di Francesco Zane
Proponiamo le pagine che Francesco Zane ha scritto per introdurre il suo Che ora era. Antichi orologi pubblici a Venezia, uscito all’inizio dell’estate 2017 come quindicesimo Quaderno di storiAmestre. Il Quaderno sarà presentato per la prima volta in pubblico sabato 14 ottobre, presso il Forte Mezzacapo (Zelarino, Mestre).
1. Un libro del 1601 che illustra i luoghi più famosi d’Italia degni di una visita, praticamente un precursore delle moderne guide turistiche, riporta che a quel tempo a Venezia c’erano 27 orologi pubblici e 114 campanili di chiese1. A me, nato e sempre vissuto a Venezia e appassionato di orologeria, questi numeri sono suonati come una provocazione, una sfida a scoprire se ne sia rimasto ancora oggi qualcosa. Non dei campanili, che basta guardarsi intorno per accorgersi che sono tantissimi, bensì di quegli antichi esemplari di orologi pubblici. In cuor mio speravo di scovare qualche pezzo antico, magari molto antico. Sarebbe stato come coronare un sogno: mettermi alla prova, confermare che la mia passione per gli orologi non è solo un hobby, forse contribuire alle ricerche in materia. Soprattutto ero mosso dal desiderio di rendere omaggio a oggetti ingiustamente dimenticati, evocativi di storie di persone, luoghi, epoche.
Di continuo gli uomini danno prova di memoria corta per le testimonianze del passato, una trascuratezza che condanna alla rovina edifici storici, opere d’arte, preziosi manufatti e altrettanto preziosi ricordi. Per quanto riguarda la tecnologia poi, si arriva all’assurdità di buttar via quello che ancora funziona a favore dell’ultima novità. L’ultimo ritrovato scalza l’innovazione precedente, che viene abbandonata e presto dimenticata. Riguardo gli orologi basti pensare che l’applicazione del pendolo, dopo il brevetto di Christiaan Huygens del 1656, comportò una vera e propria rivoluzione: divenne indispensabile apportare sostanziali cambiamenti ai grandi antichi macchinari. Quasi sempre si tentò di limitare le spese applicando al vecchio meccanismo il nuovo sistema del pendolo. Si trattava di un fiducioso adattamento: il vecchio e il nuovo insieme, finché il vecchio durava. Poi, se proprio si doveva, si mettevano in un angolo i pezzi obsoleti. Era questa la tipologia di orologi che speravo di trovare.
2. Il mestiere di maestro elementare lascia poco tempo a disposizione, ma una volta andato in pensione mi sono potuto dedicare alle ricerche in modo più sistematico. Ho iniziato ad andare in giro per Venezia e per le isole con un’attenzione in più, quella di trovare esemplari di questi orologi per, in un certo senso, riportarli in vita: ogni orologio individuato, una scheda compilata. Li cercavo sui campanili (per la tipologia con quadrante visibile), li cercavo dentro i campanili (quelli senza quadrante che io definisco “invisibili”, e quindi sono i più difficili da scovare). Ma dovevano essere controllati esternamente e internamente anche tutti quegli edifici che in passato avevano offerto un accesso al pubblico, e dove serviva un segnatempo per poter facilmente controllare l’ora. Girare per Venezia col naso per aria, carta e penna in tasca e macchina fotografica sotto mano, può essere impegnativo, ma è anche un modo diverso di percorrere le solite strade. Ben più impegnativo si è dimostrato lo studio dei documenti d’archivio e quello dei testi di storia, di quella dell’orologeria in particolare. Autodidatta per forza, e con passione, mi sono servito di una serie di libri che compongono una bibliografia personalissima, parziale, senz’altro discutibile, che riflette anche quel che concretamente si può trovare nelle librerie superstiti del centro storico di Venezia.
3. Su un totale di poco più di un centinaio di campanili controllati, a oggi ho trovato una quindicina di orologi visibili o comunque tracce della loro esistenza, e ci sono sicuramente alcune decine di orologi pubblici “invisibili” ai quali devo ancora dedicarmi. Nonostante siano solo cinque, gli esemplari di orologi presentati in questo Quaderno forniscono un buon punto di partenza per affrontare la storia dell’orologeria delle origini perché, seppure riconducibili allo stesso arco di secoli (dal Trecento al Cinquecento) e accomunati dalla stessa funzione che si può definire “pubblica” – aggettivo che sottolinea il loro valore funzionale e sociale oltre a quello meccanico-tecnologico del meccanismo –, essi sono diversi l’uno dall’altro sotto vari aspetti: data di costruzione, tipologia meccanica, insieme architettonico di cui fanno parte, particolare apparato di segnalazione del tempo, punto della città in cui sono collocati.
Man mano che procedeva il lavoro di schedatura aumentavano le storie – di un singolo orologio e delle persone a esso collegate –, le curiosità, le ipotesi per colmare le lacune documentarie e anche qualche scoperta.
4. La mia idea di partenza era quella di compilare per ogni orologio una scheda conclusa in se stessa, che potesse cioè essere letta indipendentemente dalle altre da qualsiasi lettore curioso, fornendo in ciascuna le coordinate essenziali in materia di storia dell’orologeria e del calcolo del tempo. Per questa pubblicazione, ho scelto alcune di quelle che ho scritto nell’arco di una decina d’anni, a partire dal 2008. I testi sono stati ampiamente rivisti, le ripetizioni sono state quasi tutte eliminate, creando dei rimandi interni, ma qualcuna è rimasta; le inevitabili differenze di stile attestano non solo il passare degli anni, ma anche curiosità che hanno prevalso su altre. Avendo a che fare con orologi, si finisce per forza di cosa a pensare anche al proprio scorrere del tempo: alcune schede sono nate da ricordi d’infanzia, o mi hanno aiutato a suscitarne.
I cinque saggi sono dedicati, nell’ordine: all’antico orologio della torre-campanile della chiesa di San Geremia a Cannaregio; a quelli del Fondaco dei Tedeschi e, sulla riva opposta del Canal Grande, del mercato di Rialto; a una particolare bottega del sottoportico di Rialto; al monumentale orologio della basilica dei Santi Giovanni e Paolo nel sestiere di Castello.
La presenza di questi orologi in determinati punti della città potrebbe suggerire una specie di itinerario per una visita guidata. Il Quaderno avrebbe dunque un’utilità pratica. Per quanto mi riguarda, scriverlo ha significato rendere omaggio anzitutto a queste opere dell’ingegno umano poco conosciute, ma anche a luoghi che mi sono particolarmente cari e fin dall’infanzia hanno strutturato la mia geografia mentale.
Un’ultima avvertenza: non troverete una scheda sull’orologio pubblico della Torre di San Marco, il celebre orologio dei Mori. Per me lo studio di questo capolavoro è stato il punto di partenza per andare alla ricerca di quegli altri antichi regolatori del tempo pubblici finora ignorati o quasi. Ma questo “fuoriclasse” ha goduto degli studi mirabili di Nicolò Erizzo, nell’Ottocento, e più di recente di Alberto Peratoner, senza contare tutte le polemiche scoppiate nel 1999 in occasione del restauro eseguito per i suoi 500 anni di vita2. Al suo confronto, i quattro orologi che presento qui, e che possiamo ancora ammirare, fanno la figura di trovatelli. Volevo riparare, per quanto possibile, a questa ingiustizia.
- Franz Schott, Girolamo da Capugnano, Itinerarium nobiliorum Italiae Regionum, urbium, oppidorum, et locorum, apud Franciscum Bolzettam, Vicentiae 1601, p. 39. [↩]
- Nicolò Erizzo, Relazione storico-artistica della Torre dell’Orologio di San Marco in Venezia, Tipografia del Commercio Editrice, Venezia 1866; Alberto Peratoner, L’Orologio della Torre di San Marco in Venezia: descrizione storica e tecnica e catalogo completo dei componenti, Cafoscarina, Venezia 2000. [↩]