di Maria Turchetto
Ancora su San Nicolò. In occasione della festa, Maria Turchetto ci ha mandato un ricordo relativo a una tradizione introdotta tra le due guerre dalla bisnonna che, per i bambini del paese, mise insieme il santo e i cachi. Con una riflessione sulla teoria evoluzionista di Darwin.
Cent’anni fa (sì, proprio cent’anni fa: nel 1915) la mia bisnonna piantò tre alberi di cachi. Alberi esotici a quei tempi e da quelle parti, ma la mia bisnonna Giovannina era un’innovatrice. Figuratevi che fu la prima in paese a installare un vero WC, un “vaso sanitario chiuso ad acqua”. Era più che un’innovatrice, la definirei un fulgido esempio di “imprenditore-innovatore” schumpeteriano. Fondò un negozio in cui si poteva comprare di tutto, le giovani coppie di sposi potevano trovarci le vere nuziali come i letti e i materassi, oltre naturalmente alla tela per lenzuola, asciugamani, tovaglie, insomma tutto il corredo.
Ma questa è un’altra storia.
Torniamo agli alberi di cachi – e a San Nicolò, naturalmente. Ecco: cosa c’entrano i cachi con San Nicolò? C’entrano, perché i frutti degli alberi piantati dalla mia bisnonna maturavano puntualmente per San Nicolò. In altre regioni dal clima più mite i cachi maturano prima, a novembre. Ma lì, a Susin di Sospirolo, davanti al negozio – sarebbe più appropriato chiamarlo emporio – della bisnonna Giovannina i cachi maturavano per San Nicolò: il 6 dicembre erano pronti, morbidi e dolci.
Ce l’avete presente un bel caco maturo, morbido e dolce? È un frutto fantastico, sembra una merendina sapientemente confezionata. Si toglie il tappo – il tondo picciolo a tre lobi viene via proprio come un tappo – e col cucchiaino si scava la polpa arancione all’interno della buccia, come da un barattolino. Squisito e comodo. Talmente adatto ai bambini umani che sembra una prova dell’esistenza di Dio – un “disegno intelligente”, come dicono i creazionisti. Io che sono un’atea incallita ogni volta che mangio un caco rischio di ritrovare la fede, devo fare un rapido ripasso mentale della teoria dell’evoluzione e ricordarmi che non è il caco adatto a me, sono io vecchia scimmia frugivora a essere ben adattata ai cachi… Ecco, lo vedete com’è anti-intuitivo il ragionamento di Darwin?
Ma anche questa è un’altra storia.
Torniamo ai cachi – e al loro nesso con San Nicolò. E alla mia bisnonna Giovannina, naturalmente, la quale – forse ispirata dai cachi, così adatti ai bambini – decise a un certo momento di fare San Nicolò per tutti i bambini del paese.
A Susin di Sospirolo la festa di San Nicolò divenne un evento. La sera della vigilia i bambini portavano il loro piatto – debitamente decorato con una tovaglietta di carta ritagliata a mano come un pizzo (so ancora come si fa, quest’altra volta ve lo insegno) – e lo piazzavano sul lunghissimo bancone del negozio-emporio. Al centro veniva collocato un bicchierino di grappa per il santo e un piattino con del sale grosso per il suo asino. La mattina dopo i piatti erano ricolmi di doni.
Doni da poco, per lo più robetta che si vendeva nel negozio: un paio di calzetti, un quaderno, una scatola da sei pastelli Giotto, un paio di stringhe da scarpe… ma soprattutto cachi, tanti cachi arancione lucidi e splendenti su tutti i piatti. I cachi di San Nicolò per i bambini.
La tradizione durò per decenni, credo sia stata interrotta dalla guerra – accidenti alle guerre.
Naturalmente i miei bisnonni sono morti da un pezzo, come anche i miei nonni, mi resta solo una vecchia mamma ultranovantenne… Ma gli alberi di cachi, oggi centenari, ci sono ancora e ancora puntualmente per San Nicolò offrono i frutti squisiti, così colorati nel grigio dell’inverno, così dolci e comodi da mangiare, così adatti ai bambini.
E anche San Nicolò passa ancora per Susin di Sospirolo, perché la mia vecchia mamma ha escogitato il modo di riprendere, in modo nuovo (sarà lo spirito innovatore di sua nonna Giovannina?) e più consono ai tempi, la tradizione…
Ma anche questa è un’altra storia.