di Giacomo Corazzol
Il nostro amico Giacomo Corazzol ci manda la sua lettura di un libro uscito di recente: una raccolta di saggi sul tema “dissimulazione e inganno nell’Europa della prima età moderna”. Partendo dalla copertina, Corazzol dissimula una recensione sotto la forma di una scheda di lettura. Vista la lunghezza del saggio, presentiamo qui di seguito introduzione e conclusione; per leggere il testo integrale, cliccare qui.
Il volume Dissimulation and Deceit in Early Modern Europe, ben curato da Miriam Eliav-Feldon e Tamar Herzig e ricco di aspetti degni di interesse, contiene gli atti del convegno Cultural and Religious Dissimulation in the Sixteenth and Seventeenth Centuries, tenutosi a Tel Aviv il 10-11 giugno 20121. Si tratta di un’ideale continuazione e approfondimento di un libro pubblicato nel 2012 da Eliav-Feldon: Renaissance Impostors and Proofs of Identity.
Con un volume su dissimulazione e inganno bisogna stare attenti. Gli inganni infatti cominciano già in copertina, dove compare un dettaglio de La favola della bocca della verità, quadro esposto al Germanisches Nationalmuseum di Norimberga e dipinto – lo si legge sulla quarta – da Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553). C’era una volta una nobile donna che, sospettata di adulterio, era stata condotta presso la bocca della verità – un leone dotato del potere di stabilire la verità o falsità delle parole delle persone. Interrogata sulla propria condotta, la donna rispose: “Sono stata toccata soltanto da mio marito e da questo giullare”. Il quadro raffigura l’epilogo della vicenda: la dama è attorniata da una folla di uomini e donne; la sua mano destra è posata sulla spalla di un giullare, che a sua volta le tiene una mano sul fianco; la candida mano sinistra della donna è posata nella bocca del leone, che ci scruta da in alto a destra: se la donna ha detto il falso, esso affonderà i suoi i denti aguzzi nella carne. La mano resta però intonsa: la donna ha dunque detto la verità. Ma una verità ambigua. Non è la prima volta, infatti, che il giullare la “tocca”: egli è il suo amante travestito, e quell’abbraccio una messinscena a beneficio della statua e di coloro che vi prestano fede – la città. Quando senso proprio e senso figurato si fondono – o, che è lo stesso, di fronte ai paradossi –, la bocca della verità si inceppa. Il quadro e la storia, però, parlano soprattutto degli uomini, i quali stabiliscono ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che genuino e ciò che è simulato sulla base di convenzioni (macchine della verità) e pregiudizi (il naturale senso del pudore di una nobildonna); raramente, invece, su prove empiriche. Il fato sarebbe stato altrettanto clemente nei confronti di una donna di più umili origini? E in tal caso i giudici sarebbero ricorsi al giudizio della statua o non si sarebbero piuttosto accontentati di far valere i propri pregiudizi? In breve, non si sarebbe potuta scegliere una copertina migliore: è infatti intorno a questa tensione che ruotano gli interventi raccolti nel volume.
Seguendo la scia di Montaigne, nell’introduzione (pp. 1-8) Eliav-Feldon afferma che “nel periodo in cui l’Europa era attraversata da un fervore religioso senza paragoni in tutta la sua storia, dire menzogne e vivere nella menzogna erano attività più arrembanti che mai” (p. 1) e sottolinea come durante quest’epoca gli strumenti e i criteri atti a stabilire l’identità degli individui e la veridicità o attendibilità delle loro parole rappresentasse una preoccupazione crescente per le autorità governative ed ecclesiastiche. Nei saggi raccolti nel volume esorcisti, preti, confessori, vescovi, papi, dignitari e re sono chiamati o si ergono a discriminare 1. tra adesione sincera o simulata a una confessione; 2. tra contatti veri o pretesi con il divino; 3. tra narrazioni vere o false di viaggiatori. Eliav-Feldon rifiuta di ridurre tali casi a incontri tra abili ciarlatani e dignitari ingenui; rileva invece 1. come da tale discrimine dipendesse spesso la decisione se accordare a singoli individui benefici economici e/o investire ampie somme in missioni e progetti di più ampio respiro e 2. che “‘dissimulazione’ è un termine eccessivamente semplicistico usato per indicare un un fenomeno psicologico e sociale molto più complesso” (p. 4). In contrasto con una storiografia precedente più fiduciosa di poter distinguere chiaramente l’ingannatore dall’ingannato, i saggi della raccolta tendono a sottolineare da un lato la cautela e le riserve espresse dai sovrani dell’età moderna nei confronti dei racconti riguardanti miracoli, prodigi e favolose ricchezze e dall’altro ad ammettere “che molti imbroglioni non erano necessariamente dei bugiardi consapevoli di esserlo – o, quantomeno, non secondo quella che costituiva per loro la linea di demarcazione tra la menzogna e un grado accettabile di autoincensamento” (p. 6). […]
La bocca della verità (dettaglio). Fonte: internet
Completano il volume una ricca bibliografia e un indice dei nomi e dei luoghi. Ma gli inganni non sono finiti. Si richiude il libro, e il dipinto torna a osservarci. Cerchiamo di saperne di più. Si scopre che, stando alla scheda dedicata al quadro nel Cranach Digital Archive (www.lucascranach.org) quel che è certo è che esso fu dipinto nel 1534 nello studio di Lucas Cranach il Vecchio, ma non necessariamente da lui: differenti studiosi hanno infatti identificato il suo autore ora con Lucas Cranach il Vecchio, ora con suo figlio Hans, ora con l’altro suo figlio, Lucas (il Giovane), con (o senza) il concorso del padre. E come se non bastasse scopriamo di essere stati ingannati: il quadro in copertina è riprodotto a specchio. Nel dipinto originale il leone è sul lato sinistro; e da lì ci chiede conto delle nostre parole.