di Camilla Benaim
Per l’anniversario del 25 luglio, quest’anno ricorriamo al ricordo di Camilla Benaim (1904-1996). Anch’esso era stato suscitato da un anniversario, il primo. L’autrice infatti rievocò quanto accaduto quella sera della piena estate ’43 sotto la data del 25 luglio 1944, in un diario che tenne a Firenze, in un appartamento di via Gino Capponi dove la famiglia si era rifugiata per sfuggire alla persecuzione, per due mesi esatti, dal 18 giugno al 18 agosto 1944. Sono i mesi in cui il fronte, dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944), risale e si avvicina a Firenze, che ai primi di agosto conoscerà i “giorni dell’emergenza”, con la distruzione dei ponti sull’Arno, l’arrivo degli alleati in Oltrarno accolti dal Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, l’insurrezione partigiana dell’11 agosto, la progressiva liberazione della città, dopo una lunga battaglia urbana.
Del 25 luglio 1943 Camilla ricorda lo scompiglio che portò la notizia della destituzione di Mussolini nell’albergo di un paesino della montagna pistoiese pieno di villeggianti. Porte che si aprono e si chiudono, su e giù per i corridoi per scambiarsi notizie, mancamenti per l’emozione, livore dei fascisti, felicità che si legge negli occhi.
Le pagine del diario di Camilla sono state pubblicate di recente a cura di Marta Baiardi, grazie alla disponibilità di Valentina Supino, figlia di Camilla Benaim e Giulio Supino (vedi anche la nota finale).
Oggi è il 25 Luglio, una data che non dimenticherò mai! È un anno dalla caduta di Mussolini, è un anno che aspettiamo di giorno in giorno, di ora in ora, con un’ansietà sempre crescente, in quanto le sofferenze che si son dovute passare, son sempre aumentate, che questa orribile guerra finisca. Ricordo l’anno scorso il 25 Luglio eravamo in villeggiatura in un paesetto della montagna pistoiese, quella sera eravamo andati tranquillamente a letto, quando siamo stati svegliati da grida femminili, susseguite da corse pazze per il corridoio. Poi qualcuno ci ha picchiato all’uscio. Era la Signorina G., una bella ragazza di Bergamo figlia di un generale a riposo, il quale, un curioso vecchietto striminzito ma pieno di energia, era venuto a prenderla per riportarsela a casa in quei giorni. La Signorina G con gli occhi fuori della testa ha fatto irruzione in camera nostra gridando “È finita è finita” – un po’ perché eravamo mezzi addormentati, un po’ perché lei non si era spiegata bene, in principio non abbiamo capito bene di che cosa si trattava. “Sì è finito il fascismo, Mussolini è cascato, ha preso il comando Badoglio”, – poi con un singhiozzo “ah, finalmente, finalmente!” ed è fuggita via! Noi in camicia da notte con l’uscio della camera aperta sul corridoio, dove passavano urlando tutti gli ospiti dell’albergo, ci siamo precipitati anche noi nel corridoio per avere maggiori spiegazioni. Grida isteriche venivano da una camera in fondo al corridoio. La signorina D. la più bella e più elegante ragazza dell’albergo, piangeva dirottamente in una crisi di nervi. Sono corsa in camera a farle una camomilla che le ho portato poco dopo. Intanto ci siamo abbracciati piangendo con Giulio. La Signora V., moglie di un pezzo grosso fascista è apparsa anche lei nel corridoio per informarsi dell’accaduto. La sera prima lei e il marito in camicia nera avevano pomposamente esibito al loro tavolo il podestà di Pistoia. C’erano stati gran saluti romani fra di loro e un gran pranzo extra finito tardissimo, in tempo però perché i convitati non ricevessero insieme la doccia fredda della trasmissione delle 11 1/2, che fu quella che dette la notizia della caduta di Mussolini. A un tratto mi vidi capitare in camera anche il padre della Signora V; costui era un grosso uomo sui 50 anni che aveva una malattia mentale, e la sua apparizione in mutande con quell’aria smarrita in quella notte irreale, era tragica e grottesca insieme. La moglie lo cecava disperatamente, perché sapeva che non era cosciente delle sue azioni, e quando lo trovò in camera nostra si calmò subito, gli stavamo spiegando cosa era avvenuto, e a un tratto una luce illuminò quei lineamenti che avevano solo la pesantezza della materia: aveva capito. Mi prese le mani con effusione “ah, bene, bene, bene”, ripeteva con accento sempre più convinto, “dopo tante ingiustizie”. Ma la moglie, che temeva qualche parola o atto sconnesso, lo prese per la mano e quell’omone in mutande docile come un agnello si fece portar via da quell’esile vecchietta dal viso patito. Chi sa quel povero vecchio quanto aveva sofferto in questi venti anni di fascismo: aveva sposato due figlie con due fascisti militanti, che si erano arricchiti in imprese governative, e odiati da tutti per le loro azioni riprovevoli, fra cui figuravano anche alcune spiate!
Mentre andavo a portare la camomilla alla signorina D, incontrai di nuovo la Signora V, con un viso molto pallido, e irato: “mi sembrano tutti matti”, disse, e tornò in camera sua. All’aprirsi dell’uscio intravidi il suo consorte a letto e fra il fumo della sigaretta quel viso infido e antipatico era rannuvolato davvero! Il vecchio generale girava picchiando un bastoncino in terra e gridando “W il Re”. Entrai in camera della Signorina D, si era un po’ calmata, vicino a lei c’era il cap. M, un giovane ufficiale di cavalleria che aveva passato là la sua licenza corteggiandola molto decisamente. I bei capelli neri sciolti, sdraiata sul letto, con una bella vestaglia rosa e bianca e delle graziose pantofoline d’oro infilate ai piedi, il viso ancora bagnato di lagrime, la signorina D ringraziandomi bevve con piacere quella tazzina di camomilla. Sapevo che aveva il fidanzato, aviatore disperso già da due anni, e la povera ragazza all’idea che la guerra fosse finita non aveva potuto fare a meno di pensare al suo triste caso personale. “Se fossi sicura che è morto, vede, mi spiegava con molto buon senso, piangerei, ma mi darei pace poi, che vuole sono giovane non ho ancora vent’anni, ma così con questo dubbio, gli volevo tanto bene, è un’angoscia continua! Intanto il capitano le stava seduto accanto tenendole una mano fra le sue. “È contenta lei, mi disse. La vedo così felice. E ha ragione. Ha tanta ragione”.
Ecco, quella sera chi ci avrebbe mai detto che dopo un anno si sarebbe ancora stati in guerra e l’Italia tutta invasa e ridotta a un campo di battaglia qual è oggi! Ripensando dopo un anno a quella sera ringrazio Dio che non ci ha dato di leggere nell’avvenire, giacché è tanto più brutto delle nostre più pessimistiche previsioni!.
Nota. Tratto da Camilla Benaim, Elisa Rosselli, Valentina Supino, Memorie di guerra e di persecuzione. Tre generazioni a confronto (Firenze 1943-1944), a cura di Marta Baiardi, Edizioni dell’Assemblea, Firenze 2012, pp. 159-165; si pubblicano senza le note in cui la curatrice indica le varianti e le correzioni del manoscritto; l’edizione prevede a fronte la riproduzione fotografica di ciascuna pagina dell’originale. Come tutte le pubblicazioni del Consiglio regionale della Toscana, il volume integrale è disponibile online, a questo indirizzo: http://www.consiglio.regione.toscana.it/upload/eda/pubblicazioni/pub3985.pdf.
Camilla Benaim è stata una pittrice. Faceva parte di una famiglia della borghesia fiorentina di origine ebraica, tra le altre cose imparentata con i Rosselli. Subito dopo il matrimonio (1934), insieme al marito Giulio Supino (1898-1978) si trasferirono a Bologna, ma dopo l’8 settembre 1943 rientrarono a Firenze, dove ritenevano di essere più al sicuro dalla persecuzione.
L’edizione approntata da Marta Baiardi prevede anche, come indica il titolo: le memorie scritte dopo la guerra da Elisa Rosselli (1873-1971, madre di Camilla), relative alla fuga e al soggiorno in Svizzera (maggio 1944-settembre 1945), unico frammento superstite di un più ampio memoriale andato perduto; i ricordi di infanzia scritti da Valentina Supino (1935, figlia di Camilla e Giulio) nei primi anni Novanta e già pubblicati a stampa (Laterza, Roma-Bari 1995; per altre informazioni sul testo, cfr. Memorie di guerra e di persecuzione cit., p. 241).
Dal 2014 è disponibile anche l’edizione del diario che, a due riprese (1939-40 e 1943-45), tenne il marito di Camilla, Giulio Supino, militante del Partito d’azione e, nei mesi del 1943-44 impegnato, malgrado la duplice persecuzione di cui era vittima, a tenere i collegamenti tra gli azionisti bolognesi e fiorentini: cfr. Giulio Supino, Diario della guerra che non ho combattuto: un italiano ebreo tra persecuzione e resistenza, a cura di Michele Sarfatti, Aska, Firenze 2014 (che non ho potuto consultare). (f.b.)
redazione sito sAm dice
Eugenio Scalfari ha scritto sulla Repubblica del 26 luglio 2016 di aver "guardato con attenzione tutti i giornali pensando che qualcuno ricordasse la data" del 25 luglio 1943, dicendosi di essersi stupito "molto che questa data non sia stata ricordata dai giornali e dalla televisione" (La gioia di quel 25 luglio in cui iniziò il cammino verso la nostra libertà, "La Repubblica", 26 luglio 2016, p. 31). Chissà se qualcuno segnalerà a Scalfari che il sito di storiAmestre nemmeno quest'anno ha dimenticato l'anniversario del 25 luglio. Scalfari ha rievocato gli abbracci con Italo Calvino e altri amici in piazza Colombo a Sanremo. Questi abbracci a Sanremo e lo scompiglio in un albergo degli Appennini del Pistoiese raccontato da Camilla Benaim danno il senso del 25 luglio, e confermano l'utilità di osservare i grandi eventi con uno sguardo dai margini.