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Quel pasticciaccio brutto. Una lettera sulla Superstrada Pedemontana Veneta

20/06/2017

di Morena Bragagnolo

Una lettera di Morena Bragagnolo, del Forum Salviamo il paesaggio – Coordinamento Asolo-Castellana, ci fa tornare sulla questione della superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta di cui abbiamo parlato alla fine del 2016.

Cosa c’è di nuovo nelle campagne fra Vicenza a Treviso? Niente. Solo 94,5 chilometri per 24,5 metri di sezione di cantieri aperti a macchia di leopardo nei 26 comuni interessati dal progetto della Superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta (SPV). Di questi oltre 90 chilometri, 50  sono in trincea, 26,5  in rilevato, 7,8  in gallerie semi-naturali e 5,9  in gallerie artificiali. Più altri 53 chilometri di viabilità secondaria che, con gli attuali chiari di luna, sembra non saranno mai realizzati. Per un costo stimato di circa 3 miliardi di euro, a carico di un concessionario, la Sis, che non è in grado di trovare sul mercato un investitore disposto a metterci il capitale per finanziare i lavori. Perché? Perché l’investimento non è ritenuto bancabile dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI) né tanto meno giustificato, visto che i benefici sociali sono trascurabili rispetto ai costi.

Dal 2011, anno in cui a Romano di Ezzelino (in un luogo che non sarà nemmeno attraversato dalla superstrada) il presidente Zaia con un colpo di benna, dà il via al più grande cantiere terrestre del Veneto, a oggi i comuni tra Vicenza e Treviso attraversati dalla SPV sono allo stremo. Per costruirla si sono inventati un’emergenza traffico fondata su uno studio farlocco (33.000 veicoli al giorno contro i 15.000 reali) che ha richiesto l’insediamento di un Commissario, una legge obiettivo, un progetto di finanza particolarmente favorevole al concessionario (la Sis) a danno dell’ente pubblico concedente (la Regione). Concessione rivista nei numeri per ben tre volte che costerà ai veneti 915 milioni di euro in conto capitale e 154 milioni all’anno per ben 39 anni, in conto esercizio. L’emergenza più lunga della storia, giacché è durata ben sette anni e che è finita solo grazie all’intervento della Corte dei Conti che dal 2015 ha iniziato a indagare per capire dove e come venivano spesi i soldi pubblici.

I cantieri sono in sofferenza dal 2012, tanto che alcuni subappaltatori stretti dalla morsa dei debiti sono nel frattempo falliti. In questi anni sono stati decine (per la precisione 76 alla data di oggi) i ricorsi presentati al Tar dai comuni attraversati o dagli espropriandi, alcuni ritirati in corso d’opera per nuove trattative e negoziazioni intraprese con la struttura commissariale per il momento non ancora onorate. Dieci le sentenze del Consiglio di Stato. Altri due ricorsi presentati dal COVEPA (Coordinamento Veneto Pedemontana Alternativa) sono finiti in Consiglio di Stato: uno andato perduto per mancato rispetto dei termini di presentazione, l’altro ancora in fieri (la scadenza è il 30 giugno). Da gennaio 2017 è stata nominata una nuova struttura organizzativa composta dall’ingegnere Pellegrini, dal Responsabile Unico del Procedimento (RUP) ingegnere Fasiol, da sempre braccio destro operativo dell’ex Commissario Vernizzi, e dall’Avvocato dello Stato Corsini (quello del Mose). A metà maggio la Regione è riuscita dopo una fitta negoziazione con la Cassa Depositi e Prestiti a farsi anticipare i 300 milioni in conto capitale che doveva raccogliere direttamente dai cittadini veneti con la reintroduzione dell’IRPEF. Una prima tranche pari a 140 milioni sarà erogata nel 2018 mentre gli altri 160 milioni nel 2019, poi probabilmente la Regione dovrà reintrodurre l’IRPEF oppure dovrà tagliare altri fondi alla sanità, all’istruzione, alla tutela ambientale e alla mobilità sostenibile.

Ma che cos’è oggi la SPV per il Veneto?

Uno squarcio, ormai visibile anche da Google Maps, che taglia a metà il territorio pedemontano e il sistema delle acque superficiali e sotterranee che in un movimento continuo e millenario si spostano da nord a sud, dalla montagna alla pianura in una zona idrogeologicamente fragile, serbatoio naturale del più grande acquifero indifferenziato della pianura padano-veneta.

Una ferita che si stima ci abbia portato via una riserva idrica pari a circa 1,4 milioni di metri cubi. Acqua che non sarà più disponibile né per l’evaporazione (con effetto di mitigazione del clima nei periodi più caldi) né per l’utilizzo da parte delle comunità umane, animali e vegetali che qui vivono.

Almeno altri due bacini di laminazione, uno a Trissino, provincia di Vicenza, su 54 ettari di suolo fertile per contenere le eventuali esondazioni del fiume Agno e uno fra Fonte Alto e Riese, in provincia di Treviso, di circa 20 ettari per contenere le eventuali esondazioni del fiume Muson.

94 chilometri di cantieri, aperti in mezzo a campi di mais, di frumento biologico, di asparago bianco DOP, Duroni di Marostica, radicchio di Treviso e di Castelfranco, vigneti di uve pregiate (non esiste solo il prosecco), allevamenti di bovini da latte e da carne in piena produzione e in alcuni casi certificati biologici, tagliati a metà dalla superstrada che porterà il nuovo sviluppo del Veneto.

Espropri condotti in maniera scientifica a macchia di leopardo per mettere di fronte al fatto compiuto i 3000 espropriandi, con un modus operandi non sempre trasparente perché assomiglia molto al metodo mafioso (intimidazioni, ricatti, omertà ecc.) con promesse di pagherò senza data e prezzo certo. E intanto gli espropriandi stanno finanziando l’opera con i propri terreni, la ghiaia dei propri campi, le proprie tasse che continuano a pagare ai Consorzi di Bonifica, ai comuni, a tutti gli altri enti per i quali quella striscia di terra è ancora intestata a loro.

Oltre 8 milioni di metri cubi di ghiaia eccedente scavata dai cantieri per un valore stimato di oltre 40 milioni di euro. Materiali che attualmente vengono stoccati nelle cosiddette “cave di prestito” dei signori della ghiaia (Grigolin, Biasuzzi, Guidolin, Colomberotto solo per citarne alcuni) in attesa che il prezzo di mercato risalga. Materiali pregiati utili a quando ripartirà – in senso ironico – l’edilizia e che i subappaltatori stanno utilizzando come moneta di scambio per il loro lavoro, visto che non vengono regolarmente pagati.

Nuove lottizzazioni per un raggio di 2 chilometri intorno alle aree afferenti agli accessi della superstrada. Aree ritenute strategiche di “rilevante interesse pubblico ai fini della mobilità regionale” e di competenza esclusiva della Regione, fuori cioè dal Piano Territoriale Regionale di Coordinamento e dalla giurisdizione dei comuni, per una previsione complessiva di consumo di suolo che supererà gli 800 ettari stimati.

Sindaci sfiduciati dalla propria maggioranza, sindaci che sposando il progetto hanno visto impennarsi la propria carriera politica. Un nome spicca fra tutti: Silvia Rizzotto, sindaco di Altivole. Passata dall’altra parte della barricata nel giro di qualche mandato.

Dodici imprenditori: Diego Carron, Sergio Pedon, Augusto Guerriero, Harlad Antley, Dario Brendolan, Marcello Cestaro, Alessando Mezzalira, Federico Pengo, Giovanni Rana, Bruno Veronesi, Enrico Zoppas, che chiedono a gran voce l’ultimazione dell’opera perché hanno investito in quei terreni comprando a 7-10 euro al metro quadro, quello che oggi grazie alla speculazione ne vale 80-90.

Un operaio siciliano di 54 anni, padre di tre figli, morto schiacciato da una frana mentre con una “enorme fresa meccanica” stava lavorando alla galleria semi-naturale di Montecchio Maggiore una roccia friabile come il carbonato di calcio (siamo in territorio carsico).

I cittadini dei comuni attraversati, in particolare nel vicentino, stremati dall’allungarsi dei tempi di percorrenza nei tragitti da casa-lavoro o lavoro-scuola, passati in alcuni casi da 10-15 minuti a oltre 40, a causa dei cantieri.

Due discariche di rifiuti speciali una a Cassola, tristemente nota per un’inchiesta sui rifiuti tossici stoccati dalla mafia e l’altra a Villorba.

Il rischio reale che l’inquinamento da Pfas (sostanze perfluoro alchiliche) si estenda anche all’acquifero profondo avendo cambiato il naturale deflusso delle acque.

Due sospetti suicidi, di persone disperate colpite da quest’opera.

Comitati e comitatini di ogni ordine e grado in ogni comune attraversato, con in testa il COVEPA (Coordinamento Veneto Pedemontana Alternativa), il comitato storico che da anni segue la vicenda chiedendo la revisione integrale del progetto in un’ottica di maggiore sostenibilità economica e ambientale.

Allora chiudo rilanciando con due domande: noi veneti abbiamo veramente perso la capacità di indignarci da permettere che tutto questo accada sotto i nostri occhi senza avere il coraggio di alzare la testa e di pretendere che vengano rispettati per noi e per i nostri figli i diritti essenziali sanciti dalla nostra Costituzione? Se è davvero così, se queste sono le premesse per il nuovo sviluppo del Veneto, io non so cosa pensare. E voi?

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Archiviato in:La città invisibile, Manuela Bragagnolo Contrassegnato con: intervento, pedemontana, superstrada, Veneto

Interazioni del lettore

Commenti

  1. Franco Cinel dice

    26/07/2019 alle 09:40

    Mi piacerebbe sapere se: 1) nel calcolo dei costi si è tenuto conto del valore che hanno i milioni di metri cubi di ghiaia; 2) se i contratti di appalto ci sono le adeguate controgaranzie bancarie (da banca benevisa); 3) se chi ha emesso l'ordine di esecuzione dell'opera si è preso le responsabilità del caso.

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