di Carlo Freguglia
Il nostro amico Carlo Freguglia ci propone una lettura di giugno, da sotto il solito fico, questa volta con un lamento: non solo per gli euri scialacquati ma anche per il modo in cui si continuano a pubblicare le lettere di Carlo Emilio Gadda.
Il 4 di giugno del 2015 è giunto a tutte le librerie d’Italia che ne hanno fatto richiesta un volume della Adelphi, Piccola Biblioteca, intitolato «Se mi vede Cecchi sono fritto». Corrispondenze e scritti 1962-1973. In copertina, al posto che di solito compete agli autori, si leggono i seguenti nomi: Carlo Emilio GADDA e, nella riga seguente, Goffredo PARISE. Naturalmente Gadda e Parise non hanno scritto alcun libro a quattro mani. La confezione del tutto si deve a Domenico Scarpa.
Il libro, al netto dell’indice dei nomi consta di 323 pagine a stampa (da p. 13 a 336). In realtà sono qualcosa meno (la 222, la 224, la 278, la 300 e la 302 sono bianche). Scendiamo a 318. Posto che le 15 lettere di Gadda occupano 34 pagine e ¼ (coprono il periodo 29.X.1962-31.V.1963) e per le tre di Parise a Gadda ne occorrono 4 e ¾ a chi si devono le 284 pagine residue?
A Parise per circa 23 pagine: una sua lettera a Valentino Bompiani e cinque articoli, tre apparsi sul Corriere della Sera e due sulla rivista Libri nuovi. Le pp. 303-336 sono occupate da un saggio di Domenico Scarpa intitolato Due complici in fuga. 34 di Scarpa più 23 di Parise fa 67. Ne restano 215. A cosa servono?
Cinque ospitano una Tavola delle abbreviazioni bibliografiche (pp. 272-276). 21 una nota ai testi (pp. 279-99). Totale 26. Togliamo anche queste. Ne resteranno 189. Bene, queste 189 pagine sono occupate dal commento, con note, di Domenico Scarpa alle 19 lettere e ai cinque brani.
Perché mi sono dato a questi conteggi grulli? Perché sono un fautore dei corredi succinti. Può capitare che non lo siano, come si dà per quello di Garboli alle poesie familiari del Pascoli, o per quello di Riccardo Fubini ai primi due volumi delle Lettere di Lorenzo de’ Medici. Ma dovrebbe essere chiaro che quei due monumenti sono in tutto e per tutto le eccezioni che confermano la regola.
Il troppo spazio non sempre giova allo scoliaste. Può indurlo a un peccatuccio, poco scusabile anche se veniale, come quello del mitsingen: “Parise dovette rimanere scosso e tantalizzato da questo germe di referto che si concentrava in poche parole-ideogramma, in madrepore concettuali agglutinanti…” (p. 38).
Oppure a p. 53, ove si dice che un testo di Gadda del 1951 “…è intriso di dialettalità, – se non proprio di dialetto – ligure: per i suoi scorci, le sue contrazioni, per una sintassi che si potrebbe definire frattale”.
Se qualcuno sa di una sintassi frattale, parlo della sintassi del ginnasietto mica della sintassi frattale di Julia (vedi Google), sarò grato per uno schiarimento.
È sempre il troppo spazio che induce Scarpa a citare per esteso partendo dai “sonagi/sonagli di Gadda” (p. 37) i due sonetti di Porta e Belli dedicati ai molti modi in cui il milanese e il romanesco consentono di indicare i cabbasisi (p. 53).
L’economia di spazio avrebbe potuto far sì che, a proposito di una lettera di Gadda in data 20.XI.1962, Scarpa si limitasse a definirla una “epistola (epistola?) pedagogica sotto forma di lettera di scuse” e stop, non risultando veramente perspicuo il seguito che suona come segue: “inarcata [l’epistola] sontuosamente fra il Carissimo iniziale e l’abbraccio finale, così come s’incuspida, per poi ricadere a piombo, la neoformazione tensione-esacerbazione-depressione, coniata da Gadda per deplorare il tono della sua precedente” (p. 57).
Roscioni definisce le opere di Gadda delle “terre provvisoriamente emerse dalle acque agitate e profonde dell’esperienza, dell’immaginazione, dell’inquietudine”? Ecco Scarpa (p. 149) riprendere la metafora per “capovolgere la prospettiva, centrandola su un elemento che Roscioni pure enuncia con chiarezza: il mare da cui quelle terre sono andate emergendo è Gadda medesimo”. A che pro capovolgere? A preparare il lettore alla degustazione di una cadenza enumeratoria virtuosistica. La seguente.
E se le terre sono in continua, tumultuosa metamorfosi – nei contorni, nelle superfici, nelle orografie, negli ecosistemi – quale destino può toccare alla distesa liquida [sarebbe il mare, ndr.] di cui sfondano il tetto, per niente tranquillo?
Lasciamoci sul limitare di questa domanda, magari canticchiando di nuovo, a mente s’intende, la vecchia canzoncina che fa Mitsingen, du-du dudù, dufour.
Ma non ce l’ho mica con il dottor Scarpa. Se da 19 lettere 19 un qualche Ziegfeld dell’editoria vuol cavare una folly da vendere a 18 euri è più che probabile che ami i commenti succinti come il fumo negli occhi.
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Veniamo al punto. In forza dell’acre, acuto1 dispiacere per aver speso i 18 euri 18 che ho speso, esprimo l’augurio che la si pianti una buona volta di pubblicare l’epistolario di Gadda come si è fatto fino a ora, vale a dire in dosi omeopatiche, tagliatissime (con segatura, talora), care impestate.
Apprendo dal sito www.carloemiliogadda che al 5.6.2015, data dell’ultimo aggiornamento, i volumi che constano esclusivamente di lettere di Gadda a questo o a quel corrispondente sono 13, così come sono 13 (di cui uno ignoto) i curatori di uno o più volumi. Sono invece 70, dicasi 70, le pubblicazioni, siano articoli di rivista o libri di varia umanità, che ne contengono una o più.
Il lettore pagante ha tutti i titoli per far suo il lamento del palo della banda dell’Ortica, là dove si dice stufo di vedersi portare su il bottino a botte di cento lire (salvo che qui altro che cento lire: le son state, nei decenni, biglietti da mille e euri a decine)2.
Quanto agli studiosi sarà giusto che debbano spendere tre mesi solo per metterle in ordine cronologico? È questo il modo per fare uscire il nostro paese dalla crisi che lo attanaglia? Uscire dalla crisi vuol dire saper innovare e cambiare rotta, restituire ai nostri figli e alle generazioni successive l’energia della vita, puntando sulla cooperazione e sullo sviluppo equilibrato. Guai a derubare i nostri figli dei sogni e del futuro. O no?
da sotto al solito fico,
franto dalla macaia,
vi saluta il vostro
carlo freguglia
- Perché acre e acuto? Per rendere merito a Scarpa di una notazione a p. 58. Si tratta di “una sagace interpretatio in verbo: acre cioè acuto, dove l’origine acer [mi raccomando il segno di lunga sulla a, ndr.] e quella acutus [lunga sulla u, ndr.] del secondo si precisano e affilano a vicenda, nel comune significato di «avere la punta»”. [↩]
- Coloro cui non sia familiare il modus operandi deplorato dal palo della banda dell’Ortica possono utilmente consultare l’opera omnia di Valter Valdi (Cavenago Brianza 1930-Milano 2003). [↩]
Emilio Manzotti dice
Commento al commento (del “Freguglia”) de Scarpa de Gadda-Parise-Adelphi. Condivido, condivido, et ultra: pagine e pagine e pagine su cose per lo piû stranote (da cui salverei le osservazioni su G. lettore di Darwin). Dello stile del commentatore dice bene il “Freguglia”. Le lettere: poche, e poco significative; quelle di Parise, poi, dioscammpi. Come aveva ragione Contini…
giovanni levi dice
Grazie Carlo,eviterò i miei 18 euro. Te ne debbo una percentuale?
Giovanni Levi