’erano due sarti. Uno era vicino alla farmacia accanto alla stazione del treno. Questo si chiamava Giusto… No, non si chiamava Giusto… non mi ricordo mica come si chiamava. E un altro era dove c’è la fontana davanti al municipio, dove adesso c’è la pasticceria. E quello era Barzan, quello sì me lo ricordo, Ugo Barzan. Quello vicino alla farmacia era molto più conosciuto, era considerato più bravo insomma. Come aiutanti avevano delle donne che lavoravano per loro. La sartoria per uomo è una cosa proprio diversa, secondo me è più difficile, ci sono le giacche, tante tasche, occhielli… La S. cuciva solo per donna, non faceva vestiti per i fratelli, solo per le nuore e anche la zia Lina faceva da vestire solo per noi sorelle, non per i fratelli.

Quando ho cominciato a lavorare mi hanno fatto partire dalle piccole cose. Tiravo via le imbastiture cucite dalle altre, per esempio. Dopo ho iniziato a fare anche io qualche imbastitura… qualche roba così, poco importante insomma, e dopo cucivo anche a macchina, facevo cuciture… ma non ho mai fatto un vestito intero da sola quando ero là… cucivo a macchina magari, ma un vestito intero, tutto io no… Era la sarta che prendeva le stoffe dallo scaffale, le stendeva sul tavolo, appoggiava i modelli sopra, li tagliava… li segnava col gesso, imbastiva… no lei imbastiva poco, dava a noi da imbastire. Lei attaccava le maniche, il collo… che sono le cose più difficili…

Le clienti della S. erano tutta gente ricca: arrivavano da Treviso, Conegliano, Pordenone, Venezia, Asolo, Padova… Quando non sapevano cosa fare andavano dalla sarta, magari prima andavano dalla parrucchiera e poi passavano dalla sarta. A volte era la S. ad andare da loro, mi ricordo che andava dalla Furstenberg, abitava in quella villa, verso Marocco.

Sceglievano il vestito che volevano, c’erano tanti di quei giornali là dove poter scegliere il modello! giornali di moda. E poi i rappresentanti passavano a portare i cataloghi… insomma era una cosa fatta bene. Alcune signore andavano a vedere le sfilate, le facevano a Padova, Asolo… e sceglievano lì il vestito che volevano.

Venivano anche per farsi cucire il vestito da sposa. Il mio me l’ha regalato la sarta. Ha scelto lei il tessuto e me l’ha fatto.

A volte erano le clienti a portare i tessuti, oppure venivano a prendere la sarta in macchina e la portavano a sceglierli con loro. (Noi la macchina? Nooo… neanche la bicicletta! non ho mai avuto una bicicletta mia.) Andavano a Treviso, all’Alta Moda, in Calmaggiore, adesso non c’è più…era un negozio di stoffe costose.

Ogni tanto andavo io a consegnare i vestiti quando erano pronti, mi ricordo che andavo in una villa qua a Mogliano… erano terrieri avevano tutta la zona… sai quando sei a Quarto d’Altino, dove c’è il ristorante le Anfore? ha un nome quella zona… come si chiama, non mi ricordo… [credo si riferisse a Trepalade] avevano i camerieri anche, erano piene di anelli, brillanti, si facevano fare un sacco di vestiti.
Andavo anche a comprare i bottoni a Venezia, al Bucintoro perché aveva bei bottoni… La sarta mi dava un campione e dovevo prenderli così… li portavo a casa e se andavano bene li tenevano o sennò dovevo portarli indietro…

Facevo tanti giri, andavo a prendere filo, aghi, bottoni… mi piaceva tanto andare in giro piuttosto che stare là seduta ore e ore…

*

Eravamo in tante a lavorare da lei. In un periodo saremo state anche una decina.

C’era la mamma di quel ragazzo che ha aperto il ristorante nuovo a Mogliano, sai… e la sorella di lei. Poi eravamo io e la zia, anche noi sorelle. Poi una che adesso lavora… beh adesso non lavora neanche più, lavorava da Grotta [una maglieria], e dopo… altre ragazze insomma. Siamo rimaste tutte lì per anni, poi quando una si sposava smetteva, perché una volta non si lavorava di solito dopo sposate.
Nessuna di noi era in regola. Forse alla fine, l’ultimo anno mi aveva messo in regola, mi pare, perché c’erano stati dei controlli. Ha preso anche tante multe infatti. Dicevano che una volta i controlli li aveva mandati una ragazza che aveva lavorato da lei.

Pagava poco. Io mi ricordo che prendevo 500 lire al mese, forse la zia che lavorava lì da più tempo prendeva di più, comunque sempre poco. 500 lire erano pochi, pochi, sì.

*

I soldi che prendevo se li tenevano tua zia e la nonna… io non ho mai avuto soldi eh… non li tenevo per me, se li prendeva la nonna e dopo mi compravano loro quello che mi serviva.

Per esempio la zia Lina faceva da vestire anche per me, ma decideva lei come farlo, sceglieva lei anche la stoffa. Io non ho mai comprato da vestire.

Faceva bei vestiti la zia Lina… non erano tanti ma le stoffe erano belle…. Mi piacevano sempre le cose che mi faceva, l’unica cosa che non mi è piaciuta è quella giacca a quadretti bordeaux, sai quale… Aveva preso lei la stoffa, io le avevo detto che non mi piaceva ma non importava, mi ha cucito giacca e gonna per il matrimonio dello zio Nino [Danilo] e le ho dovute mettere. Adesso le uso ancora ma continuano a non piacermi.

Mi ricordo di un bell’abito: aveva lo sfondo bianco, era di raso, tutto con fioroni grandi, rossi… La zia Lina aveva fatto questo vestito con i fiori rossi per lei e per la zia Giulia uguale ma coi fiori azzurri. Mi ricordo che la zia se lo metteva per andare a ballare, coi tacchi alti perché lei era bassa, col rossetto, messa in piega… su di lei faceva figura, invece la zia Giulia è un po’ più tarchiata, sai.

La zia Lina durante la settimana non si metteva né rossetto né niente e andava a lavorare col grembiule, ma quando andava a ballare si preparava: andava alla Meridiana, si metteva rossetto, messa in piega… Io invece ero ancora piccola. Quando sono cresciuta, a 15, 16 anni anch’io andavo in sala da ballo, ma in un posto diverso, in via Roma.

Era soprattutto la zia Lina che cuciva in casa, la nonna Ita [Giuditta] sapeva cucire un po’ ma più che altro faceva pantofole, e le vendeva anche. Pantofole coi lacci e come suola metteva il copertone della bicicletta.

Quando voi bambine eravate piccole era sempre la zia a fare i vestiti per voi.

Finché avevo le figlie piccole non avevo neanche la possibilità di mettermi io a cucire, come facevo, ma quando siete cresciute allora ho iniziato. Vestiti ne ho fatti solo per voi, guardavo i modelli di Burda per vedere un po’ il metodo, ma io li cambiavo perché bisogna prendere le misure bene sulla persona: a seguire quei modelli, per esempio i giri delle maniche venivano larghi, e allora prendevo le misure. Bisogna guardare il centimetro…

Eh cosa vuoi che ti faccia adesso! non riesco a muovere le mani ‘momenti, non ho più la mano allenata, non trovo gli occhiali allora mi alzo e poi prendi la stoffa, cerca il gesso… non mi ricordo più come si fa, non ho più voglia di farlo. Se continui a fare sempre questo lavoro allora lo fai ma poi quando smetti ti dimentichi anche come si fa.

***

Nota. Questo è il racconto di mia mamma, ottenuto dalla somma delle varie risposte che mi diede, brevi soprattutto per quanto riguardava l’argomento lavoro. Solo a fine registrazione capisco il motivo per cui forse non si dilungava troppo: “a me non piaceva lavorare là, mi piaceva andare a giocare piuttosto, ero là e facevo quello che dovevo fare, ma non mi piaceva stare là sempre seduta, ferma. Io sarei stata una un po’ bastian contrario, cioè no bastian contrario non è la parola giusta, ma avrei voluto fare quello che volevo io. Era noioso eh! Ore, ore e ore stare là… stare là ingrumata tutto il dì… ci saranno lavori di sicuro più pesanti ma anche stare ferma là tutto il giorno… forse mi sarebbe piaciuto di più fare la commessa”.

Ho intervistato mia mamma nella cucina di casa il 25 aprile 2006. Lei morì l’anno successivo, a novembre. Nel luglio 2012 ascoltai per la prima volta e trascrissi, poi misi da parte. Ho ripreso in mano la registrazione e il testo nell’agosto 2018.

(m.v.)

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Archiviato in:La città invisibile, Mirella Vedovetto Contrassegnato con: intervista, lavoro, Mogliano Veneto, sartoria

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Commenti

  1. GIGI CORAZZOL dice

    02/09/2018 alle 08:39

    tutto serio. toccante la chiusa

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